Nella Tehran degli anni ’80, durante la guerra Iran-Iraq, una madre vive nascosta nel suo appartamento tra bombe, missili e distruzione. Mentre il tempo passa e il conflitto si inasprisce, la donna inizia ad essere ossessionata dall’idea che sua figlia sia posseduta da spiriti maligni noti come Djinn.
L’iraniano Babak Anvari debutta alla regia con una pellicola horror (coproduzione fra Qatar, Giordania e Gran Bretagna) ben riuscita, presentata e accolta con entusiasmo al Sundance Festival del 2016. Nella cornice dell’esperienza postbellica iraniana, Anvari tratteggia uno zoom sulla complessa dinamica familiare di una donna emancipata costretta ad adattarsi ai costumi di una società che non le appartiene davvero, confrontandosi con un contesto generatore di angosce e fantasmi interiori che arrivano a confondersi con la realtà. Intensità psicologica e un accurato utilizzo della fotografia rendono notevole il lungometraggio di Anvari, regalando profondità a un genere che tende per eccellenza a far leva su empatie puramente emotive.