Strade perdute: le vostre analisi!
13/05/2021

Durante il workshop dedicato all'approfondimento di Strade perdute, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere una loro analisi su quest'opera di David Lynch: ecco i lavori che hanno meritato la pubblicazione!

Serena Biagini
Analisi di
Strade perdute
“Dick Laurent è morto”. Questa è la frase che Fred Madison , protagonista di “Strade perdute”, sente pronunciare dalla voce di uno sconosciuto al citofono della sua abitazione all’inizio del film.
Per un meccanismo di circolarità, sentiremo nuovamente pronunciare la stessa frase al termine della pellicola proprio dallo stesso Fred, rendendo evidente senza più alcun dubbio, il tema del doppio, del doppelgänger, tanto caro a Lynch.
“Strade perdute” forse è uno dei film che si presta meglio ad una lettura del tutto psicoanalitica.
Fred Madison compie tre omicidi per gelosia: prima uccide Dick Laurent, amante della moglie, e in seguito l’altro amante Andy e la stessa moglie Renèe.
Arrestato e condannato alla sedia elettrica, ecco che il protagonista per sfuggire al destino che lo attende e forse per cercare di dare un diverso senso alla propria storia personale, crea nella sua mente il personaggio di Pete Dayton, suo alter-ego, uomo vigoroso e sessualmente prestante che va a compensare l’impotenza di Fred, visibile ad inizio film, e possibile causa dei tradimenti della moglie.
Oltre alla figura di Pete, la sua mente crea anche il personaggio dell’Uomo Misterioso, corrispondente all’Es freudiano del protagonista; quella parte inconscia e arcaica che contiene pulsioni sia di carattere erotico che violento ed omicida.
Considerando quindi il film in un’ottica lineare degli avvenimenti, ci rendiamo conto di come la realtà di Fred incominci in carcere, nonostante il dialogo interiore nella sua mente, invece, abbia inizio probabilmente dopo l’uccisione di Laurent e la successiva citofonata.
La storia di Pete nasce e muore mentre Fred si trova sulla sedia elettrica.
Ecco spiegati i continui lampi di luce blu che si susseguono, che invadono la scena quando lo stesso Pete scompare dal giardino di casa sua e per finire nella scena conclusiva durante la fuga in macchina di Fred in cui lo vediamo muovere la testa in modo spasmodico proprio come un uomo che sta morendo a causa di una scarica di scossa elettrica.
Tornando quindi alla circolarità di cui sopra, terminiamo la visione del film con le immagini di una strada percorsa in macchina di notte, stessa scena presente in apertura, che forse vuole proprio simboleggiare quelle strade perdute dal protagonista a causa dei suoi folli gesti, ma cercate di recuperare, come scritto sopra, nel tentativo di dare una conclusione migliore alla propria vita.

Claudia Carloni
" I' M DERANGED DOWN DOWN DOWN..."
Un incubo stratificato, queste due parole racchiudono ciò che rappresenta per me "Strade Perdute", un film tanto affascinante quanto disturbante, in cui ad ogni visione possiamo cogliere nuovi dettagli che ci aprono nuovi scenari d'interpretazione e nuove suggestioni.
Lo spettatore si ritrova a far combaciare i pezzi di un puzzle che non sarà mai del tutto completo, ogni volta che aggiungiamo un nuovo tassello il senso complessivo ci sfugge, e restiamo con la sensazione che ci sia sempre qualcosa che rimanga nell' ombra, una parte di ignoto che non vuole essere rivelata.
Il "non- detto" e il "non- visto" del film diventano centrali quanto la messa in scena: parole sussurrate all' orecchio, scene chiave che vengono accennate ma sottratte alla nostra visione, sta a noi caricarle di senso e riempirle con la nostra immaginazione, o lasciarci semplicemente ipnotizzare dall' esperienza filmica.
Il tema dei sensi, lo sguardo e l'udito, è sempre presente nella filmografia lynchiana e "Strade perdute" non fa eccezione: tanti sono i primi piani che si concentrano sugli occhi dei personaggi, la telecamera entra fisicamente nel film come supporto all' azione del Mistery man, regista interno, l'unico ad avere accesso ai fatti realmente accaduti, ma anche proiezione esterna della parte più nascosta e violenta di Fred. Le canzoni scelte trovano una perfetta collocazione e ci parlano continuamente del film stesso, e il senso dell'udito," l'avere orecchio", lega Fred e Pete.
Siamo nella mente di Fred, lo siamo fin dall' inizio, dalle prime note di "I' m Deranged" di David Bowie, che parla di segreti che viaggiano, di catene, di una donna bionda, un uomo disturbato, e di un amore folle, racchiudendo tutto ciò che vedremo di lì a poco.
La mente di Fred è un luogo in cui è facile perdere la " strada maestra" per ritrovarsi in vicoli ciechi, bui, strade alternative, per poi tornare inevitabilmente al punto di partenza: la fine de film coincide con il suo inizio, Fred invia un messaggio a sé stesso, creando un cortocircuito interessante che ribalta la prospettiva.
Il film si dispiega, secondo lo stesso Lynch, seguendo la forma di un nastro di Moebius: la versione tridimensionale del simbolo dell'infinito. Osservandolo inizialmente sembra avere due superfici ma in realtà ne ha soltanto una che si riavvolge su sé stessa. Interno ed esterno, inizio e fine si confondono.  Scivoliamo in una dimensione che somiglia ad un flusso di coscienza interiore, in cui il tempo, lo spazio, le identità hanno confini sfumati e mutabili.
La mente di Fred è anche poco affidabile, è una mente che rimuove, reprime, censura, che preferisce ricordare le cose a proprio piacimento, non come sono avvenute.
Già nella prima parte del film ci sono molti elementi che ci destabilizzano e scardinano l'idea di una realtà oggettiva, in primis le cassette inviate da un mittente invisibile che seguono un movimento dall' esterno all' interno della casa-mente di Fred e lo mettono di fronte al trauma, alla realtà dei fatti: il ritorno del rimosso, di fronte alle registrazioni non può più mentire a sé stesso.
Ma Fred non vuole, non può accettare ciò che ha fatto, ed è vicino alla morte che avviene la trasfigurazione in Pete. Il dolore fisico e mentale che prova crea una lacerazione in lui, ed è da quello squarcio che prende forma una nuova dimensione, una nuova identità, una nuova vita.
Tutta questa costruzione è destinata a crollare, Fred non può allontanarsi dalle sue stesse ossessioni, che lo hanno divorato e gli hanno fatto perdere il contatto con sé stesso: il tarlo del tradimento, l'essere succube, soggiogato da Renée, la perita di controllo sulla donna amata, che minaccia la sua virilità, e che né Fred né Pete possono possedere realmente. Un amore che diventa ossessione e sfocia nella follia omicida.
Renée-Alice è una riuscita femme fatale, figura ambigua e attraente, consapevole del suo potere. Nella scena in cui si spoglia davanti a Mr. Eddy, Alice è sottoposta allo sguardo maschile che vuole imporsi su di lei, ma ribalta la sua posizione e va verso Eddy di sua volontà, ora è lui ad essere dominato dal suo sguardo. Alice è insieme vittima e carnefice, la canzone "I put a spell on you" nella versione di Marylin Manson accompagna perfettamente la scena: tutti cadono sotto l'incantesimo di seduzione di Alice, che da oggetto dell'erotismo maschile diventa soggetto che determina la propria vita e medita fuga e vendetta.
C' è un parallelismo tra la scena di sesso tra Fred e Renée e quella nel deserto tra Pete e Alice, rievocato anche dalla stessa canzone, " Song to the Siren". Renée - Alice è come una sirena ammaliatrice che seduce e fagocita l'uomo, si nutre di lui lasciandolo distrutto. Anche l'esito del rapporto è lo stesso: nella prima scena la donna è distante, come oggetto di un desiderio che non può essere appagato, nella seconda in cui Fred-Pete cerca di ristabilire il suo ruolo e di possederla lei lo abbandona e svanisce, ed è proprio da quella presa di coscienza che vediamo tornare Fred.
Il film parla anche di incomunicabilità: il telefono che squilla a vuoto, la frase indecifrabile al citofono, sono strumenti che trasmettono dei messaggi che non riescono ad essere recepiti.  Fred non riesce a comunicare con sé stesso, e potrebbero essere degli stratagemmi della sua mente per riportare il suo Io alla realtà. Come dei sintomi che vanno compresi per poter far luce sulle reali cause di una malattia, e potersene liberare.
Nelle scene finali il Mistery man scompare, ed è come se Fred lo inglobasse: ciò che prima non riconosceva come parte di sé ma come qualcosa di esterno, oscuro e minaccioso, ora finisce per coincidere con lui.
È il suo istinto omicida, che gli mette in mano il coltello e gli permette di uccidere, in fondo è Fred che lo ha invitato ad entrare.
Ma come?
I nostri pensieri contribuiscono alla creazione della nostra realtà, sono come germogli che alimentiamo o lasciamo morire. Fred si è creato il proprio castello mentale, la propria immagine delirante e distorta di Renée, che ai suoi occhi è una traditrice senza scrupoli che addirittura lavora nel porno, e invece di comunicare con la moglie (volevi forse chiedermi perché?) ha lasciato che la gelosia e la rabbia nei suoi confronti crescessero. L' impotenza, la frustrazione sono diventati come dei tarli mentali dotati di vita propria che hanno preso il sopravvento su di lui, trovando nella sua psiche una dimora fertile in cui proliferare.
Fred non può che ripetere sé stesso, intrappolato in una coazione a ripetere, rivive la sua paura più grande: la perdita di Renée, viva o morta non può comunque averla. Come in un loop infernale, un eterno ritorno del suo personale incubo. Non c' è redenzione, nessuna via di fuga, Lynch ci lascia immaginare cosa potrebbe accadere dopo l'ultima scena del film, che potrebbe benissimo ricominciare da capo, da quelle parole che hanno dato inizio alla vicenda: "Dick Laurent è morto".

Valeria Chiantese
Analisi Lost Highway (1997), David Lynch
Lost Highway non fa alcun mistero, a partire dal titolo, del totale smarrimento in cui verrà catapultato lo spettatore nel corso della sua visione. La trama principale si districa in innumerevoli sottotrame che vengono a più riprese distorte, incastrate e confutate, ma come il serpente che cambia pelle, permane un elemento costante che resta fedele a sé stesso. “I’m deranged, Deranged my love, I’m deranged down down down”, canta David Bowie nella sigla di apertura del film. Il Duca Bianco sta descrivendo emblematicamente la coppia di protagonisti, introdotta nel loro ambiente domestico come portatrice di una relazione logorata, spenta, contraddistinta dalla totale assenza di pathos, ad eccezione del tormento di lui, Fred, incapace di soddisfare sessualmente la compagna, Renee, che avverte sempre più distante. Un’unione patetica, poco intima e sospetta. Cosa tiene uniti i protagonisti? In questa coppia “rotta” si insinua per ben due volte un elemento esterno che viola il loro nido, minacciando ciò che dovrebbe essere accogliente. L’insicurezza che pervade una relazione minata dai sospetti e dall’abitudine si materializza anche all’interno della casa. Non solo qualcuno ha profanato la loro intimità, il loro spazio sacro, ma qualcuno molto probabilmente è anche a conoscenza della loro mancanza di intesa, della loro evidente distanza. E Fred odia le videocamere, come lui stesso afferma: “preferisco ricordare le cose a modo mio. Come le ricordo io. Non necessariamente come sono avvenute”. Quest’affermazione potrebbe rispecchiare la tendenza di Fred a rifugiarsi nel suo mondo interiore per difendersi dalle sue paure più recondite e per intrepretare gli eventi esterni, rendendoli più tollerabili a sé stesso. Le profonde mancanze e limiti in cui sbatte Fred, potrebbero trovare compensazione in un alter ego che, se potesse materializzarsi, sarebbe in grado di potenziare aspetti di sé forieri di insicurezza, di sofferenza psichica, molto probabilmente di psicosi. Il mondo onirico ha una valenza molto importante nei film di David Lynch. Fred sogna di tornare a casa e di sentire la moglie Renee chiamarlo, ma non riesce a trovarla. Quando finalmente la trova, è qualcuno che le somiglia, ma non si tratta di lei. Potrebbe trattarsi di una sosia, dotata dell’involucro di Renee, ma assolutamente carente di tutte le caratteristiche che la contraddistinguono, che permettono di rintracciare la sua essenza. Al suo apparente risveglio, Fred sconcertato vede la faccia del Mistery Man sovrapporsi a quella della moglie. Potrebbe trattarsi di un sogno dentro al sogno, oppure di un’allucinazione che rivela un principio di disturbo delirante in Fred, che comincia gradualmente a sperimentare una visione distorta della realtà, confondendo paure e desideri con eventi che si verificano concretamente. In questo senso, Lost Highway potrebbe far riferimento anche allo smarrimento del senso di realtà, che può essere alimentato dal venir meno della relazione come baluardo di stabilità, dal percepire la propria dimora come un luogo profanato e spiato, non solo sotto l’aspetto della sicurezza, ma anche nella scoperta di segreti/tabù come la vergogna dell’impotenza, di una passione che giace sopita con il tic tac di un orologio che scandisce i tempi morti, nonostante la protagonista incarni la donna desiderabile, ma arriva a farsi madre consolatoria per alleviare le pene dell’uomo sessualmente incapace, scatenando forti sospetti su come soddisfi la sua pulsione sessuale fuori dalle quattro mura domestiche. La tendenza ossessiva e delirante si fa strada nella mente del protagonista sempre più prepotente, fino a che perde la ragione e in un raptus di follia fa a pezzi la moglie. Ma la morte di Renee non è accettabile a livello inconscio. Una delle tesi che è possibile avanzare cercando una spiegazione al machiavellico gioco lynchiano è quella che Fred immagini tutto ciò che accade in seguito al suo arresto, mentre sconta la sua condanna in carcere. Nel buio di quella cella dove la pena da scontare sarà lunghissima come una gelida notte invernale, dove i giorni sono destinati a ripetersi tremendamente uguali, bisogna necessariamente evadere. Ma soprattutto, è cruciale riparare le crepe di quel focolare compromesso irrimediabilmente. E per farlo bisogna rimboccarsi le maniche e tornare a percorrere quella strada smarrita, per ritrovare un appagamento pulsionale che non può essere soppresso. Ma per percorrere la strada e poter vivere quella vita non ancora vissuta, occorre un travestimento simbolico e di forma. E così Fred diventa un altro. Pete. Giovane, bello, con una potente carica sessuale, sa come toccare una donna e come mettere in sesto gli ingranaggi di un’auto. La sua mascolinità è espressa alla massima potenza. In questa versione parallela di Fred, Pete sembra avere tutto. Non sperimenta la noia della routine, ha dei buchi di memoria che però non gli impediscono di svagarsi, si ingrazia il favore di uomini controversi e sperimenta il brivido di stare con una donna bellissima e proibita, Alice (che ha le stesse sembianze di Renee) sfidando il potere e il pericolo. Tutto pur di far colpo sulla sua bella e mantenere vivo il suo interesse. Ma ecco il punto. Anche in questa realtà in cui il ragazzo è aitante, forte e riesce a districarsi nelle situazioni più rischiose con successo, finisce per fallire. Nonostante la messa a punto di un piano ben riuscito grazie ad una complicità palpabile tra i due, all’apice di un rapporto sessuale dove Pete esterna il suo amore, Alice lo respinge con crudele franchezza: “Tu non mi avrai mai”. Non c’è alcuna realtà parallela in cui sia possibile garantire il sussistere di quella relazione a un livello di felicità condivisa. Alice/Renee è come una sirena, che sulle note della canzone "Song to the Siren” seduce e folgora col suo canto di trascinante bellezza, ma è destinata a ritirarsi e fare ritorno nel suo mondo criptico in solitudine, non le interessa cibarsi di amore o di esercitare possesso. Non è un caso che in quel preciso momento, dopo quella frase brutale di Alice che distrugge ogni illusione d’amore, Pete si ritrasformi e torni ad essere Fred. La casa in fiamme (che riecheggia Synecdoche New York, 2008) è una metafora della disfatta totale della costruzione familiare. La dimora è un luogo arido e infecondo, destinato alla distruzione. Il fuoco distrugge e purifica. La casa può bruciarsi e tornare integra, come una pellicola che si sceglie di riavvolgere, proprio come Fred, dalla sua cella, può decidere di ricordare la sua vita in passato, o immaginare una vita futura. E se anche questa vita futura immaginaria a un certo punto smette di aderire alle aspettative d’amore e ai sogni di gloria del nostro carcerato, la mente può fare molto di più. Può sospendere il flusso degli eventi con un movimento circolare, dove tutto può iniziare con Fred che citofona a sé stesso, facendo ripartire la storia daccapo, forse con esiti differenti, forse con nuovi elementi che accrescono la capacità di districarsi in questo labirinto che è la mente, che viaggia su una strada buia, disturbata, battuta innumerevoli volte eppure nuova. Come un moderno Sisifo condannato a trascinare il suo macigno ma che cerca di rivoluzionare il significato di questa gestualità ricorrente, Fred può proteggersi dal suo senso di colpa provando a riscrivere perpetuamente la sua storia, tentando di dominare ostinatamente questa strada smarrita, ripercorrendo la multidimensionalità del suo inconscio, illudendosi che sia lui a condurre quell’automobile, anche se probabilmente, è chiuso in una stanza fatta di sbarre. Ma quello è solo il suo corpo, la sua mente può travalicare qualsiasi porta, fatta di incontri, fatta di scontri.

 

Corsi

Sei un appassionato di cinema?
Non perderti i nostri corsi lorem ipsum dolor


Sei un’azienda, un museo o una scuola?
Abbiamo studiato per te lorem ipsum dolor

Con il tuo account puoi:

Votare i tuoi film preferiti

Commentare i film

Proporre una recensione

Acquistare i nostri corsi

Guardare i webinar gratuiti

Personalizzare la tua navigazione

Filtri - Cerca un Film

Attori
Registi
Genere
Paese
Anno
Cancella
Applica