Le migliori interpretazioni di Stefano Accorsi
08/10/2020
L'esordio al cinema di Stefano Accorsi avviene grazie a Pupi Avati, che nel 1992 lo lancia in Fratelli e sorelle, anche lo slancio per la sua carriera avviene con il ruolo da protagonista in Jack Frusciante è uscito dal gruppo, dall'omonimo romanzo di Enrico Brizzi. Diverse le collaborazioni importanti dell'attore, che ha lavorato con registi come Michele Placido (grazie all'interpretazione in Un viaggio chiamato amore ha ottenuto la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia), Gabriele Muccino e Ferzan Özpetek. Sua l'idea di 1992, 1993 e 1994, serie originali Sky che raccontano vicende politico-giuridiche dell'Italia dei primi anni '90. Ecco le 5 interpretazioni migliori dell'attore.
5) Il campione (Leonardo D'Agostini, 2019)

Christian e Valerio sono facce di una stessa medaglia, un padre senza figlio e un figlio senza un vero padre che riescono a dar vita a una coppia solidissima e felice in cui rifugiarsi e riparare ai propri errori. Alternando momenti profondamente drammatici a sequenze più distensive e serene, il film scorre liscio senza evidenti intoppi, abusando eccessivamente di musiche di repertorio ma riuscendo a mantenere un buon ritmo nonostante l'assenza di originalità e di sorprese degne di questo nome. D'agostini procede con il pilota automatico, facendo leva sulla buona alchimia tra i suoi due attori protagonisti e ingolosendo il pubblico con una cornice sportiva tutto sommato ben confezionata e riuscita.
4) Radiofreccia (Luciano Ligabue, 1998)

Il regista si fa prendere decisamente la mano dai movimenti della macchina da presa, ma raramente centra il giusto tono (il prologo è un'eccezione), provvedendo a inserire all'interno di una costruzione stilistica tutto sommato piuttosto ordinaria dei virtuosismi poco fluidi. Stonature che comunque non scalfiscono troppo la piacevolezza dell'opera, scandita da una colonna sonora di alto livello, grazie soprattutto ad alcune pietre miliari della storia del rock classico, e a un protagonista ben definito, interpretato da uno Stefano Accorsi (premiato con il David di Donatello) in una delle sue interpretazioni migliori.
3) L'ultimo bacio (Gabriele Muccino, 2001)

Un film di sentimenti ed emozioni primarie, abbastanza coerente ma a tratti troppo urlato, al limite della caricatura (i furibondi litigi tra Carlo e Giulia), in cui la macchina da presa si muove speditamente, veicolando situazioni pregne di tensione: il tutto sottolineato da un riuscito climax di ansie e sensazioni che conduce all'amaro finale. Cast in discreta forma, con alcuni tra gli interpreti più promettenti della nuova generazione attoriale italiana.
2) Romanzo Criminale (Michele Placido, 2005)

Benché su tutto aleggi un certo pressapochismo storiografico e qualche schematismo dicotomico di troppo (specie nella contrapposizione tra il romanticismo dolente dei fuorilegge condannati alla sconfitta e il cinico pragmatismo dei poteri occulti che agiscono in nome della ragion di stato), lo stile fiammeggiante e nervoso di Placido è funzionale e sorprendentemente misurato, capace di garantire un solido impianto drammaturgico grazie anche a una narrazione che regge assai bene l'imponente durata. Convincente il cast che riunisce alcuni dei principali divi italiani del momento.
1) Veloce come il vento (Matteo Rovere, 2017)

Girata tra i circuiti di Imola, Monza e Vallelunga, la pellicola alterna riprese di reali competizioni a sequenze in cui i personaggi affrontano il difficile cammino verso la vittoria. Stefano Accorsi e la giovanissima esordiente Matilda De Angelis trovano fin da subito l’alchimia giusta, in grado di rendere piacevoli (e soprattutto meno stucchevoli del previsto) le parti dedicate al dramma familiare in corso. Peccato solo per l'eccessiva lunghezza (119 minuti sono decisamente troppi) e per un cast di supporto non all’altezza dei protagonisti. Nel complesso, comunque, un buon esempio di cinema italiano di genere che, attraverso un linguaggio semplice e immediato, raggiunge il pubblico con dignità e ritmo.
5) Il campione (Leonardo D'Agostini, 2019)

Christian e Valerio sono facce di una stessa medaglia, un padre senza figlio e un figlio senza un vero padre che riescono a dar vita a una coppia solidissima e felice in cui rifugiarsi e riparare ai propri errori. Alternando momenti profondamente drammatici a sequenze più distensive e serene, il film scorre liscio senza evidenti intoppi, abusando eccessivamente di musiche di repertorio ma riuscendo a mantenere un buon ritmo nonostante l'assenza di originalità e di sorprese degne di questo nome. D'agostini procede con il pilota automatico, facendo leva sulla buona alchimia tra i suoi due attori protagonisti e ingolosendo il pubblico con una cornice sportiva tutto sommato ben confezionata e riuscita.
4) Radiofreccia (Luciano Ligabue, 1998)

Il regista si fa prendere decisamente la mano dai movimenti della macchina da presa, ma raramente centra il giusto tono (il prologo è un'eccezione), provvedendo a inserire all'interno di una costruzione stilistica tutto sommato piuttosto ordinaria dei virtuosismi poco fluidi. Stonature che comunque non scalfiscono troppo la piacevolezza dell'opera, scandita da una colonna sonora di alto livello, grazie soprattutto ad alcune pietre miliari della storia del rock classico, e a un protagonista ben definito, interpretato da uno Stefano Accorsi (premiato con il David di Donatello) in una delle sue interpretazioni migliori.
3) L'ultimo bacio (Gabriele Muccino, 2001)

Un film di sentimenti ed emozioni primarie, abbastanza coerente ma a tratti troppo urlato, al limite della caricatura (i furibondi litigi tra Carlo e Giulia), in cui la macchina da presa si muove speditamente, veicolando situazioni pregne di tensione: il tutto sottolineato da un riuscito climax di ansie e sensazioni che conduce all'amaro finale. Cast in discreta forma, con alcuni tra gli interpreti più promettenti della nuova generazione attoriale italiana.
2) Romanzo Criminale (Michele Placido, 2005)

Benché su tutto aleggi un certo pressapochismo storiografico e qualche schematismo dicotomico di troppo (specie nella contrapposizione tra il romanticismo dolente dei fuorilegge condannati alla sconfitta e il cinico pragmatismo dei poteri occulti che agiscono in nome della ragion di stato), lo stile fiammeggiante e nervoso di Placido è funzionale e sorprendentemente misurato, capace di garantire un solido impianto drammaturgico grazie anche a una narrazione che regge assai bene l'imponente durata. Convincente il cast che riunisce alcuni dei principali divi italiani del momento.
1) Veloce come il vento (Matteo Rovere, 2017)

Girata tra i circuiti di Imola, Monza e Vallelunga, la pellicola alterna riprese di reali competizioni a sequenze in cui i personaggi affrontano il difficile cammino verso la vittoria. Stefano Accorsi e la giovanissima esordiente Matilda De Angelis trovano fin da subito l’alchimia giusta, in grado di rendere piacevoli (e soprattutto meno stucchevoli del previsto) le parti dedicate al dramma familiare in corso. Peccato solo per l'eccessiva lunghezza (119 minuti sono decisamente troppi) e per un cast di supporto non all’altezza dei protagonisti. Nel complesso, comunque, un buon esempio di cinema italiano di genere che, attraverso un linguaggio semplice e immediato, raggiunge il pubblico con dignità e ritmo.