Come si può essere sempre ostinatamente poetici e far ridere?

Non solo Sorrentino e Schrader: oggi è anche la giornata di Roberto Benigni, insignito del Leone d'Oro alla carriera.
L'attore toscano, simbolo di un'espressività registica e attoriale tanto prorompente quanto sognante e giocosa, ha tenuto una masterclass durante la quale ha ripercorso, prima ancora dei grandi successi della propria carriera, le profonde suggestioni suscitate in lui dai grandi modelli del cinema comico. Animatore e mattatore instancabile, nonostante fosse chiamato a ricoprire il ruolo di protagonista indiscusso, Benigni ha preferito dedicare il proprio momento di gloria ad altri. O meglio, a tutti coloro che lo hanno accompagnato nell'arco di una carriera prolifica e fortunata e dai quali ha ricevuto preziosi stimoli e insegnamenti.
Incalzato da Gianni Canova, Benigni ha aperto le danze con un excursus dedicato a personaggi del calibro di Charlie Chaplin, Totò e Jacques Tati, maestri indiscussi e inimitabili al cospetto dei quali, servendosi di un vero e proprio flusso di coscienza artistica, si è posto come allievo piccolo piccolo e imparagonabile.
Recitare è un mistero. Non ha nulla a che vedere con l'imitazione.
Tra racconti felliniani, manifesta ammirazione nei confronti di Pietro Germi e Luis Buñuel e ricordi di Giuseppe Bertolucci e Jim Jarmusch, registi ai quali deve «tutto», Roberto Benigni ha dedicato ampio spazio anche numerose riflessioni nei confronti del cinema come professione, come mestiere a suo dire spesso frainteso nelle sue implicazioni fisiche ed emotive. Fare cinema, racconta Benigni, è un lavoro che regala gioie impareggiabili, certo, ma che richiede anche costanti impegno, entusiasmo, ma soprattutto fatica: «Non mi piace quando, parlando di un film, gli attori e i registi affermano "Ci siamo divertiti un sacco". Fellini aveva paura e si sentiva morire ogni volta che realizzava un film».
Mia madre diceva sempre: “Studia, Roberto, che l’istruzione è la cosa più importante della vita”.
Si sbagliava, la cosa più importante è il sentimento.

Fluviale e concitato (c'era forse da stupirsi?), Roberto Benigni ha regalato alla Mostra del Cinema un incontro denso di stimoli e riferimenti culturali, saltellando da Walt Whitman a Cervantes e passando, ovviamente, per l'amatissimo Dante, il cui linguaggio risuona costantemente nelle appassionate orazioni dell'attore toscano (eppure, se gli doveste chiedere in quale personaggio della Divina Commedia si identifichi di più, farebbe fatica a rispondere...).
Soprattutto, però, ha dato vita a un caloroso dialgo tra appassionati - giovani e non - condividendo con loro il proprio amore incondizionato per quella (talvolta salvifica) reale finzione che è il cinema.