Torino Film Festival 2019, Jojo Rabbit, Algunas Bestias, Le Choc du Futur, The Barefoot Emperor: le
25/11/2019
La prima giornata del Torino Film Festival 2019 ha visto prendere il via il concorso TFF 37, dedicato come sempre a opere prime, seconde ed eccezionalmente anche terze.
Il primo film a passare è stato ALGUNAS BESTIAS del cileno Jorge Riquelme Serrano, disturbante opera prima che vede tre generazioni di una famiglia bloccate su una remota isoletta dopo la sparizione del loro aiutante e della sua barca. Si tratta di uno spaccato familiare ad alto tasso di tensioni latenti sempre sul punto di esplodere e freddezza raggelante, che il giovane cineasta evidenzia a chiare lettere fin dalle prime, glaciali inquadrature. Appare palese anche il debito col cinema del connazionale Pablo Larraín, a partire dalla fotografia e dalla grana nebbiosa delle immagini, e Algunas bestias somiglia a più riprese a una versione familiare de Il club, con a troneggiare sullo schermo, nel loro coacervo di durezza, impassibilità e vergogne indicibili, il patriarca e la matriarca interpretati rispettivamente da Alfredo Castro e Paulina García, entrambi prossimi a una dimensione da Macbeth shakespeariano. Il crescendo della sceneggiatura è indubbiamente agghiacciante ed è proprio Castro, in una sequenza carezzevole eppure spietata, nella quale il suo personaggio provvede a violentare sessualmente la nipote, a fornire una delle sue consuete interpretazioni ad alto tasso di pulsioni viscerali e ricadute morali dai tratti ombrosi, perfino mostrificati. Peccato però che il film, col passare dei minuti, non rinunci nemmeno a una buona dose di manierismo e a una pomposità sfacciata che fanno somigliare il tutto a un preordinato esercizio di stile, estremamente meccanico nella sua ostentata assenza di sconti e di pietas umana ma privo di evoluzioni catarchiche e risolutive all'interno dell'arco narrativo. Rilevante, in compenso, il tentativo di calare la vicenda in un contesto chirurgico e impietoso, pronto a fare i conti con la nozione di classe e con i suoi mutamenti odierni ed estremamente fluidi, dissezionati da dialoghi e picchi di scrittura tutt'altro che lasciati al caso.
Il film successivo del concorso, LE CHOC DU FUTUR, è invece un'iniezione di vitalità di segno nettamente diverso. A Parigi, nel 1978, Ana (interpretata da una meravigliosa Eva Jodorowsky) è frustrata dalla continua composizione di jingle pubblicitari e cerca di farsi strada nel mondo della discografia producendo electro music in totale autonoia, tra sintetizzatori e macchinari all'avanguardia, compresa una delle prime beatbox importate in Francia che le viene regalata da un amico. Si tratta di un film piccolissimo ma accarezzato da una magia irresistibile, tutto ambientato all'interno di uno studio domestico di produzione discografica, ed è l'opera prima di Marc Collin, co-fondatore dei Nouvelle Vague, che si pone in scia a Eden di Mia Hansen-Løve raccontando la musica elettronica da una prospettiva intima e romantica, minimale ed alto tasso di sospensione sentimentale e coinvolgimento epidermico. Un gioiello dall'atmosfera sintetica e fluttuante e un omaggio alla musica elettronica non solo francese, ai suoi loop scarnificati, all'ebbrezza delicata e tagliente che questo genere ha saputo portare con sé, duellando con le convenzioni dell'industria musicale e scomponendole e ricomponendole in barba a mode e tendenze imperanti.
Il primo film a passare è stato ALGUNAS BESTIAS del cileno Jorge Riquelme Serrano, disturbante opera prima che vede tre generazioni di una famiglia bloccate su una remota isoletta dopo la sparizione del loro aiutante e della sua barca. Si tratta di uno spaccato familiare ad alto tasso di tensioni latenti sempre sul punto di esplodere e freddezza raggelante, che il giovane cineasta evidenzia a chiare lettere fin dalle prime, glaciali inquadrature. Appare palese anche il debito col cinema del connazionale Pablo Larraín, a partire dalla fotografia e dalla grana nebbiosa delle immagini, e Algunas bestias somiglia a più riprese a una versione familiare de Il club, con a troneggiare sullo schermo, nel loro coacervo di durezza, impassibilità e vergogne indicibili, il patriarca e la matriarca interpretati rispettivamente da Alfredo Castro e Paulina García, entrambi prossimi a una dimensione da Macbeth shakespeariano. Il crescendo della sceneggiatura è indubbiamente agghiacciante ed è proprio Castro, in una sequenza carezzevole eppure spietata, nella quale il suo personaggio provvede a violentare sessualmente la nipote, a fornire una delle sue consuete interpretazioni ad alto tasso di pulsioni viscerali e ricadute morali dai tratti ombrosi, perfino mostrificati. Peccato però che il film, col passare dei minuti, non rinunci nemmeno a una buona dose di manierismo e a una pomposità sfacciata che fanno somigliare il tutto a un preordinato esercizio di stile, estremamente meccanico nella sua ostentata assenza di sconti e di pietas umana ma privo di evoluzioni catarchiche e risolutive all'interno dell'arco narrativo. Rilevante, in compenso, il tentativo di calare la vicenda in un contesto chirurgico e impietoso, pronto a fare i conti con la nozione di classe e con i suoi mutamenti odierni ed estremamente fluidi, dissezionati da dialoghi e picchi di scrittura tutt'altro che lasciati al caso.
Il film successivo del concorso, LE CHOC DU FUTUR, è invece un'iniezione di vitalità di segno nettamente diverso. A Parigi, nel 1978, Ana (interpretata da una meravigliosa Eva Jodorowsky) è frustrata dalla continua composizione di jingle pubblicitari e cerca di farsi strada nel mondo della discografia producendo electro music in totale autonoia, tra sintetizzatori e macchinari all'avanguardia, compresa una delle prime beatbox importate in Francia che le viene regalata da un amico. Si tratta di un film piccolissimo ma accarezzato da una magia irresistibile, tutto ambientato all'interno di uno studio domestico di produzione discografica, ed è l'opera prima di Marc Collin, co-fondatore dei Nouvelle Vague, che si pone in scia a Eden di Mia Hansen-Løve raccontando la musica elettronica da una prospettiva intima e romantica, minimale ed alto tasso di sospensione sentimentale e coinvolgimento epidermico. Un gioiello dall'atmosfera sintetica e fluttuante e un omaggio alla musica elettronica non solo francese, ai suoi loop scarnificati, all'ebbrezza delicata e tagliente che questo genere ha saputo portare con sé, duellando con le convenzioni dell'industria musicale e scomponendole e ricomponendole in barba a mode e tendenze imperanti.
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