Non credo in niente, dal Pesaro Film Festival al cinema
10/10/2023
Uscito nelle sale a fine settembre, il film Non credo in niente è un'ambiziosa opera prima, presentata con successo all'interno del Pesaro Film Festival.
Vi riportiamo qui di seguito la sinossi:
Un viaggio notturno che corre sui binari paralleli delle vite di quattro ragazzi, sullo sfondo di una Roma deteriorata, tanto quanto le loro certezze. Un racconto frammentario, tessuto da relazioni superficiali, dove si alternano romanticismo e brutalità, dolcezza e sofferenza, musica e silenzio.
Una ragazza ricca di talenti artistici che si ritrova a fare la hostess di aerei; un aspirante attore taciturno che vaga in sella alla sua moto in cerca di sesso occasionale; una coppia di fidanzati musicisti, che si ritrova a lavorare in nero nella cucina di un ristorante. Non si conoscono tra loro, ma vivono tutti la stessa situazione: la strada che avevano intrapreso li ha condotti in un vicolo cieco e si ritrovano alla soglia dei trent’anni senza prospettiva. Le loro ambizioni giovanili si sono scontrate con la realtà del mondo contemporaneo. Vivono in un profondo e costante disagio, nell’insoddisfazione, senza comprendere a fondo il motivo del loro malessere, rischiando così di abbandonarsi alla totale inazione o all’aggressività casuale. È solo l’abitudine, come quella di una sosta al paninaro notturno, a rendere dolce il veleno. Durante una successione di notti senza fine, i protagonisti tenteranno di affrontare le proprie fragilità, assediati da una costante insicurezza esistenziale. Il mantra per crescere e andare avanti è solo uno: crederci. Bisogna crederci, sì... ma in cosa?
Qui le note di regia:
Con questo film volevo esplorare il disagio e la frustrazione che vivono i ragazzi di oggi del mondo occidentale contemporaneo, trasmettere le loro sensazioni, le loro paure. Volevo che lo spettatore fosse in grado di sentire e vedere questa “società liquida” di cui Zygmunt Bauman.
Questo mi ha portato a fare anche scelte estreme, come ad esempio per la fotografia grezza e sporca, ottenuta tirando la pellicola e forzando lo sviluppo.
Sentivo l'esigenza incontenibile di emancipare il processo creativo dagli schemi classici. Non potevo e non volevo in alcun modo limitare il percorso di questi personaggi dentro un modello narrativo solido e granitico, col rischio concreto di dar vita ad una retorica artificiosa ed anacronistica. Al contrario, ho deciso di affrontare un percorso al buio, affidandomi alla sensazione più che al ‘testo letterario’. Ho provato a proseguire i percorsi tracciati dai registi
indipendenti del passato come Rossellini in Italia, Cassavetes in America o Wong Kar Wai a Hong Kong, assimilando gli insegnamenti di carattere artistico produttivo e provando a tracciare una mia personale prospettiva nella messa in scena di questa “poesia metropolitana”. Le riprese sono durate 13 notti, spalmate nell'arco di 8 mesi. Durante questo periodo ho cercato di condurre gli interpreti, il musicista e tutti i collaboratori verso questa prospettiva, svincolata appunto dagli stilemi tradizionali.
Anche il processo creativo è stato singolare. Mentre scrivevo delle scene, si lavorava anche alle ricerca di location, si componeva la musica, si costruivano i personaggi a partire dagli interpreti. E così, pian piano, anche la dimensione estetica ha preso forma. È un film che vive di contrasti, e che attraverso delle dissonanze musicali e un montaggio alternato cerca di restituire l’imprevedibilità della vita e del presente.
La musica, infatti, non è un commento sonoro, ma è il vero e proprio perno della struttura narrativa. Le scene sono state scritte e filmate senza un ordine precostituito, così come mi venivano in mente. Quello che ho generato è un puzzle di frammenti senza forma, ma solo in apparenza, poiché questa è proprio una storia di sogni perduti, nella quale i personaggi non vanno da nessuna parte, finendo per rivoltarsi su loro stessi, in preda alla malinconia e all'ebbrezza della vita.
Vi riportiamo qui di seguito la sinossi:
Un viaggio notturno che corre sui binari paralleli delle vite di quattro ragazzi, sullo sfondo di una Roma deteriorata, tanto quanto le loro certezze. Un racconto frammentario, tessuto da relazioni superficiali, dove si alternano romanticismo e brutalità, dolcezza e sofferenza, musica e silenzio.
Una ragazza ricca di talenti artistici che si ritrova a fare la hostess di aerei; un aspirante attore taciturno che vaga in sella alla sua moto in cerca di sesso occasionale; una coppia di fidanzati musicisti, che si ritrova a lavorare in nero nella cucina di un ristorante. Non si conoscono tra loro, ma vivono tutti la stessa situazione: la strada che avevano intrapreso li ha condotti in un vicolo cieco e si ritrovano alla soglia dei trent’anni senza prospettiva. Le loro ambizioni giovanili si sono scontrate con la realtà del mondo contemporaneo. Vivono in un profondo e costante disagio, nell’insoddisfazione, senza comprendere a fondo il motivo del loro malessere, rischiando così di abbandonarsi alla totale inazione o all’aggressività casuale. È solo l’abitudine, come quella di una sosta al paninaro notturno, a rendere dolce il veleno. Durante una successione di notti senza fine, i protagonisti tenteranno di affrontare le proprie fragilità, assediati da una costante insicurezza esistenziale. Il mantra per crescere e andare avanti è solo uno: crederci. Bisogna crederci, sì... ma in cosa?
Qui le note di regia:
Con questo film volevo esplorare il disagio e la frustrazione che vivono i ragazzi di oggi del mondo occidentale contemporaneo, trasmettere le loro sensazioni, le loro paure. Volevo che lo spettatore fosse in grado di sentire e vedere questa “società liquida” di cui Zygmunt Bauman.
Questo mi ha portato a fare anche scelte estreme, come ad esempio per la fotografia grezza e sporca, ottenuta tirando la pellicola e forzando lo sviluppo.
Sentivo l'esigenza incontenibile di emancipare il processo creativo dagli schemi classici. Non potevo e non volevo in alcun modo limitare il percorso di questi personaggi dentro un modello narrativo solido e granitico, col rischio concreto di dar vita ad una retorica artificiosa ed anacronistica. Al contrario, ho deciso di affrontare un percorso al buio, affidandomi alla sensazione più che al ‘testo letterario’. Ho provato a proseguire i percorsi tracciati dai registi
indipendenti del passato come Rossellini in Italia, Cassavetes in America o Wong Kar Wai a Hong Kong, assimilando gli insegnamenti di carattere artistico produttivo e provando a tracciare una mia personale prospettiva nella messa in scena di questa “poesia metropolitana”. Le riprese sono durate 13 notti, spalmate nell'arco di 8 mesi. Durante questo periodo ho cercato di condurre gli interpreti, il musicista e tutti i collaboratori verso questa prospettiva, svincolata appunto dagli stilemi tradizionali.
Anche il processo creativo è stato singolare. Mentre scrivevo delle scene, si lavorava anche alle ricerca di location, si componeva la musica, si costruivano i personaggi a partire dagli interpreti. E così, pian piano, anche la dimensione estetica ha preso forma. È un film che vive di contrasti, e che attraverso delle dissonanze musicali e un montaggio alternato cerca di restituire l’imprevedibilità della vita e del presente.
La musica, infatti, non è un commento sonoro, ma è il vero e proprio perno della struttura narrativa. Le scene sono state scritte e filmate senza un ordine precostituito, così come mi venivano in mente. Quello che ho generato è un puzzle di frammenti senza forma, ma solo in apparenza, poiché questa è proprio una storia di sogni perduti, nella quale i personaggi non vanno da nessuna parte, finendo per rivoltarsi su loro stessi, in preda alla malinconia e all'ebbrezza della vita.