Un reportage sulla Mostra di Venezia
10/09/2022
Riceviamo e volentieri condividiamo un reportage di alcune recensioni dalla Mostra di Venezia 2022, realizzate da Letizia Piredda, accreditata grazie a longtake!


1) Obet (Vittima) di  Michal Blaško Venezia 79 Orizzonti


Una madre in preda alla disperazione raggiunge il figlio in ospedale. Sembra sia stato vittima di un’aggressione da parte dei vicini Rom. Subito si forma un fronte di solidarietà cui aderisce l’intera città e la stessa sindaca, gettando discredito sulla comunità Rom. Siamo nella Repubblica Ceca, mosaico di minoranze, tra cui quella ucraina ( madre e figlio) è una delle più rappresentate, rispetto ad altre, quella Rom per l’appunto. 
Poi un totale capovolgimento della situazione: la verità è un’altra, una caduta per le scale, ma ormai la macchina mediatica si è messa in moto, e insieme la prospettiva di una promozione sociale, la promessa della cittadinanza ceca e un nuovo alloggio. Non è più possibile tornare indietro, pena la perdita delle opportunità che la situazione le ha concesso, anche se proprio questo bisognerebbe fare per seguire i dettami della coscienza civile. Il film ha qualche caduta di tono, e il conflitto interno della madre rimane in superficie, ma resta valido per le riflessioni che suscita sulle dinamiche migratorie interne all’Europa, e sulla impossibilità di una vera giustizia sociale all’interno di una società xenofoba. Chi è la vera vittima?

2. The happiest men in the world (L’uomo più felice del mondo) di Teona Strugar Mitevska, Venezia 79 
     Orizzonti


Una giornata organizzata per coppie di cuori solitari in cui si alternano domande, a cui ogni coppia a turno deve rispondere, e giochi. Un’atmosfera di attesa, con una vena di eccitazione e di scanzonata ironia. Ci troviamo a Sarajevo molti anni dopo il conflitto che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia. Ma all’interno di una coppia iniziano a crearsi dei contrasti, finché l’uomo si alza e se ne va. Comincia a crearsi un clima di tensione, ora lui ora lei scompaiono e ricompaiono, fino ad arrivare a un vero boicottaggio delle attività proposte. Le altre coppie che, inizialmente, non avevano dato molta importanza alla cosa, cominciano a protestare, infastiditi da questa pesante interferenza. Ma poi si apre una voragine  e cominciano ad affiorare le lacerazioni, i traumi, le ferite ancora aperte: il serbo e il bosniaco, si affrontano ancora imprigionati dal ricordo. Bellissimo questo film che gradualmente affonda nelle lacerazioni ancora non sopite di una guerra fratricida. E i racconti da queste suscitati fanno pensare all’Ubuntu iniziato da Mandela in Sudafrica, a quel lungo processo di perdono che passa sempre e soltanto attraverso il racconto esplicito delle atrocitá inflitte o subite, e dalla volontà di comprendere e perdonare.

 

3. Bi Roja (Senza di lei) di Arian Vazirdaftari, Venezia 79 Orizzonti extra

Ha la tensione di un thriller questo film iraniano che ruota attorno al tema dell’identità negata. Roya è una donna determinata, giornalista, capace di lottare per le sue idee. A causa delle sue posizioni antigovernative, decide di emigrare con il marito in Danimarca, quando compare una ragazza che si è persa, disorientata, priva di memoria. Roya la accoglie in casa e cerca di aiutarla. Lentamente inizia un processo silenzioso da parte della ragazza di appropriazione di oggetti, di imitazione di comportamenti in un crescendo angoscioso, fino alla totale sostituzione con Roya rubandole in toto l’identità.  Roya cerca di lottare e di ribellarsi a questa situazione, ma poi si scontra con una situazione surreale in cui nessuno la riconosce più, neanche il marito, e tutti scambiano la ragazza per lei. Un azzeramento totale dell’identità: anche questo è un modo di uccidere, un modo raffinato e sottile per eliminare e rendere innocue le persone ritenute scomode dal regime. Si sentono echi di film noir come Angoscia, o di quelli più tragici sulla malattia mentale Qualcuno volò sul nido del cuculo. Addirittura le sue foto non esistono più: sono state ritoccate sostituendo il suo viso con quello della ragazza. Una situazione surreale? Forse non così surreale come sembra: infatti ci troviamo in Iran e il surreale qui diventa molto reale : il film è una denuncia e insieme un omaggio a tutti gli intellettuali a cui viene impedito dal regime di vivere per quello che sono. Notevole la regia, e bravissima la protagonista che riesce a farci vivere in prima persona il dramma straniante e devastante della perdità dell’identità.

4) The son, di Florian Zeller Venezia 79 In Concorso

Nella crescita emotiva all’interno della famiglia che spesso occupa lunghi spazi intergenerazionali, ci sono fasi intermedie in cui un genitore si pone il problema del suo ruolo, ma non dispone ancora di strumenti consoni per declinare l’affetto per il figlio con una modalità adulta.

Qui vediamo un padre che, a differenza della generazione precedente, cerca di coniugare l’affermazione personale sul lavoro con i problemi del primo figlio. Separato dalla moglie, ha iniziato una relazione con una donna più giovane, da cui ha avuto un altro bambino.
Ma l’emergenza di problemi seri del figlio adolescente provoca un forte squilibrio a tutti i livelli: non vuole più stare con la madre, anche perché il rapporto ha raggiunto un livello di forte tensione, vuole stare con il padre da cui spera di avere un’attenzione e una protezione che la madre forse non è stata in grado di dargli, e con il fratellino più piccolo. Man mano emergono dei segnali allarmanti: Nicholas non va più a scuola da un mese, ha le braccia piene di ferite e dorme con un coltello sotto il cuscino. Segnali che però non sono sufficienti ad allertare il padre che reagisce con modalità vecchie, autoritarie, come regole di disciplina“non si fa” e una modalità razionale che scivola, lasciando inalterati, i gravi problemi depressivi del ragazzo. Anche la psicoterapia, iniziata per sua iniziativa, non riesce ad intaccare in alcun modo il  grave disagio esistenziale del figlio.
Per di più le problematiche genitoriali vanno a sommarsi a quelle della separazione creando un corto circuito che riduce sempre di più le possibilità di elaborazione da parte dei genitori.
La madre un po’ intuisce la gravità della situazione, ma tra il mondo del padre e quello di Nicholas c’è una distanza psicologica che si frappone e impedisce al padre di cogliere il grave disagio psicologico del figlio, anche perché la depressione è una condizione mentale non visibile dagli altri. La situazione degenera fino al ricovero urgente in ospedale dove Nicholas viene aiutato da una equipe di psichiatri che consigliano di prolungare la degenza. Al momento della scelta decisiva, che i genitori devono prendere davanti ai medici e a Nicholas, a prevalere sono i sensi di colpa, e il bisogno miope di corrispondere alla prova d’amore, tornare a casa, richiesta dal figlio.
La pellicola è il secondo adattamento cinematografico, dopo The father, dell'opera teatrale del 2018 Le Fils, che fa parte di una trilogia, scritta dallo stesso Zeller, scrittura accuratissima che apre a scenari di lettura sempre più profondi, con uno stile classico asciutto capace di mantenere un livello di tensione sostenuta fino all’ultimo, grazie anche alle interpretazioni rimarchevoli degli attori.

5) Blonde di Andrew Dominik Venezia 79 In Concorso

Tratto dal libro di Joyce Carol Oates il film non è un biopic ma una analisi psicologica condotta su un duplice binario della star più iconica del cinema: Norma Jeane-Marilyn, con una bravissima Ana de Armas chiamata ad una prova davvero impegnativa. 
Una vita segnata quella di Norma Jeane dalla malattia psichiatrica della madre, dall’abbandono del padre, dall’orfanotrofio. Ma il suo prorompente fascino sexy é stato il suo lasciapassare per diventare una delle stelle più luminose di Hollywood, e poi un mito: Marilyn Monroe. La dissociazione psicologica tra la fragile Norma Jeane e l’ascesa prepotente della bomba sexy Marilyn costituirà la base di una terribile ambivalenza, presente in tutti gli eventi della sua vita affettiva: i matrimoni con gli uomini più disparati, i figli desiderati e poi abortiti, le sue performance di attrice, in una continua oscillazione tra fragilità, bisogno di affetto e rifugio onnipotente nel successo, di cui per altro non riuscirà mai a godere pienamente . Non esiste schermo, non esiste protezione dalla voracità maschile dentro e fuori il mondo del cinema, non esiste scelta. Solo il matrimonio con Arthur Miller costituirà  una breve pausa in cui Marilyn ottiene un riconoscimento a livello culturale (le sue ambizioni per Cechov e Dostojevskij). Ma poi tutto si richiude. La sua vita é una sconfitta continua: un soccombere a tutti gli appetiti più deteriori perché sempre e comunque per lei prevale il bisogno irrinunciabile, patologico di sentirsi desiderata. Dominik punta il dito sulla laidità maschile, nessun uomo si salva in questo film, e allarga lo scenario a tutto il pubblico con il suo bisogno di divorare, di consumare la star, il mito e tutto quello che rappresenta. Luci e ombre del personaggio Norma Jeane-Marilyn espresse anche visivamente con una splendida alternanza tra bianco e nero e colore; mentre la manipolazione dello sguardo attuata da ognuno di noi, viene sottolineata trasformando le immagini più iconiche di Marilyn in sequenze animate: Marilyn per tutti noi  è solo un’immagine che si può deformare, moltiplicare all’infinito in base alle nostre esigenze.
L’originalità del film sta proprio qui, in questo dito puntato: siamo in qualche modo tutti voyeur, tutti complici, tutti abusanti, tutti chiamati in causa.

 

Corsi

Sei un appassionato di cinema?
Non perderti i nostri corsi lorem ipsum dolor


Sei un’azienda, un museo o una scuola?
Abbiamo studiato per te lorem ipsum dolor

Con il tuo account puoi:

Votare i tuoi film preferiti

Commentare i film

Proporre una recensione

Acquistare i nostri corsi

Guardare i webinar gratuiti

Personalizzare la tua navigazione

Filtri - Cerca un Film

Attori
Registi
Genere
Paese
Anno
Cancella
Applica