Crescere significa attraversare terre di nessuno. Enzo, ultimo progetto di Laurent Cantet poi completato da Robin Campillo, mette in scena proprio quel momento fragile in cui un adolescente non è più ciò che era e non è ancora ciò che sarà. Non ci sono proclami, né parabole rassicuranti: ci sono scelte improvvise, sguardi che bruciano e silenzi che pesano più delle parole.
Al centro, un ragazzo che decide di lasciare gli studi universitari e di sporcarsi le mani in un cantiere edile. Non è un semplice capriccio: è il gesto di chi cerca un contatto con qualcosa di vero, di fisico, che sfugga alle coordinate già tracciate dalla sua famiglia borghese. Nel cemento fresco e nella fatica quotidiana, Enzo tenta di costruire se stesso, mattone dopo mattone, come se la materia potesse insegnargli chi diventare.
La famiglia resta un orizzonte che incombe, più che un porto sicuro. Il padre, interpretato da Pierfrancesco Favino, è la voce dell’autorità che non concede ascolto. Non un despota, ma una figura che pesa, che pretende, che soffoca. La madre è più discreta, quasi silenziosa: accompagna ma non comprende fino in fondo. Il risultato è un intreccio di incomunicabilità che non esplode mai in conflitti plateali, ma che si manifesta nelle pause, nelle parole non dette, negli sguardi che scivolano via.
L’adolescenza, del resto, è sempre una stagione sospesa. Enzo lo racconta con onestà: senza idealizzazioni, senza la nostalgia di un’età spensierata. Qui la giovinezza è un terreno fragile, fatto di esitazioni e tentativi. Il lavoro manuale diventa un rito di passaggio: non solo sudore e fatica, ma anche un modo per demolire i muri che altri hanno alzato intorno al protagonista. Non sappiamo se sarà un percorso definitivo o una fuga temporanea: ciò che conta è l’urgenza di provare, di mettere alla prova se stesso.
Il film si muove tra due mondi in collisione: la villa borghese e il cantiere operaio, la promessa di un futuro accademico e l’incertezza della precarietà. Nessuno dei due viene idealizzato, nessuno demonizzato. Cantet e Campillo scelgono invece di mostrare il cortocircuito che nasce dal loro incontro, e di affidare allo spettatore il compito di trarne un senso.
Dentro a questa frattura si inserisce il desiderio. Enzo guarda Vlad, un collega ucraino, con un misto di curiosità, attrazione e timore. Non c’è dichiarazione, non c’è confessione: c’è un linguaggio fatto di sguardi, esitazioni, vicinanze. È un cinema che non esplicita, che preferisce il silenzio all’enfasi, e che proprio nel non detto trova la sua forza narrativa. Il desiderio diventa così una lente attraverso cui leggere l’intera vicenda: non un elemento isolato, ma un movimento interiore che scuote ogni scelta del protagonista.
Ma Vlad porta con sé anche un’eco più grande: quella della guerra in Ucraina, che resta sullo sfondo ma che incombe come minaccia costante. Per gli operai stranieri del cantiere, la precarietà non è solo economica: è la possibilità di dover tornare al fronte. Questo innesto geopolitico non schiaccia la storia di Enzo, ma la amplifica: la sua adolescenza non è mai del tutto privata, perché si confronta con il peso del mondo, con il destino di chi non può scegliere.
Il percorso del film rispecchia quello del protagonista. Cantet non ha potuto completarlo, e a farlo è stato Campillo, suo compagno di percorso artistico. Enzo è quindi anche un atto di continuità, un gesto di eredità. Un racconto di formazione che diventa esso stesso frutto di una trasmissione tra autori. L’opera si fa specchio della sua genesi: un lavoro incompiuto che trova nuova voce, un’identità che si definisce proprio nel passaggio da una mano all’altra.
Enzo è, in definitiva, un film che parla di crescita senza promettere consolazioni. Ci mostra un ragazzo in bilico, sospeso tra famiglia e fuga, tra desiderio e silenzio, tra un’identità borghese che gli sta stretta e un futuro incerto che lo attrae. Come spettatori, siamo invitati a stare in quella sospensione, ad abitare il vuoto insieme a lui. Perché crescere non significa arrivare: significa attraversare.
Carmen Apadula