The Sweet East: un'odissea nel digitale contemporaneo
22/04/2025
Riceviamo e con grande piacere pubblichiamo questa analisi di The Sweet East, scritta da Alice Zampi, studentessa del Master MICA.


Esordio alla regia di Sean Price Williams, The Sweet East si configura fin da subito come un viaggio nell’America contemporanea. Il film si apre con una gita scolastica a Washington, dove un gruppo di liceali esplora i monumenti principali e i simboli del potere americano. La capitale diventa il punto di partenza per un’odissea surreale intrapresa dalla protagonista, Lillian (Talia Ryder), che assumerà presto i contorni di un percorso attraverso l’ecosistema digitale.

Ad innescare questa avventura è l’irruzione nel locale frequentato dal gruppo di liceali di un uomo armato di pistola che esige di accedere al seminterrato. È un richiamo alla teoria di complotto del Pizzagate, caso emblematico che riflette la capacità dei social media di costruire veri e propri miti politici e sociali a partire da informazioni distorte, decontestualizzate o del tutto inventate.

Affidare il ruolo del complottista a  Andy Milonakis, volto comico dell’era MTV, suggerisce come certe teorie estreme siano diventate ormai parte della cultura e dell’intrattenimento pop, consumate come contenuti virali. Il paradosso del mondo post-verità è la difficoltà – e forse la mancanza di volontà –  degli utenti online nel distinguere tra vero e falso.

L’influenza del videoclip

Prima che il complottista irrompa nel locale, Lillian si isola dal gruppo di amici e si dirige verso il bagno.

Davanti allo specchio inizia a cantare il brano “Evening mirror” mentre sullo schermo scorrono i titoli di testa.  La sequenza assume i tratti di un videoclip  musicale, richiamando apertamente l’estetica che il regista ha affinato nella sua carriera da direttore della fotografia.

Sean Price Williams ha infatti collaborato con artisti come ASAP Rocky realizzando videoclip che mescolano l’urban culture e il surrealismo visivo. In The Sweet East questa estetica viene traslata nel linguaggio cinematografico per creare un effetto vintage e nostalgico richiamato dalla granulosità della pellicola analogica, unita a luci sature e colori leggermente slavati.

Il “videoclip” viene brutalmente interrotto dallo sparo di Andy Milonakis, il suono è improvviso e spezza l’incantesimo riportando Lillian alla realtà. Sarà proprio attraverso lo specchio del bagno, che Lillian, per fuggire, compirà il sui ingresso nella “tana del Bianconiglio”, una sorta di tunnel all’interno del bar che funge da portale verso un nuovo mondo.

Prima tappa: Reddit

“I’m no one”. È così che Lillian risponde alla domanda “Who are you?” posta da Caleb (Earl Cave), una volta usciti dal tunnel.  Un’affermazione che suggerisce l’ingresso in un universo simile a quello digitale, dove l’identità è fluida e spesso anonima. Come gli utenti dei social, Lillian si muove in ambienti che cercano di definirla, ma lei rifiuta ogni etichetta.

Caleb, il primo personaggio che Lillian incontra, è un attivista anarchico paragonabile a un utente di Reddit: usa una retorica apparentemente logica con un tono da “ti spiego io come stanno le cose” tipico dei thread lunghi e iper-argomentati che si trovano sul social. Su Reddit molti spazi di discussione sono gabbie retoriche travestite da spazi di confronto e libera condivisione di opinioni. Caleb replica la stessa dinamica con Lillian: la accoglie, la ascolta, ma le sue domande sono una trappola dialettica. Lui guida la narrazione, piuttosto che dialogare.

Seconda tappa: X (ex Twitter)

Il secondo personaggio in cui si imbatte Lillian è Lawrence (Simon Rex), un professore universitario  con tendenze suprematiste-neonaziste e un’ossessione per il discorso filosofico-politico.

Lawrence è l’incarnazione delle contraddizioni dell’America post-trumpiana e dell’intellettuale tossico da X: vive in una bolla ideologica autoreferenziale, si nutre di saggistica e si sente perseguitato dal politicamente corretto. Rappresenta uno di quegli utenti che retweetta solo i post che confermano le sue teorie. All’apparenza è gentile, affascinato dalla bellezza e dalla grazia di Lillian, attento alla forma, alle buone maniere, ma in realtà usa citazioni classiche e un linguaggio da salotto per normalizzare idee estremamente pericolose. Dietro al tono pacato e all’atteggiamento paternalistico si nasconde infatti un pensiero radicalmente suprematista.

Terza tappa: Tik Tok 

I  due cineasti indie e un po’ naif (Ayo Edebiri e Jeremy O. Harris) che coinvolgono Lillian nel loro film in costume ricordano gli utenti di Tik Tok, dove a contare sono soprattutto  l’estetica e l’engagement fini a se stessi rispetto al contenuto profondo.

Il loro approccio alla creatività sembra più un esercizio di stile che una vera espressione artistica.

I cineasti dichiarano di dare  ampio spazio alle sperimentazioni, a voler andare al di là delle convenzioni per paura di fallire. Il desiderio di “andare oltre” può anche essere letto come sintomo di una paura molto contemporanea: quella di non essere abbastanza originali, rilevanti, o “virali”.

Lillian diventa presto una star del cinema, una diva nata dal nulla, considerando che non aveva mai recitato in vita sua. La sua ascesa improvvisa riflette bene l’imprevedibilità dell’algoritmo dei social network, specialmente di Tik Tok, capace di rendere virali alcuni video rispetto ad altri senza un’apparente logica, trasformando persone comuni in celebrità dall’oggi al domani.

Quarta tappa: Telegram

La comunità islamica in cui Lillian si rifugia dopo la sparatoria sul set rappresenta la bolla chiusa e invisibile di Telegram, dove la radicalizzazione avviene sottotraccia. Qui non si parla più di visibilità o immagine, ma di convinzione assoluta. Tutto è segreto, codificato, protetto da una logica settaria.

Mohammad (Rish Shah) rispetto agli altri personaggi precedenti non idealizza Lillian e non la giudica, ma le offre solo una presenza reale fatta di piccoli gesti, umanità e ascolto. Rappresenta ciò che i social tendono a cancellare o ignorare: la realtà non spettacolarizzata.

In questo episodio c’è un ritorno alla natura, un accenno di contatto con il mondo reale, che però a Lillian viene presto a noia. Commenta infatti così la vita di campagna di Mohammad: “To me it just seems boring”. Allo stesso modo, la Generazione Z è affetta da questa specie di noia perenne nel mondo offline, e per sfuggirne, cerca sempre di più una via di fuga negli ambienti digitali.

Quinta tappa: il mondo ordinario

Una volta tornata a casa Lillian viene accolta da un pranzo di famiglia, ma preferisce rifugiarsi in camera sua immergendosi di nuovo nel mondo digitale con il telefono e le cuffie.

Mentre la famiglia si raccoglie attorno alla Tv, Lillian esce in terrazza, scende le scale, si volta e guarda in macchina accennando un sorriso per poi sparire nel fuori campo. Alle sue spalle è appesa la bandiera americana. È un momento di rottura della quarta parete, uno dei tanti nel film, in cui la protagonista si rivolge direttamente allo spettatore, chiamandolo in causa come per dirgli “quello che hai appena visto è un ritratto dell’America contemporanea, ma è anche un racconto universale”.

“Everything will happen” è la frase finale che compare sullo sfondo nero, una promessa e una minaccia apocalittica allo stesso tempo. In un mondo dove tutto è già accaduto e nulla sembra avere conseguenze reali, la frase suona come una resa al caos.

Una fiaba moderna

Oltre ai chiari riferimenti ad Alice nel Paese delle meraviglie e Alice attraverso lo specchio, il viaggio di Lillian può essere letto come una rivisitazione contemporanea di molte fiabe tradizionali.

Come Cappuccetto Rosso, si avventura in territori sconosciuti e pericolosi, incontrando figure ambigue che possono essere viste come lupi moderni, pronti a sfruttare la sua ingenuità; come Cenerentola, assume ruoli diversi, trasformandosi di volta in volta in una nuova identità; infine, come Pinocchio, sembra muoversi in un universo in cui la menzogna e la manipolazione sono all’ordine del giorno.

Questa dimensione fiabesca si mescola con la contemporaneità, creando un universo in cui le strutture classiche vengono scomposte e re-immaginate in un contesto caotico e ipermoderno.

Ogni ambiente in cui Lillian si muove può essere visto come una metafora delle echo chambers, le bolle ideologiche che si formano su internet: la protagonista attraversa gruppi sociali chiusi in sé stessi, dove le idee vengono amplificate e raramente messe in discussione.

 

Un’America più amara che dolce 

The Sweet East è un titolo che promette dolcezza e orientamento, ma che finisce per raccontare smarrimento e spaesamento. Un ossimoro perfetto per descrivere l’esperienza della protagonista e, più in generale, lo spirito del tempo che il film cerca di catturare: confuso, iperstimolato, attraversato da estetiche mutevoli e identità frammentarie.

Il titolo sembra evocare un’idea nostalgico-romantica del "dolce Est" americano, contrapposto forse al "selvaggio Ovest" del mito fondativo. Ma questa dolcezza è chiaramente ironica: l’East Coast che Lillian attraversa è tutt’altro che idilliaca.

Uno dei temi che affronta il film è infatti la presenza diffusa delle armi e la normalizzazione della violenza nella società americana. Le sparatorie di massa, che sono un problema persistente negli Stati Uniti, trovano un’eco nella rappresentazione di un mondo in cui la violenza è sempre in agguato, spesso casuale e senza una vera logica.

L’Est “dolce” rappresenta infine anche uno stato mentale, uno spazio dell’immaginazione e del disorientamento contemporaneo, dove il vero e il falso, l’autenticità e la performance, si mescolano senza soluzione di continuità.

 

Concludendo, se in apparenza il film racconta l’America contemporanea, ad un livello più profondo sembra essere una traduzione visiva dell’esperienza digitale: Lillian non si muove solo nello spazio fisico, ma dentro un flusso di bolle chiuse e comunità virtuali, come se un algoritmo la spingesse da un ecosistema all’altro, esponendola a narrazioni sempre nuove e scollegate tra loro. Il suo viaggio riflette, in fondo, la navigazione frammentata dell’utente online, che rimbalza tra feed personalizzati e comunità polarizzate, in un loop fluttuante da cui è sempre più difficile uscire.


Alice Zampi

 

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