“Have the monks stop meditating? They all seem to be tweeting”.
Hai mangiato, prendi qualcosa da bere e inizi a seguire la corrente di persone che dal piazzale fulcro del MFF si sposta in direzione Mudec. Ti fermi a metà strada, svolti sulla destra, ti trovi in un piccolo spazio all’aperto, il largo del cinema, raccolto e ricavato tra gli edifici del complesso. È una serata calda: Lo and Behold – Internet: il futuro è oggi, documentario di Werner Herzog, presentato quest’anno al Sundance Film Festival, sta per cominciare.
Per 98 minuti le persone, immerse nel buio, assistono a qualcosa che connette, volenti o nolenti, ognuno di noi. Il regista racconta, in dieci capitoli, il World Wide Web: nascita, applicazioni, degenerazioni e previsioni. Imparziale e provocatorio allo stesso tempo: «Does the internet dreams of itself?».
Il pubblico ride davanti alle storie sull’hackeraggio, ascolta gli auspici dello scienziato creatore di robot-calciatori che batteranno quelli in carne e ossa entro il 2050, ammutolisce davanti al numero di dipendenze da videogiochi. Herzog tira fuori lo sporco da sotto i tappeti, non censura, non edulcora, la sua pacata voce fuori campo che instilla domande senza risposta nel pubblico.
Sfondo nero, capitolo dieci: il futuro, ai titoli di coda segue un applauso. ll pubblico si alza e si disperde tra gli spazi dell’ex Ansaldo, silenzioso, in una solitudine solo apparente.