Mulholland Drive: i vostri elaborati!
19/11/2020
Al termine del workshop dedicato all'analisi di Mulholland Drive, abbiamo proposto ai partecipanti di redigere un elaborato su un elemento emblematico del capolavoro di David Lynch. Ecco i lavori che hanno meritato la pubblicazione!

Carla Curione
Mulholland Drive

Si tratta di uno dei primi film che mi hanno aperto le porte al cinema e che di sicuro ha destato delle emozioni dentro di me quando per me erano solo fotogrammi sparsi dei quali capivo poco e nulla. Penso che sia davvero difficile restare impassibili di fronte ad uno dei più grandi capolavori del cinema moderno e del suo autore. Ho amato Lynch nella quasi totalità del suo operato ma penso che Mulholland Drive resterà davvero il suo testamento cinematografico. Penso che quello che voglia comunicarci sia sicuramente più attuale che mai, soprattutto per la realtà dei luoghi che descrive, come il cinema e Los Angeles, ma di certo rapportabile a molte altre realtà. Una società che ci vuole infallibili e vincenti, la paura di deludere e il senso di colpa. Tutto questo porta all’orrore, alla follia e al ribaltamento di tutte le sicurezze nelle quali riponevamo la nostra fiducia, nella certezza dell’incertezza. Quando il personaggio di Diane vede crollare tutto si rifugia nel sogno per poi scoprire che non potrà mai cambiare la realtà fuggendo da essa e quindi non resta altro che la morte. Penso che la figura degli anziani sia molto rappresentativa del suo senso di colpa e del suo passato che si rivolta contro di lei e che lei percepisce come arrabbiato, violento e deluso dalle sue scelte. Cosi come l’uomo che riconosce nel barbone il male, l’incubo. Lo stesso uomo che Diane fissa per un istante nel diner e dal quale si sente osservata, giudicata perché sa che lui ha forse capito le sue intenzioni, che lui l’ha smascherata ed è per questo che vedrà nel “mostro Diane”(il barbone) la causa di ogni male. Di certo non sappiamo se Camilla verrà uccisa o meno ma sappiamo che Diane non potrà più vivere con se stessa, con il suo orrore, con la sua sconfitta e non vorrà in alcun modo rinascere ma si arrenderà a questo per sempre. Un finale che lascia grande tristezza e che fa riflettere molto su quello che la mente umana può creare. Credo che chiunque debba sapere quale sia il vero messaggio di questo film e chiunque dovrebbe vederlo almeno una o più volte nella vita. 

Alberto Martelli
Mulholland Drive. Un Manifesto Informale

Mulholland Drive rappresenta nella poetica di Lynch un vero manifesto artistico, anche se si potrebbe azzardare l’ipotesi di definirlo “policromatico”, a causa della natura del termine, in stretta relazione con l’energia (uno dei temi fondanti del regista americano).
Fin dai titoli iniziali possiamo intravedere figure di coppie danzanti che ballano a livelli sfalsati, le figure sono praticamente identiche (effetto su più dimensioni), esse sembrano destreggiarsi nell’atto di una prova su un set cinematografico. In contrapposizione ad esse, intervengono delle ombre, queste sono i loro opposti. I titoli iniziali fungono da alchimia a questo straordinario film, questo film oggetto d’indagine è stato dichiarato essere uno dei film migliori di David Lynch.
Il film si apre in un clima caldo e notturno, una bellissima donna mora di capelli si trova in macchina, in rotta verso una destinazione ignota. La scena si svolge in un clima austero, carico di mistero, i conduttori dell’auto di lusso sembrano dei professionisti di alto livello a giudicare dagli abiti scuri. 
La telecamera punta sulla strada, la scena è pervasa da un alone di silenzio, il tutto accompagnato da una musica silente di Angelo Badalamenti (storico compositore che ha affiancato Lynch nei suoi maggiori successi). All’improvviso il conducente estrae una pistola e nell’intento di uccidere la ragazza, la scena d’improvviso si illumina di una luce abbagliante. Due macchine sfrecciano all’impazzata andando a Zig-Zag come un manifesto futurista colorato, l’irregolarità della loro traiettoria porta la macchina ad andare fuori strada e a schiantarsi contro il bordo della strada. La macchina impazzita era condotta da una coppia di ragazzi squilibrati, ma estremamente colorati e villani nelle strida della loro vivacità, questi giovani sono estremamente onirici. La loro presenza è fondamentale per rompere la solida scura atmosfera. 
In contrapposizione alla scena notturna abbiamo l’arrivo mattutino di Betty a Hollywood, una giovane attrice dalla carriera promettente che finalmente giunge nella storica terra del cinema. Appena arrivata Betty la si ritrova con una simpatica nonnina in apparente difficoltà, essa si sofferma per assaporare tutti gli aspetti di quel clima straordinario, il caldo della città, la luce, i suoi sogni ed infine il via vai che avviene in una città come Los Angeles, vero cuore pulsante della California. 
Appena uscita dal terminal la ragazza cerca un taxi per recarsi a casa della zia, nel mentre i coniugi anziani ne prendono un altro, durante la loro corsa essi si guardano ridendo con aria estremamente ironica, [Questo tipo di risata ricorda molto la risata del libraio in ...e tu vivrai nel terrore! - L'aldilà  di Lucio Fulci – 1981. Qua Liza vede il libro di Eibon fuori dalla vetrina. Non appena entra nella libreria il volume da lei cercato non c’è più, al suo posto ce n’è un altro, il “guardiano” della bottega afferma che quel libro è lì da moltissimo tempo. Durante tutta la scena il libraio non ha fa altro che sghignazzare tutto il tempo, così facendo pone un continuo senso di dubbio tra il reale, il non esistente e il dubbio. La risata in sé, rappresenta la natura metafisica del personaggio, un qualcosa che si sdoppia fra due realtà differenti, e l’apparente follia ne rappresenta l’incomprensione verso una chiave di lettura bilaterale. In realtà ci troviamo di fronte ad un personaggio demiurgico.] poiché essi sono soddisfatti ad aver adempiuto al proprio dovere.
Betty a casa troverà Rita (nome provvisorio che la giovane si è data in seguito alla sua amnesia, preso da un poster cinematografico di Gilda presente nell’appartamento della zia di Betty, Rita Hayworth). Non sappiamo nulla della vita di Rita poiché affetta da amnesia, gli unici indizi che abbiamo sono presenti nella sua borsa, ovvero tante banconote e una chiave molto particolare. 
A causa dell’amnesia di Rita, Betty decide di aiutarla in questo incontro assistiamo a un’autentica scena di divismo sugli opposti, qua il cinema ci restituisce due modelli femminili differenti la bella bionda e la mora dai tratti sensuali. Analogie simili le abbiamo già viste in Twin Peaks, il duo Laura Palmer e Audrey Horne, a differenza che nella serie televisiva non esiste collaborazione tra le due ma solo una sana rivalità di cui sappiamo molto poco. Il cinema ci ha mostrato casi straordinari di questo tipo, partendo da Greta Garbo e Marlene Dietrich fino a Elisabeth Taylor e Joan Fontaine.
Durante la loro attività investigativa per scoprire di più sulla vita di Rita le ragazze decideranno di mimetizzarsi per non essere notate, a Rita verrà data una parrucca bionda da indossare, in modo tale da confondere i strani individui presenti in prossimità del loro percorso. Questo cambio d’identità seppur in questo caso sia solo un diversivo per confondere i nemici, lo abbiamo già visto in Twin Peaks, dove Sheryl Lee (l’attrice di Laura Palmer) indossa una parrucca nera e prende le sembianze di Maddy Ferguson, soltanto che l’analisi del personaggio di Maddy merita un’analisi più complessa [è possibile trovare qualcosa A. Martelli – Long Take - David Lynch – Immagini perdute nel tempo.]. In Twin Peaks, i giovani Maddy, James e Dana nell’intento di scoprire di più sulla morte della ragazza ordiscono un inganno ai danni del dottor Lawrence Jacoby, qui Maddy indosserà una parrucca bionda per ingannare lo psichiatra della contea.

Mulholland Drive non è soltanto un manifesto artistico, ma anche urbanistico ed architettonico. Fin dai primi secondi del film, abbiamo un indizio molto importante, ovvero un semplice cartello stradale con su scritto “Mulholland Drive”. M.D. è una strada molto importante situata sul crinale della Santa Monica Mountains e deve il suo nome all’ingegnere idraulico William Mulholland. Questo tratto di strada conduce nel cuore di Hollywood, l’impero dei sogni (da non confondere con quello di George Lucas descritto da Kevin Burns in netta contrapposizione con quello Hollywoodiano). Il circondario di Hollywood, come Los Angeles in generale, sono luoghi di grande ricchezza ma allo stesso tempo di grande povertà, quindi luoghi dove la criminalità è molto diffusa e soprattutto di notte essa cresce in modo esponenziale. 
In chiave architettonica il film ci offre uno straordinario esemplare di sintesi “Miesiana”. La villa del regista Adam Kesher è una straordinaria sintesi dell’architettura espressa da Ludwig Mies van der Rohe negli Stati Uniti durante il suo periodo americano. In particolare ricorda il modello di “Casa Farnsworth”, molti architetti americani si sono ispirati alle sue opere, inoltre questa tipologia di progetto è un modello abbastanza ricorrente nell’architettura moderna americana.
Tornando all’universo pittorico, proprio nella villa di Adam assistiamo a un’autentica invenzione “Pollockiana”. Adam appena tornato a casa dalle riprese, trova sua moglie a letto con un uomo palestrato, segue una colluttazione che vede coinvolti tutti i protagonisti della scena. Il nostro regista per vendetta decide, di prendere tutti gli ori della moglie ed immergerli nella pastosa vernice rosa (massa informe), allo scopo di rovinarli il più possibile. La moglie nell’intento di difendere le sue ricchezze aggredisce Adam e durante la lite il “dripping Pollockiano” prende vita, gli schizzi sui vestiti e sulle pareti sono la traccia della “violenza informale” (secondo la lettura sull’Informale di Roberto Pasini) appena espressa. Il rosa è anche il colore dell’abito della ragazza che fa le prove di musical sul set cinematografico. 
Altri colori che intervengono a dare sfogo a questo festival pittorico sono il rosso e il blu. Il rosso è presente in molte scene, sicuramente le scene più importanti sono due; la prima quando uno dei manager della produzione si reca nell’ufficio del capo (il capo sarò rappresentato dal nano, personaggio già noto nel repertorio di Lynch). Quest’ultimo sembra essere una proiezione metafisica di Lynch stesso all’interno del film, colui che decide tutto sul destino dei protagonisti, all’interno delle rispettive realtà. Di fatto nella scena in cui lo vediamo, lo si trova in una stanza ricca di tende rosse, uno dei suoi emissari può comunicare con lui soltanto da un’anticamera, attraverso un apparecchio acustico, tipo citofono. Il vetro con il suo gioco di riflessi vuole alludere ad un’altra dimensione, la posizione seduta in atto di riflessione assoluta vuole rappresentare quello che David Lynch definisce “il processo creativo”, di fatto egli impartisce ordini che hanno delle conseguenze ben precise all’interno della complessa trama del film.
In Twin Peaks abbiamo già visto un personaggio analogo trovarsi all’interno della Loggia Nera, lo spazio metafisico che collega spazio, tempo e altre infinite dimensioni. Un personaggio demiurgico, una vera e propria metastasi parziale (poiché non la possiamo definire assoluta, l’unica entità assoluta è il narratore onnisciente), di Lynch stesso. 
Il rosso entra in conflitto con un altro colore, ovvero il blu, questo lo vediamo dentro il Club Silencio. Le ragazze alla fine del loro percorso, si recano in questo club esclusivo che sembra riservato a pochi a giudicare dal numero degli ospiti e dalla loro compostezza. In questo club assistiamo a uno spettacolo dove la musica è l’elemento dominante della scena. La scena comincia con un prestigiatore che presenta lo spettacolo dicendo frasi apparentemente senza senso tipo: “non c’è banda..”. Subito poco dopo prende il posto una cantante (Rebekah Del Rio) che si esibisce cantando il brano Cyring di Roy Orbison, durante la sua performance sviene, ma sia la musica che il canto continuano a proseguire, qui la cantante stava cantando in “playback”. Durante questo spettacolo si susseguono una serie di lampi di luce blu molto intensi, lampi carichi di elettricità che vanno in contrasto con il rosso dominante della sala del teatro. Di fatto il rosso e il blu sono i colori opposti dello spettro del visibile, di fatto uno degli elementi cardine della poetica di Lynch è proprio il tema degli opposti. Mentre questi lampi si scagliano nell’ambiente, Betty avrà delle forti convulsioni, qui assistiamo ad un principio di collasso del suo personaggio, ovvero un’entità che vive nel sogno ed un’altra che vive una vita non troppo felice, poiché soltanto alla fine scopriremo che Betty è un’attrice praticamente fallita e snobbata da tutti. La delusione per il suo amore saffico la trascinerà verso un baratro infernale che la porterà al suicidio. 
Il blu è anche il colore della chiave misteriosa e della scatola a essa connessa, una scatola cubica che una volta aperta aprirà le porte verso il mondo reale. Un ipercubo precisamente.   
Il nero assoluto trova la sua forma nel barbone dai tratti femminili che vive che ai margini della strada in un vicoletto precisamente, una figura femminile estremamente tenebrosa da riconoscerne appena i tratti. Questo personaggio totalmente oscuro sembra quasi rappresentare la parte oscura di Betty che vive fuori dal suo sogno, in attesa di riappropriarsi della sua persona e dei suoi intenti oscuri. Questa figura è estremamente analoga al barbone presente in Hellraiser (Clive Barker – 1987) che perseguita Kirsty nelle strade, questa immagine è una proiezione della dimensione del peccato. Anche qui abbiamo un cubo, il Cubo di Lemarchand (detto anche la configurazione del lamento) che permette di accedere ad altre dimensioni, ma di tipo infernale e tramite esso i cenobiti (detti anche supplizianti) possono entrare nel nostro mondo. [i cenobiti hanno una funzione molto simile alla coppia di vecchietti che introducono Betty all’inizio del film, ed infine condurla alla pazzia attraverso il tormento e al conseguente suicidio nel finale].      

Ancora una volta Lynch dimostra di possedere un vasto registro di tutte le principali arti figurative, egli adopera linguaggi differenti per dare forma alla sua opera, Mulholland Drive.

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