Milano Film Festival 2016 – Remake & Match: Intervista a Davide Rapp
11/09/2016

Abbiamo intervistato Davide Rapp, artista italiano che presenta al Milano Film Festival Remake & Match, un insieme di esperimenti visuali che indagano il rapporto del cinema con ma percezione dello spettatore. Ecco cosa è venuto fuori dalla nostra conversazione:

Partiamo da una domanda generica: in proporzione, quanto del tuo lavoro è concettuale e quanto estetico?

Direi 90% concettuale, visto che parte da un’idea già esistente e finisce per avere un esito estetico. In generale è una cosa che si scopre nel momento stesso in cui il lavoro viene creato e montato: succede che inizialmente ho un’idea su un possibile montaggio, lo provo come un esperimento e poi mi accorgo che può diventare intrattenimento.

Ho notato che hai studiato architettura. Che peso ha questo sui tuoi lavori di videomaking?

Ho studiato architettura e ho fatto l’architetto fino a due anni fa, poi ho fatto questo lavoro che si chiama Elements per la Biennale di Venezia (l’architettura attraverso i film) e ciò mi ha cambiato la prospettiva lavorativa. I miei lavori sono comunque sicuramente influenzati dai miei studi, il tentativo è quello di legare il lavoro di architetto con il cinema e dare un punto di vista legato allo spazio e all’architettura implicita nei film, argomento che ultimamente è molto indagato, ma spesso in maniera superficiale.

Fra i tuoi lavori, il primo che ho visto è il segmento tratto dal film del 1921 di Buster Keaton. Si tratta di cinema muto che tu smonti e rimonti sia dal punto di vista visuale che da quello musicale. Geometrie e musica:  qual è il valore della musica in questo segmento?

La cosa interessante del lavorare sui film muti è che qualunque musica si scelga di sovrapporre, il risultato ottenuto è inaspettato. Solitamente nei film di Buster Keaton ci sono musiche che sottolineano la comicità della pellicola; in questo lavoro, siccome stavo manipolando un po’ lo sviluppo narrativo e spaziale della vicenda, ho provato ad aggiungere della musica elettronica scegliendo un pezzo adatto a sottolineare determinati punti. Quando non hai un musicista a disposizione non è così facile riuscire a ottenere un risultato efficace. A mio parere, comunque, di per se il cinema muto con la musica elettronica funziona e sono esperimenti già stati fatti: pensa alla colonna sonora di Metropolis.  Nelle ultime produzioni sto cercando dei musicisti che collaborino con me e nel frammento tratto da Shining ho chiesto a Massimiliano Savino di svilupparci attorno una musica apposita. Lui ha fatto lo stesso lavoro che faccio io dal punto di vista visuale con la musica: è partito dall’audio originale e l’ ha ricombinato e remixato.

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Un altro tuo esperimento visuale che mi ha colpito è la “rivisitazione†della famosa scena di Shining del piccolo Danny che percorre in triciclo i corridoi dell’Overlook Hotel. È forse un tentativo di rappresentare “la luccicanza†(appunto “the shiningâ€)? Come lo hai concepito?

Quello dovrebbe essere il primo di una nuova serie di video in cui sostanzialmente l’esperimento consiste nel prendere dei pianisequenza di film in cui lo spazio di movimento è ben evidente (come il corridoio di Shining o quello di Elephant di Gus Van Sant), scomporli in una serie di fotogrammi e posizionarli cercando di ricostruire fisicamente la geometria dello spazio attraversato dalla telecamera per poi muovervisi dentro con una nuova telecamera digitale, in modo da mostrare quello spazio e poi nuovamente mostrare la sequenza. In quel video, quindi, visto che i fotogrammi sono trasparenti: tu vedi Danny ma puoi vedere Danny l’istante dopo, quello dopo ancora e così via, e in questo caso alla fine si finisce per avere un senso di per sé legato al film che, come hai detto tu, è quello dello Shining, della luccicanza.

Nei “seeing double†o “seeing triple†Psycho, Piranha, Back to The Future e Alice in Wonderland che importanza ha l’elemento della memoria? Quanto conta il confronto fra presente e passato?

Il tutto parte da una mia passione perversa per il remake che, soprattutto in questo periodo, è una cosa molto diffusa; il pubblico è molto critico a riguardo ma il cinema da sempre fa remake, quindi io tendo a considerarlo quasi un genere a sé e trovo interessante che qualcuno si approcci a un’opera del passato ricalcandola ma introducendo elementi di differenza. In questi video che presentiamo oggi c’è questa idea di far vedere come registi diversi in tempi e modi diversi si siano confrontati con film che hanno amato e abbiano tentato di trovare delle variazioni personali. Nei segmenti di Alice in Wonderland secondo me è interessante vedere come i due film della Disney – il cartone e quello di Tim Burton –  siano molto simili, mentre la versione televisiva del 2009 realizzata a budget minore e in chiave fantascientifica ha creato qualche espediente interessante.

Secondo te c’è distanza fra videomaker  e regista?

Quando mi si chiede di definire il lavoro che faccio, io dico architetto e videomaker: il primo perché sono legato al mio passato recente che mi porta a continuare a vedere il mondo in una certa prospettiva, il secondo perché ho troppo rispetto per il lavoro del regista per definirmi tale, almeno finché non avrò la possibilità di girare qualcosa di originale. Il videomaker, quindi, non è né un regista né un videoamatore, ma qualcuno che lavora con i video in maniera diversificata.

Quali generi cinematografici influiscono maggiormente sul tuo lavoro? E quali preferisci?

Sono praticamente onnivoro, non c’è un genere o un regista. Quando inizi a vedere i film come materiale manipolabile la prospettiva cambia notevolmente e qualunque film diventa indagabile. Forse le mie passioni personali sono più legate alla fantascienza, che è il genere più legato all’architettura: propone scenari sulle città del futuro, utilizza architetture preesistenti reinventandole, per cui quello forse è il genere che sento più mio.

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