Tutte le magie di Ennio: le vostre analisi!
29/04/2022
Durante il workshop dedicato al grande Ennio Morricone, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere una loro analisi collegata a questo straordinario compositore: ecco il lavoro che ha meritato la pubblicazione!
Una musica che accompagni il silenzio
di Lucia Cirillo
Come si può “musicare” il silenzio? Decisamente una sfida non comune per un autore abituato a dare corpo e vigore alle passioni più vivide, agli slanci eroici che dominano tanta parte di quel cinema western reso immortale anche per suo merito. E lo stesso potrebbe dirsi riguardo alle musiche nate per accompagnare momenti epici di storia nazionale. Morricone è da sempre il compositore della musica che diventa materia palpitante della narrazione al punto da costituirne una sorta di marchio riconoscibile e memorabile per il cinema che mette in musica. È quasi un automatismo quello di associare la sua grandezza a quei momenti della sua carriera.
Per Teorema però la sfida era un’altra: la musica doveva farsi portavoce del silenzio e riconoscere il vuoto esistenziale dei protagonisti, senza caricarlo di giudizi, nell‘ambito di un film che indulge molto su primi piani, sguardi malinconici o inespressivi, pochissimi dialoghi, inquadrature fisse su padiglioni di fabbriche dopo la chiusura che si contrappongono a paesaggi rurali sempre più desolati. Il compito arduo era quello di scrivere musica che accompagnasse un film sulle tempeste interiori dei protagonisti represse dai valori imposti e poi deflagrate in modo non prevedibile. Un esercizio opposto a quello richiesto per i film, per esempio, di Leone: riuscire a non caricare, non sovrastare il precario equilibrio sul quale far coesistere il groviglio inespresso delle emozioni e procedere, per una volta, per sottrazione grazie ad una musica lontana, quasi un’eco malinconica lieve e quasi impercettibile. Il risultato è così ben calibrato che quasi non ci si accorge che in realtà c’è meno silenzio di quello effettivamente percepito, che anzi quest’ultimo è valorizzato proprio dal garbo di suoni mai invasivi e perfettamente integrati con la condizione intima e psicologica dei diversi personaggi e, più in generale, con la percezione complessiva del contesto narrato.
Basti anche soltanto pensare alla desolazione malinconica e apocalittica restituita dalle inquadrature fisse dell’incipit, in un bianco e nero seppiato che si avvicina metaforicamente all’antico deserto evocato nel prologo, sottolineata soltanto da un timido sottofondo di archi che pare riprodurre della musica sacra. E poi passare al finale: in quel momento nessuna nota di sottofondo a gestire l’azione. Soltanto l’urlo di un uomo disperato. Morricone non si concede una chiosa finale da ultima “parola” in nota. L’ultima voce sarà proprio l’espressione più estrema di consapevolezza raggiunta dall’uomo sulla propria condizione. Ancora, e per sempre, in un silenzio che nessuno ha mai davvero interrotto.
Una musica che accompagni il silenzio
di Lucia Cirillo
Come si può “musicare” il silenzio? Decisamente una sfida non comune per un autore abituato a dare corpo e vigore alle passioni più vivide, agli slanci eroici che dominano tanta parte di quel cinema western reso immortale anche per suo merito. E lo stesso potrebbe dirsi riguardo alle musiche nate per accompagnare momenti epici di storia nazionale. Morricone è da sempre il compositore della musica che diventa materia palpitante della narrazione al punto da costituirne una sorta di marchio riconoscibile e memorabile per il cinema che mette in musica. È quasi un automatismo quello di associare la sua grandezza a quei momenti della sua carriera.
Per Teorema però la sfida era un’altra: la musica doveva farsi portavoce del silenzio e riconoscere il vuoto esistenziale dei protagonisti, senza caricarlo di giudizi, nell‘ambito di un film che indulge molto su primi piani, sguardi malinconici o inespressivi, pochissimi dialoghi, inquadrature fisse su padiglioni di fabbriche dopo la chiusura che si contrappongono a paesaggi rurali sempre più desolati. Il compito arduo era quello di scrivere musica che accompagnasse un film sulle tempeste interiori dei protagonisti represse dai valori imposti e poi deflagrate in modo non prevedibile. Un esercizio opposto a quello richiesto per i film, per esempio, di Leone: riuscire a non caricare, non sovrastare il precario equilibrio sul quale far coesistere il groviglio inespresso delle emozioni e procedere, per una volta, per sottrazione grazie ad una musica lontana, quasi un’eco malinconica lieve e quasi impercettibile. Il risultato è così ben calibrato che quasi non ci si accorge che in realtà c’è meno silenzio di quello effettivamente percepito, che anzi quest’ultimo è valorizzato proprio dal garbo di suoni mai invasivi e perfettamente integrati con la condizione intima e psicologica dei diversi personaggi e, più in generale, con la percezione complessiva del contesto narrato.
Basti anche soltanto pensare alla desolazione malinconica e apocalittica restituita dalle inquadrature fisse dell’incipit, in un bianco e nero seppiato che si avvicina metaforicamente all’antico deserto evocato nel prologo, sottolineata soltanto da un timido sottofondo di archi che pare riprodurre della musica sacra. E poi passare al finale: in quel momento nessuna nota di sottofondo a gestire l’azione. Soltanto l’urlo di un uomo disperato. Morricone non si concede una chiosa finale da ultima “parola” in nota. L’ultima voce sarà proprio l’espressione più estrema di consapevolezza raggiunta dall’uomo sulla propria condizione. Ancora, e per sempre, in un silenzio che nessuno ha mai davvero interrotto.