The Tree of Life: le vostre analisi!
09/02/2022
Durante il workshop dedicato all'analisi del grande film di Terrence Malick abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere una loro analisi collegata a "The Tree of Life": ecco i lavori che hanno meritato la pubblicazione!

The Tree of Life - Terrence Malick (2011)
di Giulia Pugliese

“Padre. Madre. Voi due siete in lotta dentro di me. E lo sarete sempre.”

Un uomo costruisce grattacieli perché sua madre gli ha detto che in cielo vive Dio; allo stesso tempo è diventato un uomo di successo e senza cuore perché suo padre gli ha insegnato questo. Jack è un uomo scisso e potrebbe rappresentare l’uomo moderno in questo: diviso tra la volontà divina (la grazia) rappresentata dalla madre e la volontà terrena (la natura) rappresentata dal padre. Ma il dubbio che lo smuove e lo porta a riconsidera la sua vita è sull’esistenza di Dio, vista la morte prematura del fratello. 

Terrence Malick è un grande studioso di Heidegger, la cui domanda principale della sua filosofia è che cos’è l’essere? L’essere per esserci deve scegliere, costruire un progetto di vita, l’esistenza secondo Heidegger è sempre unica ed individuale. In questo senso, l’esistenza di Jack è unica e anche parziale perché alla fine non riesce a fare quella scelta. In questo senso “The Tree of Life” è un film in parte autobiografico del regista, ma le domande e i dubbi che si pone sono universali. 
Nel film c’è molto girato di paesaggi naturalistici, come elemento naturale e di caos del mondo, ma anche come creazione divina; già di per sé il film ci dice che questa scelta non deve essere presa, in quanto grazia e naturale sono due entità che convivono. Il momento in cui il dinosauro schiaccia l’altro, solo per la possibilità di farlo, è si un momento di pura crudeltà, ma è anche vero che alla fine il dinosauro non lo uccide. Dimostrando quindi che c’è grazia nella natura e viceversa. 
Spesso viene detto giustamente che questo film si interroga sull’esistenza di Dio, ma più che altro si interroga sulla nostra capacità di percepirlo nel mondo, anche se la natura è crudele e la vita è insensata. In questo senso potremmo percepire Dio come una sua non-presenza, se noi ci chiediamo dell’esistenza di Dio e la neghiamo, in realtà valutando la sua non esistenza, lui esiste come l’essere di Parmenide.
Un altro aspetto importante del film è la figura del fratello: un fratello molto più simile alla madre, sensibile, artista, che fa sempre la cosa giusta (decide di non rompere la finestra quando gli altri bambini lo incitano a farlo), che non vuole piacere agli altri e che riesce a contrastare suo padre. La figura del fratello, in parte idealizzata dai ricordi di Jack, è molto più vicina a Dio perché come artista crea; mentre Jack e suo padre che idealmente stanno costruendo il giardino dell’Eden con all’interno la grande quercia, che l’albero della vita del titolo, che avrebbero quindi questo desiderio di creazione, ma in realtà gli vediamo solo estirpare, togliere erbacce e non riuscire a creare niente.  
La famiglia di Jack non è altro che un microcosmo, il vediamo interagire pochissimo con persone terze, in questo senso il mondo di Jack è come il mondo vero e proprio, dove appunto grazie e natura co-abitano letteralmente nelle figure del padre e della madre, dove il primo non è realmente crudele e ingiusto come viene descritto e la seconda non è totalmente pura ed ingenua come la vede Jack; in quanto lei come Jack non prende una reale decisione sulla sua vita. 
Il finale punta a una terza via: la modernità e il perdono. Se non possiamo comprendere tutto, possiamo però accettare la natura ambivalente di Dio e del mondo. Tra natura e grazia, l’uomo può trovare la terza via della modernità e della scienza, dove può modificare la natura a suo piacimento e avvicinarsi a Dio creando. In qualche maniera la volontà di Jack di diventare un costruttore è mossa da questo motivo e i grattacieli che costruisce riflettono il cielo. 
Jack alla fine riabbraccerà la sua famiglia su quella spiaggia che sembra un luogo distante da tutto e vicino al Paradiso, accettando la perdita prematura del fratello, le mancanze, i difetti dei genitori e accentando la sua natura ambivalente che lo rendo parte di questo universo così imperfetto ed unico. 

The Tree of Life, 2011 di Terrence Malick, Palma d’oro al 64° Festival di Cannes
di Letizia Piredda

Già ne La sottile linea rossa mi aveva colpito il fatto che, per la prima volta, un film di guerra parlasse, oltre che degli orrori della guerra, contemporaneamente, della bellezza della natura.

Qui la cosa che mi ha colpito, e che rende questo film unico, è l’intreccio tra individuo e universo, tra microcosmo, una famiglia, paradigmatica, degli anni ’50, e macrocosmo, la nascita e l’evoluzione dell’universo.

Proviamo a pensare per un attimo il film, senza la cornice dell’universo: sarebbe una storia, ferma restando l’assoluta originalità stilistica, molto più assimilabile ad altri film, la storia di una famiglia segnata da un terribile evento luttuoso. No, qui il tema centrale del film è una riflessione, una ricerca sul senso della vita e Malick decide di farlo mediante scelte binarie, di elementi che si contrappongono, rendendoli visivamente, contemporaneamente, per sottolineare che è la coesistenza, la simultaneità di opposti il nucleo centrale dell’esistenza. La vita è possibile, perché c’è la morte, l’individuo è possibile perché c’è il gruppo, il microcosmo può esistere perché c’è il macrocosmo ma non sfasati nel tempo, non nell’aura di un possibile che non ci tocca, ma nel qui e ora. È la resa visiva di queste realtà…. che ci costringe a fare i conti e ad elaborare la contrapposizione presente in ogni coppia.

La prima opposizione binaria che Malick ci presenta è quella tra vita e morte, che implica l’assunzione della nostra finitezza: noi siamo, ma prima non eravamo, e a un certo punto non saremo più [1]; l’altra opposizione binaria che costituisce l’architettura, lo scheletro del film è quella tra natura e grazia [2]. Possiamo vivere secondo la via della natura oppure secondo la via della grazia. La grazia non tende a compiacere se stessa, accetta di essere dimenticata, è generosa; la via della natura vuole solo compiacere se stessa, è terrena, carnale, autoritaria, violenta. Queste due vie possono essere riconducibili al ruolo delle figure genitoriali: la grazia appartiene alla madre, la natura al padre. La grazia contrasta, trasforma, elabora; la natura tende a perpetuare se stessa in modo immutabile e cieco. 

Il film si apre con il tema del dolore: un dolore terribile per una delle morti più innaturali: quella di un figlio e di un fratello, avvenuta all’età di 19 anni [3]. La storia procede in base a lunghi flashback: quello principale del figlio più grande Jack, impersonato da Sean Penn, e quello della madre, una bravissima Jessica Chastain. Non ci sono dialoghi, soltanto una voce over che sussurra i pensieri e le riflessioni che vengono dal profondo.

I movimenti di macchina che si susseguono fluttuanti e sfuggenti, esprimono al meglio la fugacità del tempo e la frammentarietà del ricordo: Malick usa il jump cut e una steadycam in continuo movimento, privilegiando inquadrature sghembe che riprendono solo in parte i protagonisti e gli ambienti intorno. Gioca col tempo, Malick, in un andirivieni dove il tempo cronologico degli eventi viene dilatato e frammentato dal sovrapporsi del tempo circolare della rielaborazione del lutto e dei conflitti interni. Sean Penn, che vediamo inizialmente muoversi all’interno di grattacieli lucenti tutto vetro e metallo, passa poi in un deserto, attraverso una porta che apre a un mondo altro: un al di là, uno spazio interiore, un luogo di misticismo e di preghiera. Il luogo privilegiato dei suoi ricordi è l’infanzia: un fratello è sempre collegato all’infanzia, all’epoca mitica dove tutto è avvolto da un’atmosfera intatta e incontaminata. E’ lì che si giocano le prime esperienze affettive, le prime alleanze e i primi conflitti, è lì che si iniziano a seguire i modelli genitoriali che possono integrarsi o confliggere come vedremo accadere per Jack.

In continua alternanza con i cataclismi che segnano la nascita dell’universo e la sua evoluzione, Jack lotta per ritrovare il senso della propria esistenza, per conciliare dentro di sé gli schemi genitoriali: padre, madre, voi siete sempre in lotta dentro di me…Una ricerca che lascia aperte le porte a tematiche metafisiche. Fino all’approdo in una spiaggia (la stessa dove abbiamo visto i dinosauri?) dove incontra se stesso bambino: un approdo che segna la riconciliazione con il suo passato e l’elaborazione del lutto, un approdo in questo luogo, nonluogo, in cui tutti, credenti e non, vorrebbero trovarsi un giorno per riabbracciare i propri cari perduti. Un luogo dove tutto si riconcilia anche il contrasto tra ambiente naturale e tecnologia come testimonia la bellissima sequenza delle tre immagini finali: il mare di girasoli, le vetrate dei grattacieli che riflettono un cielo terso e un ponte.

Note

[1] Mi vengono alla mente le domande esistenziali pronunciate dalla voce over de Il cielo sopra Berlino, 1987 di Wim Wenders: Come può essere che io che sono io, non c’ero prima di diventare? E che un giorno io, che sono io, non sarò più quello che sono?
[2] S. Tommaso d’Aquino parla di queste due entità: la natura e la grazia
[3] Malick riporta nel film un elemento autobiografico: un fratello più piccolo era chitarrista e veniva terribilmente pressato dal padre; questo lo spinse a rompersi le mani per non avere più il problema di suonare, e successivamente arrivò al suicidio.    

 

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