Cinema e sessismo: 11 registe e dive in lotta contro Hollywood
13/03/2021

In 126 anni di cinema le donne hanno dovuto affrontare di tutto, dal razzismo al sessismo, passando per la transfobia. Alcune di esse sono state però capaci di realizzare, nonostante le molte difficoltà, alcune delle immagini più belle e significative della storia della Settima Arte.

Dopo anni di gender studies, è ormai un dato di fatto che Hollywood sia stata per moltissimi decenni non solo guidata da uomini, ma più propriamente maschilista mostrandoci donne belle, serafiche e spesso semplici controparti del protagonista maschile. Tuttavia, alcune di esse si sono imposte sin da subito in una battaglia per l'uguaglianza che è tutt’ora ben lontana dall’essere conclusa.



In questo senso, il 2021 sembrerebbe segnare una piccola svolta: basti citare le tre candidature di Emerald Fennell, Regina King e ovviamente della vincitrice Chloé Zhao all’ultima edizione dei Golden Globes (e, con ogni probabilità, agli Oscar). Ecco allora perché, proprio in questo momento così significativo, è necessario guardarsi indietro per riscoprire 11 registe e dive che potrebbero rappresentare una storia alternativa del cinema americano: 


1. Alice Guy-Blaché: la regista che nell'era del muto vide il suo set smantellato per ricavarne legna da ardere

Segretaria del magnate del cinema francese Léon Gaumont, Alice Guy-Blaché è stata una delle prime persone a prendere in mano una cinepresa e a realizzare un film narrativo: The Cabbage Fairy del 1896. Divenne presto il capo della produzione di Gaumont e realizzò centinaia di film, mettendo in mostra gli esperimenti della compagnia con il colore e il primo tentativo di ottenere un sonoro sincronizzato. Ma quando il suo dipartimento diventò redditizio, dovette affrontare le pressioni che miravano alla sua sostituzione e fu costretta ad appellarsi all’aiuto di Gustave Eiffel per salvare il suo lavoro. Il sabotaggio definitivo arrivò quando pezzi del set del suo film La vita di Cristo vennero usati come legna da ardere. È stata poi cancellata dalla storia ufficiale di Gaumont e, come molte delle sue coetanee, ha trascorso il resto della sua vita a lottare per preservare i suoi film e la sua reputazione.



2. Mabel Normand: leggenda del cinema muto e mentore di Chaplin distrutta dagli scandali 

Tutti abbiamo in mente la classica immagine da film muto con la ragazza legata ai binari del treno in arrivo: quell'immagine proviene da Race for a Life (1913) di Barney Oldfield e la ragazza era Mabel Normand. Con oltre 100 film all’attivo, Normand è stata attrice, sceneggiatrice e regista ai Keystone Studios di Mack Sennett. La donna, pensate, ebbe la lungimiranza di puntare su un promettente ma sconosciuto Charlie Chaplin, insegnandogli come fare cinema e co-dirigendo gran parte dei suoi primi lavori. Fu però coinvolta nel turbine di scandalo che distrusse la carriera del suo amico e collega Fatty Arbuckle nel 1921 e in seguito fu sospettata di due omicidi commessi in realtà da suoi conoscenti. Ogni scandalo comportò che molti dei suoi film venissero ritirati dalla distribuzione, fino a quando non ne fu definitivamente spazzata via. 


3. Lillian Gish: un film completamente al femminile 

Protagonista di molti film di David W. Griffith, Lillian Gish è stata una grande star degli anni '10. Meno noto il fatto che sia stata anche regista con il suo Remodeling Her Husband (1919). La Gish decise di rendere il film una dichiarazione femminista assumendo il maggior numero possibile di elementi femminili della troupe, scrivendo la sceneggiatura con sua sorella nonché attrice protagonista Dorothy Gish. Nonostante il set gelido (la caldaia era rotta) e l'ostilità del suo cameraman (l'unico ruolo chiave per il quale non era stata in grado di trovare una donna) Gish riuscì a girare il suo film. All'inizio dell'era del sonoro, quasi tutte le registe donne però scomparvero: Dorothy Arzner rimase praticamente l’unica per ben 20 anni.



4. Gloria Swanson: costretta a un aborto pericoloso e illegale

Gloria Swanson è stata una diva silenziosa che ha avuto molto successo, ma nel 1925 si trovò in una scomoda posizione contrattuale. A Parigi per un lungo servizio fotografico, allontanata dal secondo marito, aveva iniziato a frequentare l'uomo che sarebbe diventato il suo terzo, rimanendo incinta di quello che, evidentemente, rappresentava un figlio illegittimo. Il suo studio voleva che lei abortisse e giocò una carta vincente: la Swanson aveva firmato una clausola morale che rendeva il suo impiego dipendente, tra le altre cose, dal non fare sesso al di fuori del matrimonio. Se avesse avuto il bambino, sarebbe stata ovviamente una violazione e sarebbe potuta andare incontro al licenziamento. Questa non era una tattica insolita all'epoca: gli studios non volevano che né ingenue ragazze né sex symbol rovinassero la loro immagine rimanendo incinta. L'aborto, eseguito illegalmente in un hotel parigino, fu drammatico e la lasciò sospesa tra la vita e la morte: si salvò solo per miracolo.



5. Lena Horne: una donna di colore limitata a ruoli che potevano essere tagliati

Le donne di colore hanno affrontato battaglie professionali molto più dure rispetto alle donne bianche. Lena Horne era una bellezza straordinaria e una cantante affermata quando firmò un contratto con la MGM nel 1942, ma lo studio faticò a trovare ruoli importanti per lei. Il codice della produzione cinematografica che ha governato Hollywood per molti anni era razzista e vietava qualsiasi rappresentazione di romanticismo interrazziale. Nel 1949, Horne sperava nel ruolo da protagonista in Pinky, un dramma di Elia Kazan su una giovane donna di colore che veniva scambiata per bianca. Tuttavia, per eludere il Codice, il personaggio fu affidato a un'attrice bianca. C'era in generale poco interesse nel realizzare film completamente neri (nonostante il successo di Hallelujah nel 1929) e le donne di colore, inclusa la Horne, erano in gran parte limitate a ruoli come prostitute, cameriere o potevano apparire in singole scene musicali che finivamo molto spesso per essere tagliate dal film prima della sua uscita negli Stati Uniti meridionali. 



6. April Ashley: l'attrice transgender che recitò con Bing Crosby

Gli studi di Hollywood e il Codice di produzione erano sinonimo di scarsissime storie LGBT prima degli anni '60 e quelle che esistevano venivano trattate raramente e in modo obliquo. Ma nel 1961, l’attrice transgender April Ashley ottenne il ruolo nel film di Bing Crosby The Road to Hong Kong. Fu un passo fondamentale per l’attrice e modella la cui identità venne però svelata dal Sunday People. La sua carriera si fermò all'inizio: Hollywood e i media andarono avanti per anni ad attaccare le persone trans in modo così trasparente che ancora oggi l’identità degli attori e le attrici LGBTQ + è vista come un limite per la carriera a Hollywood. 



7. Otto Preminger e Jean Seberg: l’infortunio durante le riprese di Saint Joan nel 1957

Otto Preminger era così notoriamente duro che Joan Crawford lo definì «nazista ebreo». Quando scelse la star per il suo film Saint Joan, l'"eletta" fu Jean Seberg, nei confronti della quale esercitò una vera e propria mania di controllo: durante le riprese la fece sistemare in una suite esattamente sotto la propria e arrivà addirittura a controllarne i pasti. Inoltre, la umiliò più volte sul set e quando l'attrice rimase ustionata durante le riprese Preminger affermò: «Abbiamo tutto su pellicola». Genio artistico? Elevare la brutalità a un costo accettabile e forse anche desiderabile è proprio uno degli aspetti che ha alimentato l'atmosfera di sfruttamento e maltrattamenti a Hollywood.


8. Maya Angelou: «Il razzismo e il sessismo sono alle porte»

Negli anni '70, la New Hollywood di Coppola, Scorsese e Altman sembrava aprire nuove possibilità per la narrazione cinematografica. Ma come al solito i principali beneficiari furono i bianchi. Maya Angelou voleva dirigere la sua sceneggiatura Georgia, Georgia nel 1972. Attendendosi un’opposizione, studiò cinema per migliorare la sua lotta ma non le venne data la possibilità di fare il suo debutto: la sceneggiatura andò avanti con un regista, Stig Björkman, che aveva solo un film in più d’esperienza. «Nel cinema, il razzismo e il sessismo sono alle porte», disse a proposito dell'esperienza, rendendosi conto che avrebbe dovuto essere «10 volte più preparata della mia controparte bianca». La Angelou ha fatto il suo debutto alla regia 26 anni dopo, con Down in the Delta (1998). Le donne di colore costituiscono ancora solo l'1% circa dei cineasti.


 

9. Selby Kelly: «Le donne non hanno il senso del tempismo»

L’animazione è uno dei campi in cui è più grave la mancanza di donne. L'animatrice e artista Selby Kelly fece domanda per un lavoro di animazione alla Disney per lavorare su Biancaneve e i sette nani, ma le fu detto, testuali parole: «Le donne non hanno il senso del tempismo». Come poter ambire, dunque, alla carriera di animatrici? A quei tempi, le uniche donne ammesse all'interno dell'edificio dell'animazione erano le modelle da posa. Kelly, invece, lavorò come miscelatrice di colori. Il sessismo è storicamente così radicato alla Disney che gli animatori «non se ne sono nemmeno accorti». La disparità promossa dalla Disney allora rimane in gran parte effettiva in molti studi di animazione ancora oggi: sebbene i corsi di animazione vedano una divisione paritaria di genere, la prima regista solista della Pixar è stata Domee Shi per il cortometraggio Bao nel 2018



10. Dawn Steel: la dirigente di Top Gun estromessa da Hollywood 

Dawn Steel è stata nominata Presidente di produzione alla Paramount nel 1985, diventando la seconda donna a ricoprire una tale posizione dall'era del muto. Ha dato vita a successi come Top Gun, Fatal Attraction e The Accused, prima di essere licenziata dai suoi capi mentre era alle prese con la nascita della figlia. Essere una donna in una sala del consiglio di Hollywood significava avere un bersaglio sulla schiena. La Steel ha fatto ritorno, tuttavia, appena sei mesi dopo, venendo nominata capo della Columbia: tra i suoi più grandi successi Harry ti presento Sally e Ghostbusters 2.


11. Catherine Hardwicke: descritta come «difficile» e «irrazionale»

Twilight di Catherine Hardwicke ha guadagnato 400 milioni di dollari con un budget di 37. Ma prima che il film uscisse, la Hardwicke era stata descritta come «difficile» e «irrazionale» dai dirigenti dello studio e non era stata confermata per dirigere il sequel. Questa decisione dopo un successo del genere sembra affliggere le registe donne molto più spesso degli uomini: Mamma Mia!, Wayne's World, Twilight, 50 Sfumature di grigio sono tutti film di successo di registe, sostituite da uomini per il sequel. Ci sono voluti diversi mesi di trattative prima che Patty Jenkins firmasse il sequel di Wonder Woman del 2017. Le difficoltà della Hardwicke sembravano derivare da un breve pianto durante una giornata difficile. «Emozionale è una parola in codice», ha detto, «se lo fa un uomo è appassionato, se lo fa una donna è troppo emotiva».



Andrea Valmori

 

Fonte: The Guardian

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