"Primavera, estate, autunno, inverno ... e ancora primavera": le vostre analisi!
08/03/2022
Durante il workshop dedicato all'analisi del capolavoro di Kim Ki-duk abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere una loro analisi collegata a "Primavera, estate, autunno, inverno ... e ancora primavera": ecco i lavori che hanno meritato la pubblicazione!
Primavera, estate, autunno, inverno ... e ancora primavera
di Adele D'Ippolito
Quello di questo film è un Kim Ki-duk diverso dal regista delle sue opere precedenti. C'è un modo diverso di raccontare ... qui non ci sono urla, la realtà non viene lanciata con violenza verso i nostri occhi, ma il racconto è piuttosto una percezione silenziosa ... eventi 'forti' ci sono anche qui: un omicidio, letto però su un giornale senza alcuna descrizione, c'è un atto sessuale che noi vediamo da lontano avvicinandoci solo quando sarà finito. La ricchezza di questo film è la delicatezza, come se la trama fosse stata appoggiata sulla pellicola per lo spettatore. Il centro del film è un tempio buddista in mezzo ad un lago, una realtà racchiusa fra mura trasparenti, noi rimaniamo sempre all'interno di questa realtà dove dominano il silenzio e la pace. Tutto il resto è fuori e noi di questo 'fuori' ne sentiamo solo l'eco. Il regista racconta della vita di un monaco buddista, della ciclicità e dell'inafferrabilità ...della vita, delle cose, delle azioni, in quanto non durevoli…si 'parla' di buddismo che in realtà qui è un'occasione, un vestito indossabile da tutti, si adegua a tutti i corpi, anche se sarebbe più corretto parlare di 'essenze/spiriti'. È un film che parla senza parlare in realtà. Niente è messo a caso, né azione né oggetto ed il risultato è che sicuramente stimola lo spettatore. L'immagine del tempio in mezzo al lago, un punto fermo in una realtà ferma, è questo il palcoscenico della ciclicità degli eventi. Non si tratta però di un palcoscenico 'distante' da quanto viene raccontato: la calma di questa realtà si imprime sia nei personaggi, che in chi guarda. I personaggi sono evidentemente diversi quando scendono i monti che circondano il lago, prima di aver varcato la porta a due ante che dà accesso a questo mondo altro, ed il cambiamento non è una sorta di magia improvvisa, ma il ritmo diverso della realtà protetta si insinua ed influenza.
Kim Ki-duk spesso 'parla' senza troppi filtri in alcuni suoi film La sua genialità era che comunque parlasse, faceva arrivare il suo messaggio. Certo questo film è come una carezza rispetto agli altri ma sicuramente questa era la sua poliedricità, la sua capacità di usare differenti espressioni per parlare senza essere meno chiaro, senza arrivare meno. L’essere stato un regista come lui fa sì che, malgrado sia morto tempo fa, lui continui a parlare tramite le sue opere. Il film, come dice lo stesso titolo, è diviso in cinque capitoli, che corrispondono alle stagioni e le stagioni corrispondono alle diverse fasi della vita del monaco. Il racconto inizia con lui bambino, nella prima primavera. Con la crudeltà tipica dell'innocenza legherà per gioco ad un pesce, ad una rana e ad un serpente una pietra, facendo morire il pesce ed il serpente. La scoperta della morte segna la fine della fanciullezza. Il suo primo peccato rimarrà comunque come un peso in lui e Kim Ki-duk, che interpreta il monaco adulto che torna al monastero, dopo aver scontato un periodo in prigione per un omicidio, si muoverà, al di fuori della parte 'protetta' del lago col monastero nel mezzo, trainando una ruota di pietra legata, ai fianchi. Il peso della ruota è maggiore di quello della pietra che il suo maestro gli aveva legato sulla schiena per fargli 'sentire' l'errore che aveva fatto legando i sassi agli animali, e questo perché da allora di peccati ne ha fatti altri e ben più gravi. Il film si conclude col ritorno della primavera, il cerchio si chiude: il suo maestro è morto e lui prende il suo posto, una donna gli porta il suo bambino che rimarrà con lui. Tutto ricomincia perciò. Kim Ki-duk per sottolineare ancora di più la circolarità del vivere fa interpretare il monaco bambino e il secondo bambino da uno stesso interprete .
IL MONDO FEMMINILE IN PRIMAVERA, ESTATE, AUTUNNO, INVERNO...E ANCORA PRIMAVERA
di Maria Serena Pasinetti
Kim Ki-duk è uno dei miei registi del cuore. L’ho conosciuto con questo suo capolavoro, quando ancora non era apprezzato in patria. Da lì ho anche cominciato ad osservare con grande interesse la cinematografia coreana. Questa eccezionale pellicola ci racconta di circolarità orizzontale, di tempo e spazio, tipica della cultura orientale, accettante e accogliente (Yin e Yang), rispetto alla verticalità occidentale fatta di separatezza: bene/ male.
L’eremo buddista al centro del lago è metafora di questa visione circolare del mondo.
In questo film straordinario, una cosa tra le altre però mi ha colpito molto: la presenza /non presenza di figure femminili. Mi spiego meglio.
La ragazza che arriva durante l'estate sembra più un pretesto per l'emancipazione carnale del giovane monaco che una figura con problematiche proprie. La madre stessa sembra lasciarla come dono al giovane monaco che deve diventare adulto. Il monaco anziano capisce tutto, sa già come si evolveranno i fatti e osserva il giovane che cresce sessualmente. Quando la ragazza ha “assolto” il proprio compito, il monaco anziano dice: “Adesso sei guarita” (Adesso non servi più, potremmo tradurre), quindi la giovane viene rimandata a casa, lontano da chi, forse, si è innamorato di lei.
Il giovane monaco parte, per rincorrere il suo bisogno sessuale e torna dopo un delitto commesso nei confronti della moglie. La donna "uccisa" serve a far tornare ed espiare il monaco, e sarà solo un nome su un articolo di giornale, un altro “pretesto”.
Infine, la donna che porta il bambino, futuro monaco, all’eremo ha il volto coperto, quasi a vergognarsi forse di abbandonare il bambino, con la mera funzione di aiutare la riproduzione del ciclo vitale.
Sono tre le donne (anzi quattro) che si mettono al servizio dello scorrere della vita nelle sue stagioni, per fare in modo che la vita continui; infatti, senza di loro non c’è crescita, non c’è nuova vita.
È un mondo femminile che subisce violenza e questo penso e voglio credere che sia una critica alla società coreana, molto violenta verso il mondo femminile.
Senza voler analizzare tutta la cinematografia di Kim Ki-duk, due figure femminili mi hanno colpito particolarmente nei suoi film.
Una è l'interprete di Ferro3, che trova l'amore in qualcuno che non ha nulla di carnale (non ha addirittura peso) o forse non esiste, liberandosi così da un marito violento (la Corea stessa?).
La seconda è l'interprete di Soffio, che va in carcere a mettere in atto una delle grandi caratteristiche femminili: la fantasia (sì la fantasia al potere) e forse lo fa perché nessuno le chiederà nulla in cambio.
Primavera, estate, autunno, inverno…. e ancora primavera di Kim Ki-duk
di Giulia Pugliese
“O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia. Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale” (Canzone dei dodici mesi, Francesco Guccini)
Il regista coreano sempre molto attento all’immagine crea con questo film una nuova forma di estetista, che richiama all’ascetismo e alla religione buddista, non ignorando però echi del cristianesimo e la crudeltà umana, sempre molto presente nei film del regista.
Un bambino, un ragazzo e un uomo, la crescita di un essere umano: ci saranno dei passaggi obbligati, degli errori, delle scoperte e delle nuove consapevolezze. In un luogo isolato dal resto del mondo, un bambino diventa ragazzo per poi diventare un uomo nel mondo reale e poi ritornare nel luogo della sua fanciullezza.
Il film si interroga sui paradigmi morali della vita e sui passaggi obbligati della crescita umana: l’uomo come parte di un tutto naturale è soggetto alle leggi di natura e ai suoi istinti come il serpente, il pesce e la rana? Quanto della nostra vita è dettato dalle nostre decisioni? Quanto di quello che facciamo è consapevole o è solo il perpetuarsi della specie? Le scelte che compiamo sono reali o c’è una sorta di tracciato che noi seguiamo?
Il luogo (La Natura vs Maestro)
Un vecchio e un bambino vivono in un luogo che non sembra soggetto alle normali leggi dello spazio e del tempo, dove però tuttavia le stagioni passano e le persone invecchiano. Un luogo attorniato dalla natura, dove però la natura e gli altri esseri umani entrano solo se traghettati, una sorta di sistema autonomo e auto sostenibile, dove il bambino può crescere protetto e apprendere i dettami del Maestro, ma appena il bambino esce dal luogo ed incontra la natura questa gli sembra più attrattiva ed è più facile interagire con lei e apprendere da questa. Il Maestro insegna al bambino e al ragazzo i dettami spirituali, ma mai come è la vita fuori dal luogo in cui vivono, mai le leggi naturali che lui apprenderà guardando la natura stessa.
È impressionante sapere che il lago in cui è girato il film è un lago artificiale, il regista ha fortemente voluto girare in questa location (ha aspettato lungamente i permessi dal Governo per girare lì), perché gli alberi che affondavano le radici e crescevano nel lago davano un’aurea mistica al luogo; inoltre anche il tempio è stato creato appositamente per il film e poi distrutto in seguito. In un film che rimanda perennemente ad un’idea di natura, di crescita nella natura e alla ricerca della veridicità dell’esistenza umana ci interfacciamo con un vero e proprio set cinematografico e un lago creato dall’uomo.
I Bambini
Nella psicologia il bambino è visto come una forma non definitiva ma in evoluzione, attraverso vari stadi diventerà un individuo adulto, la definizione psicologica di bambino coincide perfettamente con le trame del film. Il bambino del film segue il maestro e i suoi dettami, senza davvero mai interrogarsi su questi e inizia a commettere peccato proprio fuori dal luogo di controllo del maestro, quando pensa che egli non lo veda, come se comunque sapesse di fare qualcosa di sbagliato.
Se invece consideriamo la sociologia, la crescita umana non è così predefinita ma legata alle esperienze singole che ciascuno fa, la sociologia considera il bambino nel tutto sociale e nella sua funzione di perpetuare il sistema sociale, anche questa definizione di bambino viene toccata dal film perché quando il nostro protagonista devierà verrà riportato alle regole sociali del mondo esterno e quelle spirituali del mondo interno.
I bambini quando torturano gli animali lo fanno per pura curiosità e non sono consapevoli delle conseguenze o già portano dentro di loro la crudeltà dell’uomo adulto? Il bambino smette di essere tale quando scopre la morte, ma il senso di morte e la curiosità per questa sono insite in lui, come il rimorso quando fa qualcosa di sbagliato, come dice il Maestro il sasso che si porterà per sempre sul cuore, anche se tuttavia non sarà abbastanza per impedirgli di uccidere ancora.
Pulsione di sesso e di morte (il ragazzo)
Il ragazzo imparerà dalla Natura cos’è l’amore e il sesso (guardando due serpenti che si riproducono, e non pare un caso che venga usato un animale che rappresenta il peccato nella religione cristiana) e ne calcherà le gesta nello stesso identico modo.
La ragazza viene portata nel luogo per essere guarita e così succederà perché l’amore guarisce l’anima, ma allo stesso tempo funge da tentazione per il ragazzo, che se ne innamorerà e lascerà per sempre il suo luogo di crescita. Come la mela dell’albero della conoscenza per Adamo ed Eva, la ragazza diventa lo strumento per disobbedire e auto-cacciarsi del giardino dell’Eden, ma anche strumento di consapevolezza del ragazzo che finalmente smette di seguire pedissequamente il maestro e prendere una decisione propria, andando via si porterà la gallina e il Buddha, il primo sarà nutrimento per lo stomaco e il secondo per l’anima.
È Interessante che il maestro riveli al suo alunno il suo destino, senza che questo lo colga. Il maestro unisce quello che Sigmund Freud contrapponeva; se Freud, infatti, contrappone il principio di vita, l’Eros, e il principio di morte, Thanatos, il maestro dice “il desiderio genera dipendenza e la dipendenza dà origine a pensieri mortali”. Per Freud, Eros è un impulso libidico che deve essere soddisfatto, ma se incanalato attraverso la coscienza diventa un principio di realtà che permette all’individuo di compiere atti concreti; all’opposto il principio di Thanatos è un impulso di tipo distruttivo che porta alla violenza verso gli altri o verso se stessi. Per Freud i due opposti esistono dentro di noi e si combattono vicendevolmente, mentre per il Maestro si alimentano: il desiderio causa la dipendenza e la dipendenza causa i pensieri mortali.
Il mondo esterno e il compiersi del destino
Il regista sceglie di non farci vedere il mondo esterno e cosa avviene lì, ma è nel mondo esterno che il ragazzo diventa uomo. Il registra preserva lo spettatore dal vedere il passaggio più tragico e più violento della vita del protagonista; tuttavia, ci fa vedere come il Maestro finalmente lo punisca, anche in maniera fisica e come l’uomo compia un mutamento verso la redenzione attraverso esercizi spirituali che lo porteranno alla piena consapevolezza di se stesso. L’esterno ritornerà nella veste di due poliziotti che aspetteranno il compiersi di questo processo e contribuiranno alla redenzione del protagonista portandolo in prigione, dove queste espierà i propri peccati completamente. Se nel luogo del Maestro e dell’allievo non ci sono le regole dello spazio e del tempo, esiste tuttavia la regola di causa-effetto e di delitto-castigo.
Il ritorno dell’eroe e l’eterno ritorno
L’uomo, compiuto pienamente il suo cammino, ritorna come in tutti i viaggi eroici che si rispettino con la risposta dentro di sé: i riti sia spirituali che fisici lo renderanno puro (ritornano i simboli del cristianesimo come la croce da portare sulla montagna) e una nuova missione creare un Buddha fatto della materia naturale del luogo (l’acqua) che conterà i segreti del nuovo maestro. Ma un Maestro non è tale senza un alunno, quindi l’arrivo di una donna senza volto con un bambino, per rendere misterioso il personaggio, ma anche miserabile perché abbandonerà suo figlio e la giustizia divina la punirà. Non conosceremo mai il volto della donna (lo stesso Maestro decide di non scoprirlo) ma questa permetterà il compiersi del destino del protagonista.
Il cerchio si chiude, c’è un Maestro e un alunno come all’inizio, le stagioni continuano a susseguirsi, il bambino conoscerà la morte e l’amore e forse farà gli stessi errori del suo maestro, o forse no. Ma l’equilibrio naturale delle cose si è stabilizzato e il tutto prosegue.
Primavera, estate, autunno, inverno ... e ancora primavera
di Adele D'Ippolito
Quello di questo film è un Kim Ki-duk diverso dal regista delle sue opere precedenti. C'è un modo diverso di raccontare ... qui non ci sono urla, la realtà non viene lanciata con violenza verso i nostri occhi, ma il racconto è piuttosto una percezione silenziosa ... eventi 'forti' ci sono anche qui: un omicidio, letto però su un giornale senza alcuna descrizione, c'è un atto sessuale che noi vediamo da lontano avvicinandoci solo quando sarà finito. La ricchezza di questo film è la delicatezza, come se la trama fosse stata appoggiata sulla pellicola per lo spettatore. Il centro del film è un tempio buddista in mezzo ad un lago, una realtà racchiusa fra mura trasparenti, noi rimaniamo sempre all'interno di questa realtà dove dominano il silenzio e la pace. Tutto il resto è fuori e noi di questo 'fuori' ne sentiamo solo l'eco. Il regista racconta della vita di un monaco buddista, della ciclicità e dell'inafferrabilità ...della vita, delle cose, delle azioni, in quanto non durevoli…si 'parla' di buddismo che in realtà qui è un'occasione, un vestito indossabile da tutti, si adegua a tutti i corpi, anche se sarebbe più corretto parlare di 'essenze/spiriti'. È un film che parla senza parlare in realtà. Niente è messo a caso, né azione né oggetto ed il risultato è che sicuramente stimola lo spettatore. L'immagine del tempio in mezzo al lago, un punto fermo in una realtà ferma, è questo il palcoscenico della ciclicità degli eventi. Non si tratta però di un palcoscenico 'distante' da quanto viene raccontato: la calma di questa realtà si imprime sia nei personaggi, che in chi guarda. I personaggi sono evidentemente diversi quando scendono i monti che circondano il lago, prima di aver varcato la porta a due ante che dà accesso a questo mondo altro, ed il cambiamento non è una sorta di magia improvvisa, ma il ritmo diverso della realtà protetta si insinua ed influenza.
Kim Ki-duk spesso 'parla' senza troppi filtri in alcuni suoi film La sua genialità era che comunque parlasse, faceva arrivare il suo messaggio. Certo questo film è come una carezza rispetto agli altri ma sicuramente questa era la sua poliedricità, la sua capacità di usare differenti espressioni per parlare senza essere meno chiaro, senza arrivare meno. L’essere stato un regista come lui fa sì che, malgrado sia morto tempo fa, lui continui a parlare tramite le sue opere. Il film, come dice lo stesso titolo, è diviso in cinque capitoli, che corrispondono alle stagioni e le stagioni corrispondono alle diverse fasi della vita del monaco. Il racconto inizia con lui bambino, nella prima primavera. Con la crudeltà tipica dell'innocenza legherà per gioco ad un pesce, ad una rana e ad un serpente una pietra, facendo morire il pesce ed il serpente. La scoperta della morte segna la fine della fanciullezza. Il suo primo peccato rimarrà comunque come un peso in lui e Kim Ki-duk, che interpreta il monaco adulto che torna al monastero, dopo aver scontato un periodo in prigione per un omicidio, si muoverà, al di fuori della parte 'protetta' del lago col monastero nel mezzo, trainando una ruota di pietra legata, ai fianchi. Il peso della ruota è maggiore di quello della pietra che il suo maestro gli aveva legato sulla schiena per fargli 'sentire' l'errore che aveva fatto legando i sassi agli animali, e questo perché da allora di peccati ne ha fatti altri e ben più gravi. Il film si conclude col ritorno della primavera, il cerchio si chiude: il suo maestro è morto e lui prende il suo posto, una donna gli porta il suo bambino che rimarrà con lui. Tutto ricomincia perciò. Kim Ki-duk per sottolineare ancora di più la circolarità del vivere fa interpretare il monaco bambino e il secondo bambino da uno stesso interprete .
IL MONDO FEMMINILE IN PRIMAVERA, ESTATE, AUTUNNO, INVERNO...E ANCORA PRIMAVERA
di Maria Serena Pasinetti
Kim Ki-duk è uno dei miei registi del cuore. L’ho conosciuto con questo suo capolavoro, quando ancora non era apprezzato in patria. Da lì ho anche cominciato ad osservare con grande interesse la cinematografia coreana. Questa eccezionale pellicola ci racconta di circolarità orizzontale, di tempo e spazio, tipica della cultura orientale, accettante e accogliente (Yin e Yang), rispetto alla verticalità occidentale fatta di separatezza: bene/ male.
L’eremo buddista al centro del lago è metafora di questa visione circolare del mondo.
In questo film straordinario, una cosa tra le altre però mi ha colpito molto: la presenza /non presenza di figure femminili. Mi spiego meglio.
La ragazza che arriva durante l'estate sembra più un pretesto per l'emancipazione carnale del giovane monaco che una figura con problematiche proprie. La madre stessa sembra lasciarla come dono al giovane monaco che deve diventare adulto. Il monaco anziano capisce tutto, sa già come si evolveranno i fatti e osserva il giovane che cresce sessualmente. Quando la ragazza ha “assolto” il proprio compito, il monaco anziano dice: “Adesso sei guarita” (Adesso non servi più, potremmo tradurre), quindi la giovane viene rimandata a casa, lontano da chi, forse, si è innamorato di lei.
Il giovane monaco parte, per rincorrere il suo bisogno sessuale e torna dopo un delitto commesso nei confronti della moglie. La donna "uccisa" serve a far tornare ed espiare il monaco, e sarà solo un nome su un articolo di giornale, un altro “pretesto”.
Infine, la donna che porta il bambino, futuro monaco, all’eremo ha il volto coperto, quasi a vergognarsi forse di abbandonare il bambino, con la mera funzione di aiutare la riproduzione del ciclo vitale.
Sono tre le donne (anzi quattro) che si mettono al servizio dello scorrere della vita nelle sue stagioni, per fare in modo che la vita continui; infatti, senza di loro non c’è crescita, non c’è nuova vita.
È un mondo femminile che subisce violenza e questo penso e voglio credere che sia una critica alla società coreana, molto violenta verso il mondo femminile.
Senza voler analizzare tutta la cinematografia di Kim Ki-duk, due figure femminili mi hanno colpito particolarmente nei suoi film.
Una è l'interprete di Ferro3, che trova l'amore in qualcuno che non ha nulla di carnale (non ha addirittura peso) o forse non esiste, liberandosi così da un marito violento (la Corea stessa?).
La seconda è l'interprete di Soffio, che va in carcere a mettere in atto una delle grandi caratteristiche femminili: la fantasia (sì la fantasia al potere) e forse lo fa perché nessuno le chiederà nulla in cambio.
Primavera, estate, autunno, inverno…. e ancora primavera di Kim Ki-duk
di Giulia Pugliese
“O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia. Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale” (Canzone dei dodici mesi, Francesco Guccini)
Il regista coreano sempre molto attento all’immagine crea con questo film una nuova forma di estetista, che richiama all’ascetismo e alla religione buddista, non ignorando però echi del cristianesimo e la crudeltà umana, sempre molto presente nei film del regista.
Un bambino, un ragazzo e un uomo, la crescita di un essere umano: ci saranno dei passaggi obbligati, degli errori, delle scoperte e delle nuove consapevolezze. In un luogo isolato dal resto del mondo, un bambino diventa ragazzo per poi diventare un uomo nel mondo reale e poi ritornare nel luogo della sua fanciullezza.
Il film si interroga sui paradigmi morali della vita e sui passaggi obbligati della crescita umana: l’uomo come parte di un tutto naturale è soggetto alle leggi di natura e ai suoi istinti come il serpente, il pesce e la rana? Quanto della nostra vita è dettato dalle nostre decisioni? Quanto di quello che facciamo è consapevole o è solo il perpetuarsi della specie? Le scelte che compiamo sono reali o c’è una sorta di tracciato che noi seguiamo?
Il luogo (La Natura vs Maestro)
Un vecchio e un bambino vivono in un luogo che non sembra soggetto alle normali leggi dello spazio e del tempo, dove però tuttavia le stagioni passano e le persone invecchiano. Un luogo attorniato dalla natura, dove però la natura e gli altri esseri umani entrano solo se traghettati, una sorta di sistema autonomo e auto sostenibile, dove il bambino può crescere protetto e apprendere i dettami del Maestro, ma appena il bambino esce dal luogo ed incontra la natura questa gli sembra più attrattiva ed è più facile interagire con lei e apprendere da questa. Il Maestro insegna al bambino e al ragazzo i dettami spirituali, ma mai come è la vita fuori dal luogo in cui vivono, mai le leggi naturali che lui apprenderà guardando la natura stessa.
È impressionante sapere che il lago in cui è girato il film è un lago artificiale, il regista ha fortemente voluto girare in questa location (ha aspettato lungamente i permessi dal Governo per girare lì), perché gli alberi che affondavano le radici e crescevano nel lago davano un’aurea mistica al luogo; inoltre anche il tempio è stato creato appositamente per il film e poi distrutto in seguito. In un film che rimanda perennemente ad un’idea di natura, di crescita nella natura e alla ricerca della veridicità dell’esistenza umana ci interfacciamo con un vero e proprio set cinematografico e un lago creato dall’uomo.
I Bambini
Nella psicologia il bambino è visto come una forma non definitiva ma in evoluzione, attraverso vari stadi diventerà un individuo adulto, la definizione psicologica di bambino coincide perfettamente con le trame del film. Il bambino del film segue il maestro e i suoi dettami, senza davvero mai interrogarsi su questi e inizia a commettere peccato proprio fuori dal luogo di controllo del maestro, quando pensa che egli non lo veda, come se comunque sapesse di fare qualcosa di sbagliato.
Se invece consideriamo la sociologia, la crescita umana non è così predefinita ma legata alle esperienze singole che ciascuno fa, la sociologia considera il bambino nel tutto sociale e nella sua funzione di perpetuare il sistema sociale, anche questa definizione di bambino viene toccata dal film perché quando il nostro protagonista devierà verrà riportato alle regole sociali del mondo esterno e quelle spirituali del mondo interno.
I bambini quando torturano gli animali lo fanno per pura curiosità e non sono consapevoli delle conseguenze o già portano dentro di loro la crudeltà dell’uomo adulto? Il bambino smette di essere tale quando scopre la morte, ma il senso di morte e la curiosità per questa sono insite in lui, come il rimorso quando fa qualcosa di sbagliato, come dice il Maestro il sasso che si porterà per sempre sul cuore, anche se tuttavia non sarà abbastanza per impedirgli di uccidere ancora.
Pulsione di sesso e di morte (il ragazzo)
Il ragazzo imparerà dalla Natura cos’è l’amore e il sesso (guardando due serpenti che si riproducono, e non pare un caso che venga usato un animale che rappresenta il peccato nella religione cristiana) e ne calcherà le gesta nello stesso identico modo.
La ragazza viene portata nel luogo per essere guarita e così succederà perché l’amore guarisce l’anima, ma allo stesso tempo funge da tentazione per il ragazzo, che se ne innamorerà e lascerà per sempre il suo luogo di crescita. Come la mela dell’albero della conoscenza per Adamo ed Eva, la ragazza diventa lo strumento per disobbedire e auto-cacciarsi del giardino dell’Eden, ma anche strumento di consapevolezza del ragazzo che finalmente smette di seguire pedissequamente il maestro e prendere una decisione propria, andando via si porterà la gallina e il Buddha, il primo sarà nutrimento per lo stomaco e il secondo per l’anima.
È Interessante che il maestro riveli al suo alunno il suo destino, senza che questo lo colga. Il maestro unisce quello che Sigmund Freud contrapponeva; se Freud, infatti, contrappone il principio di vita, l’Eros, e il principio di morte, Thanatos, il maestro dice “il desiderio genera dipendenza e la dipendenza dà origine a pensieri mortali”. Per Freud, Eros è un impulso libidico che deve essere soddisfatto, ma se incanalato attraverso la coscienza diventa un principio di realtà che permette all’individuo di compiere atti concreti; all’opposto il principio di Thanatos è un impulso di tipo distruttivo che porta alla violenza verso gli altri o verso se stessi. Per Freud i due opposti esistono dentro di noi e si combattono vicendevolmente, mentre per il Maestro si alimentano: il desiderio causa la dipendenza e la dipendenza causa i pensieri mortali.
Il mondo esterno e il compiersi del destino
Il regista sceglie di non farci vedere il mondo esterno e cosa avviene lì, ma è nel mondo esterno che il ragazzo diventa uomo. Il registra preserva lo spettatore dal vedere il passaggio più tragico e più violento della vita del protagonista; tuttavia, ci fa vedere come il Maestro finalmente lo punisca, anche in maniera fisica e come l’uomo compia un mutamento verso la redenzione attraverso esercizi spirituali che lo porteranno alla piena consapevolezza di se stesso. L’esterno ritornerà nella veste di due poliziotti che aspetteranno il compiersi di questo processo e contribuiranno alla redenzione del protagonista portandolo in prigione, dove queste espierà i propri peccati completamente. Se nel luogo del Maestro e dell’allievo non ci sono le regole dello spazio e del tempo, esiste tuttavia la regola di causa-effetto e di delitto-castigo.
Il ritorno dell’eroe e l’eterno ritorno
L’uomo, compiuto pienamente il suo cammino, ritorna come in tutti i viaggi eroici che si rispettino con la risposta dentro di sé: i riti sia spirituali che fisici lo renderanno puro (ritornano i simboli del cristianesimo come la croce da portare sulla montagna) e una nuova missione creare un Buddha fatto della materia naturale del luogo (l’acqua) che conterà i segreti del nuovo maestro. Ma un Maestro non è tale senza un alunno, quindi l’arrivo di una donna senza volto con un bambino, per rendere misterioso il personaggio, ma anche miserabile perché abbandonerà suo figlio e la giustizia divina la punirà. Non conosceremo mai il volto della donna (lo stesso Maestro decide di non scoprirlo) ma questa permetterà il compiersi del destino del protagonista.
Il cerchio si chiude, c’è un Maestro e un alunno come all’inizio, le stagioni continuano a susseguirsi, il bambino conoscerà la morte e l’amore e forse farà gli stessi errori del suo maestro, o forse no. Ma l’equilibrio naturale delle cose si è stabilizzato e il tutto prosegue.