Durante il workshop dedicato all'approfondimento di Una storia vera, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere una loro analisi su quest'opera di David Lynch: ecco il lavoro che ha meritato la pubblicazione!
Claudia Carloni
IL CIELO STELLATO SOPRA DI NOI
Quando Lynch si innamora di una storia nasce la magia, così accade per "The Straight Story", che narra la vicenda di Alvin Straight, realmente esistito e che ha realmente intrapreso il viaggio spericolato e catartico che ripercorriamo nel corso del film.
Lynch ci regala un ritratto dell’America rurale che ben conosce e che ha vissuto, le distese infinite di campi sembrano poesia in movimento, la fotografia è emozionante e contemplativa, accompagnata da una musica nostalgica, a tratti malinconica, che risuona con le nostre emozioni e ci immerge all' interno della storia. Se chiudo gli occhi, ascoltando le note dal sapore country che accompagnano il lento procedere del tosaerba, vedo un ranch, un cowboy appoggiato a una staccionata che mastica un filo d'erba al calare del sole. Alvin incarna l’archetipo del cowboy americano, temerario, diretto, onesto, un anziano cowboy con lo spirito giovane di chi vuole ancora mettersi in gioco, di chi sa che la vita è un viaggio, e che tutte le esperienze che facciamo durante il percorso sono importanti tanto quanto il punto di arrivo. Decide di partire con un improbabile tosaerba nella speranza di sanare vecchie ferite e di riappacificarsi con il fratello Lyle che non vede da tempo.
Il viaggio assume un significato simbolico, profondo, interiore, si fa metafora del ciclo di vita ed è proprio nella lentezza e nella fatica dell’impresa che acquista un valore inestimabile, capace di riempire un silenzio durato dieci anni.
La storia è lineare ma potente nella sua semplicità, un osservatore superficiale potrebbe definirlo il film meno "lynchiano" della sua carriera, in realtà è solo un'altra sfaccettatura del mondo di Lynch, una parte che non era ancora stata indagata ed espressa così esaustivamente ma c'è sempre stata. Vedendo le scene iniziali del prato verde contornato da una staccionata, o dell’irrigatore che zampilla in solitudine, è impossibile non pensare a "Velluto blu".
La forte partecipazione emotiva che proviamo in diverse scene del film richiama l’altra grande storia vera raccontata da Lynch, "The Elephant Man”, e sono molti i collegamenti e le analogie che avvicinano "The Straight Story" alla filmografia lynchiana e che ci fanno comprendere quanto il film appartenga allo stesso universo e alla stessa poetica.
Lynch questa volta vuole soffermarsi su altri aspetti della provincia americana, andare in una direzione diversa, esplorare non ciò che si nasconde sotto il tappeto erboso ma ciò che lo abita. La natura diventa protagonista, i paesaggi che si susseguono vengono valorizzati da delle inquadrature straordinarie, che sottolineano la compartecipazione tra l’uomo e la natura.
È una natura amica, quella che circonda Alvin, che ci nutre e ci accoglie, imprevedibile e potente, di fronte alla quale ci sentiamo piccoli ma anche parte di qualcosa di più grande che trascende le nostre singole esistenze. Sono questi i sentimenti che provano Alvin e Lyle da ragazzi mentre guardano il cielo stellato, e che il protagonista vorrebbe provare ancora una volta.
Giunto al capolinea della sua vita, Alvin ha vissuto intensamente e visto di tutto, ma ha conservato la capacità di provare stupore e meraviglia, è saggio ma anche disarmato di fronte all'attrezzatura medica per lui così estranea e innaturale, ha gli occhi che brillano come le stelle che ama guardare e anche nel silenzio assoluto il suo sguardo ci penetra l' anima. Anche noi restiamo meravigliati dalla bellezza della natura, assistiamo alle variazioni del clima e al passaggio delle stagioni: la natura ha i suoi ritmi, il tempo della semina e il tempo del raccolto, che dobbiamo rispettare, così come Alvin accetta i limiti che la sua età gli impone, il tosaerba è l’unico mezzo che gli permette di andare alla sua velocità naturale, rispettare la lentezza del suo corpo anziano.
Alcuni pensano che gli incontri che facciamo nella vita siano del tutto casuali, altri pensano invece che attiriamo delle persone in particolare per imparare reciprocamente qualcosa, e per dare una direzione e un senso alla nostra esistenza.
La storia di Alvin sembra sposare questa seconda ipotesi. Alvin vuole affrontare questa esperienza da solo ma sono le persone che incontra, e che condividono con lui anche solo il tempo di una cena, a ridefinire il viaggio e il suo peso.
Nell' incontro avrà modo di raccontarsi, in un dialogo empatico con l’Altro, di esprimere i propri valori e insegnamenti, e di tirare le somme della sua vita. Il tempo si dilata per darci modo di apprezzare ogni aspetto della storia, ogni dettaglio, ogni momento, come se potesse essere l'ultimo, perché così è per il protagonista.
Uno degli incontri secondo me più significativi è quello con un suo coetaneo, reduce della guerra.
Quando Alvin racconta l'orrore e la colpa che porta ancora dentro di sé lo fa lentamente, soppesando ogni parola, senza toni melodrammatici ma in maniera semplice, vera, commossa. La guerra è qualcosa di disumano, ma non possiamo fare altro che raccontarla nel modo più umano e sgomento possibile, sapendo che le parole non possono spiegarla perché niente può farlo.
Il passato torna a farsi presente nel ricordo, accompagnato dal rumore degli aerei e il crepitio della guerra, un tormento eterno per chi quei momenti li ha vissuti. Alvin assapora il valore della condivisione di quell'esperienza in comune, a volte lo stesso peso condiviso e compreso può farsi più leggero anche solo per un istante.
Ormai sa quali sono le cose realmente importanti, per questo vuole rivedere Lyle prima che sia troppo tardi.
Un fratello, come dice lui stesso, è la persona che ci conosce meglio, depositario dei nostri stessi valori, tradizioni, ricordi, è qualcuno che ha condiviso con noi una parte importante della nostra vita, quel senso di spaesamento e curiosità che proviamo da piccoli guardando la vastità del cielo che ci sovrasta, e la speranza di ritrovarsi oltre quelle stelle.
C'è una frase di Kant che risuona nella mia mente mentre guardo la scena finale: "due cose riempiono l'animo con sempre nuovo e crescente stupore e venerazione: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me". Penso che sia così che Alvin abbia vissuto, con la testa rivolta verso l'immensità del cielo e gli occhi rivolti verso il cuore, con i suoi errori e le sue colpe come tutti, ma sapendo ciò che era giusto fare.
L'incontro finale con Lyle non ha bisogno di tante parole, il gesto fatto da Alvin parla da sé, non resta che osservare silenziosamente il cielo, insieme per un’ultima volta.
Le stelle, dapprima immobili, nell' ultima inquadratura quando i due fratelli alzano gli occhi al cielo sembrano fluttuare, come quando le guardiamo troppo a lungo e per un effetto ottico ci sembra di vederne un movimento, ma il movimento esiste solo nell' occhio di chi guarda. Nella condivisione di quello sguardo Alvin può prepararsi alla sua uscita di scena dalla vita.
La profondità del cielo stellato, così prezioso e così incantevole, rimane un mistero da contemplare.
"The Straight story" è una storia vera, una storia di emozioni, semplice e incredibile al contempo, che racchiude un’universalità: tutti ci siamo ritrovati almeno una volta, come Alvin, immersi nella visione della volta celeste, con i nostri rimpianti e i nostri ricordi, domandandoci cosa ci sia oltre ciò che vediamo, e abbiamo provato quella vertigine di essere in bilico tra il visibile e l' invisibile.
L' infinità dell’Universo ci interpella e ci richiama come parte del tutto, di un progetto più grande, forse, di un’eternità che non possiamo concepire ma soltanto postulare.