Tre recensioni dal 43esimo Torino Film Festival
"Pillion" di Harry Lighton - 2/4
2025 – Gran Bretagna – Drammatico
’106 – Colore
Con: Alexander Skarsgård, Harry Melling, Georgina Hellier, Brian Martin, Zamir Mesiti
Colin vive con i suoi genitori, che sanno tutto di lui; ha un lavoro che non gli piace ma che deve fare e coltiva la sua passione cantando in un buffo quartetto. Ma nella monotona vita di Colin appare Ray, carismatico motociclista alto e biondo che diventa il suo dominatore.
Il regista Harry Lighton, dopo alcuni corti presentati in vari festival, debutta con un'opera prima in cui racconta il mondo BDSM in modo ironico e divertente mettendo in scena una coppia all’apparenza improbabile: Colin, brutto, timido e senza esperienza e Ray, bello, magnetico, quasi divino.
Il film è tratto dal romanzo Box Hill di Adam Mars-Jones e racconta la storia di due personalità completamente diverse che si equilibrano in un gioco tra chi domina e chi è sottomesso; tra loro è forse davvero corretto parlare di gioco perché il tono, anche nei momenti più intensi, è sempre ironico, anche per la corporeità e per le espressioni di Colin, che fanno trasparire la timidezza, la continua (e poco soddisfatta) attesa e una devozione assoluta. L’iniziazione di Colin può essere quindi vista come una sorta di coming of age tardivo, quello di un trentenne che scopre i suoi desideri e che impara a maneggiarli.
Harry Melling e Alexander Skarsgård interpretano due personaggi apparentemente distanti, che percorrono però un percorso comune in cui la tenerezza di Colin influenza Ray, che si apre a brevi momenti di solitudine e sofferenza interiore e il gelido controllo di Ray indirizza l’educazione sessuale (e sentimentale) di Colin, che impara a riconoscere il suo valore. Presentato in anteprima nazionale Fuori Concorso al 43TFF, Pillion ha vinto il premio come miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2025 nella sezione Un Certain Regard.
"Laghat – Un sogno impossibile" di Michael Zampino - 1,5/4
2025 – Italia – Drammatico
’105 – Colore
Con: Lorenzo Guidi, Carlotta Antonelli, Hippolyte Girardot, Edoardo Pesce
Laghat affronta una vicenda ambientata nel mondo delle corse ippiche incentrata sul percorso umano di un giovane ragazzo: Mario ritrova, dopo anni, la carriera di fantino che aveva abbandonato e cerca di gestire un rapporto complicato con il padre e il fratello senza perdere, per la seconda volta, l’opportunità di fare ciò che ama davvero.
Tratto dal libro Laghat, il cavallo normalmente diverso di Enrico Querci, la vera storia del purosangue Laghat viene portata sul grande schermo dal regista Michael Zampino, regista e sceneggiatore italiano naturalizzato francese (che per anni è stato lontano dal cinema e ha lavorato come manager dell’industria petrolifera) che torna con il suo terzo lungometraggio. Nel 2021 il suo Governance – Il prezzo del potere ha vinto il Globo d’oro per la migliore sceneggiatura.
Zampino si immerge totalmente nel mondo delle corse ippiche, portando sullo schermo coinvolgenti scene di corsa, con una tecnica quasi documentaristica molto efficace per lo spettatore, che sente di essere davvero lì tra cavalli e fantini. Ma se il mondo esterno viene ben tratteggiato, il regista si perde un po' nella narrazione del mondo personale di Mario e della sua famiglia.
Il rapporto che si crea tra il giovane fantino e il cavallo, cieco da un occhio, non traspare nell’intensità probabilmente ricercata (è apprezzabile comunque il non racconto retorico e banale del legame uomo/animale) e risulta abbastanza debole il racconto del tempo presente, a cui sia Mario che Laghat devono dedicarsi: il primo perché deve combattere il passato per stare nel presente e il secondo perché per poter affrontare il futuro deve vivere al massimo il presente. Il parallelismo tra i due non è approfondito e ciò toglie forza anche alla narrazione della crescita interiore del protagonista.
Edoardo Pesce sempre convincente in ruoli da “villain” non convenzionali, Carlotta Antonelli ottima scelta di cast, meritava una focalizzazione più da vicino sulla sua storia e Hippolyte Girardot, misurato nel raccontare un personaggio-padre saggio e virtuoso. Presentato in anteprima al 43TFF nella sezione Zibaldone.
"Ritratti di cinema" di Paolo Civati - 2/4
2025 – Italia – Documentario
’73 – Colore
Nove maestri del Cinema, Jane Campion, Tim Burton, Ruben Östlund, Asghar Farhadi, Pablo Larraín, Damien Chazelle, Paul Schrader, Peter Greenaway e Martin Scorsese si raccontano per riflettere su linguaggi dell’arte, ispirazioni e senso profondo del fare cinema.
Paolo Civati, regista teatrale e cinematografico, con un passato da attore, è l’autore del pluripremiato documentario Castro del 2016: storia della vita in un edificio occupato del quartiere San Giovanni di Roma. Tra teatro, cortometraggi e documentari il regista propone in tutte le sue opere uno sguardo libero e profondo. In Ritratti di cinema il regista accompagna lo spettatore in un viaggio della parola, per raccontare, con la voce dei protagonisti, i temi che da sempre interessano la loro cinematografia e delineano le radici della loro creatività. Tra il 2023 e il 2024 questi registi sono stati ospiti del Museo Nazionale del Cinema di Torino e in quella occasione il fotografo Riccardo Ghilardi ha realizzato una serie di ritratti mostrati nella personale Piano sequenza la Mole e poi pubblicati nel volume Il Tempio del Cinema, pubblicato per celebrare i 25 anni del Museo alla Mole Antonelliana.
Gli autori si confrontano non sulla tecnica del film, ma sul senso più profondo del fare cinema; nasce così un dialogo a più voci che si sviluppa in tanti temi seguendo le personalità e le caratteristiche del linguaggio cinematografico di ognuno di loro. Civati crea una dimensione collettiva dove emergono però le voci individuali, che si esprimono con la loro lingua madre e i loro tempi.
I nove registi si raccontano senza filtri, esplorando temi universali come il coraggio, la solitudine, il conflitto e il significato profondo della regia, per creare un dialogo tra mondi apparentemente distanti che hanno come filo conduttore il linguaggio del cinema. Ritratti di cinema diventa così un dialogo interconnesso tra mondi personali e professionali apparentemente lontani ma uniti dallo stesso filo rosso: il linguaggio cinematografico come forma di esistenza. Presentato in anteprima al 43TFF nella sezione Zibaldone.
A cura di Giulia Marta Ferrero