Torino Film Festival 2019: Il grande passo, Tommaso, La Gomera, Nour, Synonymes, Beats. Le recensioni del terzo giorno
28/11/2019
Il terzo giorno del TFF 37 ha visto passare in concorso il film italiano Il grande passo di Antonio Padovan. 

Si può andare sulla luna con mezzi costruiti in un fienile di campagna? Si può recuperare in pochi giorni il rapporto tra due fratelli che non si sono praticamente mai conosciuti? Mario (Stefano Fresi) e Dario Cavalieri (Giuseppe Battiston) si assomigliano fisicamente ma in realtà sono diversissimi. La vita gli darà un'occasione di avvicinarsi e di essere protagonisti di un'impresa sorprendente. Il nuovo film del regista di Se c'è prosecco c'è speranza intavola l'idea di far interpretare i fratellastri a Fresi e Battiston e il pretesto gli arriva da una commedia lunare e insolita, dotata di una notevole dose di commozione e sincerità ma anche di qualche ingenuità di scrittura di troppo, che impedisce all'operazione di celare le proprie fragilità strutturali. Interessanti, ad ogni modo, il prologo e l'epilogo a carattere astronautico, tra i quali fa a incastronarsi una tragicommedia familiare buffa e scandita da un'alternanza di malinconia e rimpianto, di levità paciosa, in gran parte incarnata dal personaggio di Fresi, e di durezza e riottosità, delle quali si fa carico il Dario di Battiston. Complessivamente gradevole e convincente anche la dimensione da road movie nordico nella regione del Polesine, con una valorizzazione di paesaggi, ambienti e caratteristi (Teco Celio, Roberto Citran), che non può non ricordare e omaggiare da molto vicino il cinema del compianto Carlo Mazzacurati. 

Nella sezione Festa Mobile largo invece a TOMMASO e LA GOMERA, il nuovo film di Abel Ferrara con protagonista Willem Dafoe, dai tratti largamente autobiografici, il noir del cineasta rumeno Corneliu Porumboiu, che uscirà anche nelle nostre sale nel corso del 2020 col titolo Fischia! (per entrambi trovate le recensioni ai nostri link esterni). Passaggio al TFF, nella sezione Onde, anche per SYNONYMES, il film di Nadav Lapid che ha trionfato all'ultima Berlinale conquistandosi il prestigioso Orso d'oro. 

In Festa Mobile largo anche a NOUR di Maurizio Zaccaro, adattamento del libro Lacrime di sale del medico di Lampedusa Pietro Bartolo.  Sull'isola continuano a sbarcare migranti. Quelli che riescono a toccare la terraferma, quantomeno. Molti invece muoiono annegati, o per ipotermia. Altri ancora arrivano lì, ma sono stati separati dalla rispettiva famiglia: come Nour, una ragazzina siriana costretta dalla guerra a lasciare la propria patria, rimasta senza la madre Fatima: un caso che il dottore, impegnato nel soccorso di migranti, prende a cuore. Il film, interpretato da Sergio Castellitto, muove da un tema di grande rilevanza e da un personaggio che ha investito tutti i suoi sforzi in una causa umanitaria tra le più rilevanti della contemporaneità. L'interpretazione dell'attore nei panni di Bartolo convince però solo a tratti, con un più di una forzatura stonata, così come la confezione, piuttosto sciatta e da fiction televisivo, sconfina ben presto nella mediocrità. Incerto anche l'andamento narrativo, che non offre nessuno spessore dialettico e subisce molto la necessità di dover trasporre sul grande schermo, in maniera piattamente anodina e non di raro eccessivamente retorica, il materiale del libro di partenza. 

A chiudere la giornata BEATS di Brian Welsh, in Festa Mobile. Johnno (Cristian Ortega) e Spanner (Lorn Macdonald), grandi amici, condividono un profondo legame. Prossimi all’età adulta, le loro vite stanno per prendere direzioni differenti: la famiglia di Johnno lo condurrà in una nuova città, verso una vita migliore, lasciando Spanner ad affrontare un futuro precario. Tuttavia, per loro e per l’intero Paese, questa estate sarà diversa. L’esplosione della scena dei rave party e del più ampio movimento di controcultura giovanile della storia recente sta infatti coinvolgendo il Regno Unito. Beats, film scozzese, è ambientato nel 1994, quando Tony Blair era appena entrato in politica 


 

Siamo nella Scozia del 1994, in una fase di depressione successiva allo strapotere di Margaret Thatcher, e in tv si ascoltano le parole di un Tony Blair appena entrato in politica. Questo contesto fa da fondale alla quotidianità randagia e un po’ scomposta di due giovani molto diversi – ribelle e indomabile Spanner, allampanato e represso, ma sempre sul punto di esplodere, Johnno – ma attratti visceralmente l’uno dall’altro, con una connessione alle soglie dell’affettività omoerotica. Sullo sfondo aleggia anche l’emanazione del Criminal Justice and Public Order Act, legge che vietava il ritrovo di venti e più persone che ascoltassero musica con dei beats – dei battiti, per l’appunto – superiori a un certo numero consentito (incredibile a dirsi, ma è tutto vero).

Il loro rapporto è restituito sullo schermo da un bianco e nero livido ma al contempo poetico ed estremamente romantico, nel quale Welsh sguazza a meraviglia muovendosi tra L’odio di Kassovitz, la tradizione gloriosa del Free Cinema britannico e inevitabilmente anche Trainspotting, dato che Spanner somiglia al fratello minore dell’indimenticabile Sick Boy del film cult di Danny Boyle (e nel film ha lui stesso un fratello maggiore, di nome Fido Smith, che più folle e violento di così sarebbe davvero difficile da immaginare).

Johnno, invece, ricorda in maniera impressionante un giovanissimo Dan Aykroyd, con quegli enormi occhioni da “cucciolo”, come lo apostrofa una delle tre ragazze (Laura, Wendy e Cat) al seguito dei due protagonisti nel corso delle loro peregrinazioni, e un’espressione stolida che ne cattura e ne congela la malinconia in una smorfia di perenne, ansiogeno stupore.

Il rave party al quale approdare, costi quel che costi, è solo un pretesto di cui Beats si serve per raccontare, a partire da uno spettacolo teatrale di Kieran Hurley, un momento storico della Gran Bretagna e un tessuto urbano e adolescenziale che negli anni ha poi smarrito, un po’ ovunque, quella passione travolgente e un po’ stordente per le chimere delle rivoluzioni, non importa se vere o presunte. La Generazione X, in sostanza, sarebbe ulteriormente scolorita in quella Z, scantonando in un’inerzia paralizzante e il più delle volte addirittura invalidante.

Guarda dunque a un passato dietro l’angolo che sembra già preistoria, Beats, ma non si ammanta della comoda coperta della nostalgia facile (anche perché si tratterebbe di una prospettiva assai miope), preferendogli l’incanto dell’imprevisto, dell’avventura, della psichedelia. Menzione finale, obbligata, per l’interprete di Johnno, Lorn Macdonald: un volto che sembra uscito dal cinema del miglior Ken Loach e un talento di razza, dall’avvenire assicurato.

 
  

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