Minari: la metafora di un dramma collettivo
22/04/2025
Riceviamo e con piacere pubblichiamo questa analisi di Minari, realizzata da Laura Cunsolo, studentessa del Master MICA.


Ricordate 5 anni fa? La pandemia di COVID-19 ci ha travolto all’improvviso al punto che le nostre abitudini di vita sono cambiate radicalmente. 

Il film che ho preso in esame ci mostra proprio questo. Tutti quei temi diventati ancora più rilevanti durante e post pandemia: il vincolo indissolubile con le proprie radici, il desiderio di crescita e la bellezza delle piccole cose.

 

Anche se non parla esplicitamente del periodo post-pandemia ed è ambientato negli anni ‘80, Minari (2020), diretto da Lee Isaac Chung, ne riflette le esperienze tanto da risuonare in modo forte le sfide che le persone hanno dovuto affrontare durante questo momento di transizione, diventando metafora di un dramma collettivo vissuto dalla società globale negli ultimi anni. Non a caso, il film, candidato a ben sei premi Oscar, è uscito nell’aprile dell’anno successivo, riportando il pubblico nelle sale cinematografiche dopo mesi di chiusura. 

Le tematiche su cui ruota si intrecciano in una storia semplice e lineare di una famiglia coreano-americana che si trasferisce in Arkansas per inseguire il cosiddetto sogno americano.  

 

Isolamento e solitudine: tra ansia e frustrazione 

 

Una delle conseguenze più evidenti della pandemia è stato senz’altro l’isolamento forzato, che ha costretto milioni di persone a ripensare alla loro quotidianità al fine di riorganizzare le proprie vite: le restrizioni hanno ridotto al minimo i contatti sociali e imposto una condizione di incertezza e solitudine. 

Nella campagna Americana, la famiglia Yi sperimenta, in maniera variamente dolorosa e drammatizzata,  un’esperienza analoga: una separazione dal resto del mondo che amplifica tensioni preesistenti, ma al contempo rafforza i legami familiari. 

Fin dalle prime scene, il film enfatizza questa sensazione attraverso una macchina da presa che si muove lentamente per soffermarsi sulla vastità dell’ambiente rurale e sull’isolamento della loro nuova casa, un luogo sconosciuto, senza punti di riferimento, immerso nella natura incontaminata. 

Quando Jacob e Monica arrivano nella nuova terra, insieme ai loro figli, la loro casa appare un avamposto sperduto, circondato solo da campi e lontano da qualsiasi centro abitato. 

Durante la pandemia non era lo stesso? Le persone non si sono ritrovate distanti e confinate nelle proprie abitazioni, lontane dalla normalità e prive di certezze sul futuro? Non hanno provato ad adattarsi ad una realtà completamente diversa?  

 

Fragilità e memoria: tra passato e futuro

 

La nonna è un personaggio cardine all'interno del film. Portando con sé la cultura e le radici del passato, si presta a fare da ponte tra passato e presente, e il suo progressivo indebolimento mette alla prova i suoi cari che proprio nella vulnerabilità trovano una nuova forma di unità, riscoprendo l’importanza della solidarietà e del supporto reciproco. 

Senza contare, poi, che fa eco ai mesi della pandemia in cui gli anziani hanno perso la vita, costretti all’isolamento e alla malattia senza vedere i propri cari. Oppure alle famiglie che si sono ritrovate a curare i propri malati, temendo costantemente per la loro sopravvivenza. 

La fragilità della nonna diventa così simbolo della fragilità collettiva, ma anche dell’importanza del legame intergenerazionale.  

David, impulsivo e diretto, abituato all’immagine stereotipata della “nonna americana”, ha un’idea ben precisa di come dovrebbe essere una “vera nonna” e questa non combacia con l’essenza genuina e non convenzionale di Soon-Ja. Al posto di essere dolce, materna, attenta alla cucina e alle buone maniere, Soon-Ja è l’opposto: vivace, diretta e usa un linguaggio spontaneo. 

Il dialogo tra i due evidenzia non solo la difficoltà di David di accettare una nuova figura familiare, ma anche il più ampio tema dell’identità culturale, la cui percezione dipende dal contesto in cui si è cresciuti.

Adattarsi a nuove realtà senza perdere le proprie origini è un processo complesso e delicato e richiede un costante equilibrio tra la volontà di aprirsi al cambiamento e la necessità di rimanere saldi sulle proprie radici. 

 

Precarietà e instabilità: tra sogni e realtà 

 

Un altro fattore da considerare è la questione legata alla precarietà economica e all’instabilità del futuro. Durante la pandemia, il lavoro è diventato precario per milioni di persone, costringendole a ripensare alla propria carriera e cercare nuove fonti di reddito. 

Jacob Yi, il capofamiglia, decide di trasferirsi per una ragione: investire tutti i suoi risparmi per avviare una fattoria e coltivare ortaggi coreani in modo da poterli vendere ai mercati asiatici negli USA. Tuttavia, la sua impresa è un salto nel buio, una scelta non facile piena di rischi e sacrifici, proprio come molte persone hanno dovuto reinventarsi professionalmente a causa della pandemia. 

Una scena emblematica si verifica quando Jacob si rifiuta di pagare per un servizio idrico più sicuro e, invece, scava un pozzo per innaffiare lui stesso i raccolti. Più avanti nel film, questa scelta si rivelerà però un fallimento visto che il pozzo si prosciuga, facendo innescare una serie di conseguenze piuttosto gravi. 

Jacob si ostina a credere nel suo progetto anche quando la realtà gli dimostra che il successo non dipende solo dal duro lavoro, ma anche da fattori esterni che non possiamo controllare: una sorta di metafora di quanto sia imprevedibile il destino delle persone. 

Se la siccità che minaccia la fattoria può essere vista come le difficoltà finanziarie causate dalle restrizioni, il suo irrefrenabile desiderio di indipendenza economica rispecchia la necessità di resilienza, anch’essa emersa e divenuta rilevante in tempi di crisi.  

Tuttavia, ancora oggi l'incertezza nel mondo lavorativo è una presenza costante, una realtà con cui molte persone devono confrontarsi. Trovare un impiego stabile e mantenerlo non è affatto facile. È una fatica quotidiana che non possiamo fare a meno. 

 

Adattamento e resilienza: Minari 

 

Il titolo stesso del film rappresenta la capacità di adattarsi ad ogni cambiamento. Metafora del concetto di resilienza che attraversa tutto il film, il “minari” e’ una pianta aromatica di origine asiatica che, crescendo in ambienti umidi e vicino all’acqua, e’ in grado di resistere alle avversità, rigenerandosi anche dopo essere stata tagliata, a discapito di tutte le altre  coltivazioni di Jacob. D'altronde, nell’ultima scena, quando il raccolto viene distrutto da un incendio accidentale, l’unica pianta che sopravvive è il minari. Ciò simboleggia la speranza, la capacità di resistenza della famiglia Yi e, più in generale, del genere umano, diventando proprio l’emblema dell’esperienza post pandemia: nonostante tutte le difficoltà e le perdite, le persone trovano sempre un modo per andare avanti, combattendo con tutte le forze che hanno. 

D’altro canto, il film stesso suggerisce che, attraverso il sacrificio, la resilienza e il legame con le proprie radici, è possibile non solo sopravvivere, ma anche stare bene. Sebbene il futuro sia incerto, essere capaci di adattarsi e di sostenersi in maniera reciproca sono due caratteristiche da non sottovalutare per affrontare qualsiasi situazione di crisi. Le difficoltà possono trasformarsi in momenti di crescita e di riscoperta. L’importante è non abbattersi mai in caso di criticità. 

 

Due mondi diversi: David 

 

Il film è un racconto profondamente personale per il regista. Mettendo in correlazione i due suoi mondi, il sudcoreano Lee Isaac Chung esplora il dualismo tra il mondo americano in cui è cresciuto come figlio di immigrati e quello sudcoreano delle sue origini. Questo confronto viene incarnato dalla figura del piccolo David, un bambino di circa sette anni che vive il trasferimento della sua famiglia in Arkansas con un misto di curiosità, spaesamento e paura. In lui è possibile riscontrare il simbolo delle difficoltà di adattamento che attraversa l’intera famiglia, smarrita in un contesto nuovo e sconosciuto. 

E, in un certo senso, si può affermare che sia proprio David ha governare la pellicola. La prima inquadratura in assoluto ci introduce immediatamente nella sua prospettiva tant’è che la storia si sviluppa attraverso i suoi occhi e il suo sguardo innocente e curioso. Mentre i titoli di testa scorrono ancora, infatti, la macchina da presa si sofferma su di lui, seduto sul sedile posteriore di un’auto e solo successivamente si sposta in direzione della madre al volante, con la figlia accanto. 

David diventa il personaggio in cui il regista proietta la sua personalità, inserendolo in un viaggio fatto di crescita e di superamento dei propri limiti. In lui si riflette la speranza di un possibile futuro migliore, dove anche l’integrazione tra le diverse culture può fondersi in un’entità nuova e complessa.  

 

Pericolo e paura: tra dubbi e incertezze 

 

Il regista, con il suo stile delicato ed evocativo, costruisce le basi per un viaggio emotivo in cui cambiare non è solo un'opzione, ma una necessità. Davanti a una realtà nuova e sconosciuta, l’unico modo per andare avanti è trovare il coraggio di adattarsi, anche quando tutto sembra difficile.  

Le difficoltà e le paure fanno parte della vita, che lo si voglia o no. E sebbene esistono indipendentemente dalla nostra consapevolezza, serve forza per affrontare l’ignoto, per non lasciarsi paralizzare dall’incertezza e trovare un nuovo equilibrio.  

In Minari, il vero ostacolo non è una persona, ma tutte quelle difficoltà che mettono alla prova la forza e l’unione di una famiglia. Il serpente, che inizialmente sembra solo un dettaglio, diventa una metafora potente: non è il suo morso a fare paura, ma il fatto che possa essere ovunque, nascosto, invisibile. È proprio l’incertezza a spaventare di più. 

Il serpente non rappresenta una minaccia immediata, ma alimenta la paura dell’ ignoto e l’incertezza su ciò che potrebbe accadere. Simboleggia le incertezze e le sfide che la famiglia affronta nella loro nuova vita (integrazione, precarietà economica e nuovo inizio), suggerendo che temere l'ignoto può essere più limitante dell'ignoto stesso. 

Jacob e Monica affrontano un nuovo inizio, ma con esso arrivano anche dubbi e insicurezze: riusciranno a integrarsi? La fattoria funzionerà? Proprio come il serpente, queste paure sono sempre presenti, anche quando non le vedono.  

Affrontare un nemico che esiste, ma che non si teme solo nel momento in cui si manifesta, non è affatto un'impresa facile: vi è sempre una sensazione di pericolo costante dietro l’angolo, sempre presente e destabilizzante. 

 

Nido e famiglia: tra sacrificio e amore familiare 

 

Minari è un film di rinascita in cui il valore della famiglia rappresenta il fulcro della narrazione, incarnando un rifugio emotivo e un motore di resilienza di fronte alle avversità. D’altro canto, la solidarietà e il senso di appartenenza sono fondamentali per affrontare le difficoltà che la vita ci pone davanti. 

In Minari, la trasformazione familiare trova un forte parallelismo con l’esperienza vissuta da molte famiglie durante la pandemia, quando il nucleo familiare è diventato il principale punto di riferimento in un mondo in piena crisi. 

Nonostante le tensioni e le divergenze, Monica e Jacob decidono di rimanere insieme e salvare ciò che resta della loro famiglia, sottolineando come la famiglia sia il vero punto di forza nei momenti di crisi di ogni essere umano. Il gesto di Monica, dopo l’incendio della fattoria, causato accidentalmente dalla nonna, in questo caso, diventa significativo poiché dimostra quanto sia davvero saldo il loro legame e il senso di unione familiare si fa sempre più vivo. 

Le sconfitte così come le vittorie non appartengono solo ad una persona, ma si riflettono su chi ci sta accanto. E’ la condivisione il vero trionfo. 

 

Cassettiera: ostacolo o contenitore 

 

La cassettiera in Minari è un oggetto ricorrente che diventa qualcosa di profondamente simbolico. Appare in momenti chiave del film, come quando ferisce David e quando la nonna, dopo l’ictus, sembra incapace di interagire con esso, tanto che Paul arriva persino a eseguire un esorcismo su di esso.  

Se è effettivamente il luogo dove Jacob tiene i soldi, allora può essere interpretato come una metafora del sogno americano e delle difficoltà che comporta. Jacob crede che il successo economico possa risolvere i problemi della sua famiglia, ma il film mostra ripetutamente che la prosperità materiale non garantisce la felicità né l’unità familiare, rivelandosi addirittura dannoso.

Inoltre, la cassettiera potrebbe essere vista come un elemento di separazione e ostacolo: ferisce David, come se il bambino fosse ancora troppo piccolo per confrontarsi con le difficoltà del mondo adulto. E allo stesso tempo, è un  oggetto quasi inaccessibile per Soon-ja, dopo la malattia, come se la nonna fosse troppo debole per confrontarsi con le nuove sfide odierne. 

Tuttavia, il fatto che venga più volte inquadrato, potrebbe anche suggerire un oggetto che condensa le paure, le speranze e le preoccupazioni dei protagonisti: un contenitore che, anziché offrire sicurezza e stabilità, diventa un simbolo di vulnerabilità e di sacrifici che non sempre portano ai risultati sperati. 


Laura Cunsolo

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