Un mercoledì da leoni: la struggente disillusione di quella mareggiata che è l’età adulta
02/09/2020
L’arrivo di settembre segna inevitabilmente l’inizio della fine della bella stagione. Sogni e speranze che abbiamo gelosamente cullato in questi mesi estivi, mesi in cui, parafrasando le parole di Fitzgerald, si ha la sensazione che la vita ricominci da capo, sono spesso destinati a sbiadire come orme sulla sabbia, intrappolati ormai in quell’etereo mondo che è il ricordo. Un film in particolare, ormai divenuto di diritto un cult imprescindibile della storia del cinema, riesce a racchiudere tutto il disincanto e lo struggimento di queste serate settembrine: stiamo parlando dell’intramontabile Un mercoledì da leoni (1978), diretto da John Milius.

I tre protagonisti e amici, Matt (Jan-Michel Vincent), Jack (William Katt) e Leroy (Gary Busey), ci vengono presentati come antichi eroi greco-romani, bronzei guerrieri che imbracciano le loro personali lance (in questo caso le tavole da surf) mentre guardano con aria di sfida quel tanto amato rivale, le cui fila si infrangono contro le coste della California. La scalinata che si dispiega sotto i loro piedi e che li separa dalla spiaggia evoca alla memoria ricordi e atmosfere di un mondo ancestrale, misticamente ancorato a tempi in cui le gesta degli eroi riecheggiavano per i secoli a venire. Milius ci racconta il disincanto che si cela dietro il mito e la leggenda. Quattro mareggiate, susseguitesi nell’arco di dodici anni, racconteranno quattro differenti momenti della vita dei nostri tre amici. La spensieratezza e la voglia di vivere che caratterizza la gioventù lascerà pian piano il posto alla disillusione dell’età adulta, periodo in cui i vecchi legami vengono messi a dura prova dall’inesorabile scorrere del tempo.

Racconto struggente di quella che fu una generazione perduta, cresciuta con promesse e sogni di gloria cancellati dagli orrori della guerra del Vietnam, tragico e lungo capitolo della storia americana che, proprio come la più violenta delle mareggiate, spazzò via il futuro di milioni di giovani ragazzi. Ode nostalgica all’età dell’innocenza, a quella spensieratezza che, giorno dopo giorno, sbiadisce sempre di più, proprio come una vecchia fotografia di tre amici con le tavole da surf. I nostri protagonisti dovranno fare i conti con l’inesorabile trascorrere del tempo: Leroy continuerà a viaggiare lungo tutta la costa, conducendo una vita del tutto priva di scopo; Jack dovrà affrontare un amaro ritorno dalla guerra, ad aspettarlo non ci sarà infatti l’amata Sally; a Matt invece spetta il destino più tragico: l’incapacità di accettare l’arrivo dell’età adulta.

“Ma ora tutto sembrava appartenere al passato. Il cambiamento non era nella spiaggia, nel vento, nelle onde. Il cambiamento era nelle persone. Qualcuno si era sposato, altri si erano trasferiti nell'interno, altri avevano iniziato altre attività. Qualcuno era morto.”
Nel finale del film realtà e mito tornano ad allinearsi, cavalcando le onde del Big Wednesday Matt, Jack e Leroy si riscoprono amici come un tempo. C’è infine spazio per un passaggio di consegne (Matt cederà la sua tavola a un giovane fan, segno di aver accettato il tempo che passa) e per un ultimo sguardo a quella mareggiata rincorsa per così tanti anni. Il sole al tramonto, simile a una goccia di miele, lentamente si fonde con lo specchio dell’oceano e le malinconiche note di Only good times ci ricordano che “non ci sono rimpianti, solo bei ricordi”.
Simone Manciulli

I tre protagonisti e amici, Matt (Jan-Michel Vincent), Jack (William Katt) e Leroy (Gary Busey), ci vengono presentati come antichi eroi greco-romani, bronzei guerrieri che imbracciano le loro personali lance (in questo caso le tavole da surf) mentre guardano con aria di sfida quel tanto amato rivale, le cui fila si infrangono contro le coste della California. La scalinata che si dispiega sotto i loro piedi e che li separa dalla spiaggia evoca alla memoria ricordi e atmosfere di un mondo ancestrale, misticamente ancorato a tempi in cui le gesta degli eroi riecheggiavano per i secoli a venire. Milius ci racconta il disincanto che si cela dietro il mito e la leggenda. Quattro mareggiate, susseguitesi nell’arco di dodici anni, racconteranno quattro differenti momenti della vita dei nostri tre amici. La spensieratezza e la voglia di vivere che caratterizza la gioventù lascerà pian piano il posto alla disillusione dell’età adulta, periodo in cui i vecchi legami vengono messi a dura prova dall’inesorabile scorrere del tempo.

Racconto struggente di quella che fu una generazione perduta, cresciuta con promesse e sogni di gloria cancellati dagli orrori della guerra del Vietnam, tragico e lungo capitolo della storia americana che, proprio come la più violenta delle mareggiate, spazzò via il futuro di milioni di giovani ragazzi. Ode nostalgica all’età dell’innocenza, a quella spensieratezza che, giorno dopo giorno, sbiadisce sempre di più, proprio come una vecchia fotografia di tre amici con le tavole da surf. I nostri protagonisti dovranno fare i conti con l’inesorabile trascorrere del tempo: Leroy continuerà a viaggiare lungo tutta la costa, conducendo una vita del tutto priva di scopo; Jack dovrà affrontare un amaro ritorno dalla guerra, ad aspettarlo non ci sarà infatti l’amata Sally; a Matt invece spetta il destino più tragico: l’incapacità di accettare l’arrivo dell’età adulta.

“Ma ora tutto sembrava appartenere al passato. Il cambiamento non era nella spiaggia, nel vento, nelle onde. Il cambiamento era nelle persone. Qualcuno si era sposato, altri si erano trasferiti nell'interno, altri avevano iniziato altre attività. Qualcuno era morto.”
Nel finale del film realtà e mito tornano ad allinearsi, cavalcando le onde del Big Wednesday Matt, Jack e Leroy si riscoprono amici come un tempo. C’è infine spazio per un passaggio di consegne (Matt cederà la sua tavola a un giovane fan, segno di aver accettato il tempo che passa) e per un ultimo sguardo a quella mareggiata rincorsa per così tanti anni. Il sole al tramonto, simile a una goccia di miele, lentamente si fonde con lo specchio dell’oceano e le malinconiche note di Only good times ci ricordano che “non ci sono rimpianti, solo bei ricordi”.
Simone Manciulli