Weekend di critica cinematografica: i vostri elaborati
28/10/2018

Al termine del nostro weekend dedicato alla critica cinematografica, abbiamo chiesto ai partecipanti di mandarci delle analisi di film a loro scelta. Ecco le più interessanti:

 

Fabio Baratella

Bande à part (Jean-Luc Godard, Francia, 1964)

 

Nella Parigi del 1964, due amici senza arte né parte, Arthur (Claude Brasseur) e Frantz (Sami Frey), intendono compiere una rapina in una villa nei sobborghi della città: i due conoscono Odile (Anna Karina) a dei corsi di Inglese e la ragazza si lascia sfuggire che in quella abitazione, dove lei è ospite della zia, si nasconde una grossa somma di denaro. I ragazzi convincono Odile a dar loro una mano per organizzare il colpo, ma la situazione, causa alcuni imprevisti, sfuggirà ben presto di mano.

Su una trama molto semplice e lineare, tratta dal romanzo di Dolores Hitchens “Fools’ Goldâ€, di matrice noir, Godard dà vita ad uno degli esiti più felici della stagione d’oro della Nouvelle Vague, secondo, nella sua corposa filmografia, solo al capolavoro Fino all’ultimo respiro: la trama, poco più di un pretesto, viene usata dall’autore per perseguire nella sua ricerca stilistica, ambientando l’opera per gran parte della sua durata all’aria aperta, sfruttando le location naturali della capitale transalpina, evitando con cura di filmare i luoghi più conosciuti per ovviare al cosiddetto effetto cartolina, strutturando il film in sequenze che si susseguono ad un ritmo frenetico, inserendo scene ‘superflue’ all’economia del racconto – come la celebre corsa tra i corridoi del Louvre (citata da Bernardo Bertolucci in The Dreamers) e quella del ballo a tre in un locale, dove il cineasta ‘gioca’ con la componente sonora – che ben si amalgamano al resto del narrato, che, peraltro soffre di alcuni momenti, come ad esempio al corso di Lingue, tirati fin troppo per le lunghe.

Bande à part, impreziosito dalla fotografia in b/n del grande operatore Raoul Coutard, che restituisce l’immagine di una Ville Lumière nebbiosa ed autunnale negli esterni, alternata ad una fumosa e vitale dei locali notturni, è una pellicola il cui contenuto è la forma stessa ed è al contempo un omaggio al cinema di genere americano, tanto bistrattato prima dell’avvento dei critici dei “Cahiers du cinémaâ€, e una variante noir del triangolo amoroso narrato da François Truffaut in Jules e Jim.

 

Alessandra Provera

Il Petroliere (There Will Be Blood, Paul Thomas Anderson, 2007)

 

È il 2007 e nonostante la sua giovane età il trentasettenne regista Paul Thomas Anderson si è già affermato nel panorama internazionale, conquistando il pubblico e la critica con i suoi primi lavori.

Il Petroliere racconta la storia di Daniel Plainview, ex minatore d’argento che entra in possesso di alcuni giacimenti di petrolio. La ricchezza che ne deriva alimenta la cupidigia di Daniel, che cerca di accaparrarsi, con qualunque mezzo a sua disposizione, ogni terreno che nasconda nelle sue profondità il tanto amato “oro neroâ€.

È proprio mentre tenta di appropriarsi dell’ennesimo terreno che Daniel trova sul suo percorso Eli Sunday, l’ambiguo pastore di una piccola comunità di provincia.

Eli e Daniel sono personaggi apparentemente agli antipodi, rappresentanti a modo loro di due veri e propri pilastri ideologici del ‘900 americano: da una parte il capitalismo più pionieristico, dall’altra le istituzioni religiose. Concetti che messi assieme sulla scena hanno la portata di due elefanti in una stanza.

Solo in pochi momenti del film i due si scontrano, quando lo fanno però è con grande potenza: in primis durante un rito religioso in cui il pastore Eli cerca, con successo, di redimere l’impunito Daniel. Durante questa scena di grande effetto emotivo Paul Dano e Daniel Day Lewis si affrontano in un duello di gestualità ed espressioni.

Lo scambio continua per un po’ alternando denti digrignati a compassionevoli occhi rivolti al cielo, poi Daniel cede, decretando la vittoria morale di Eli. Il giovane pastore è riuscito nel suo intento: l’avido petroliere è in ginocchio ai suoi piedi, davanti agli sguardi increduli di tutta la comunità.

Basta però uno sguardo e un breve dialogo impercettibile tra i due, per capire che quella a cui il pubblico ha assistito a bocca aperta è tutta una messa in scena, una brillante trovata che permette ad Eli di consolidare la sua posizione di capo spirituale della comunità e a Daniel di entrare nelle grazie del popolo, mossa strategicamente fondamentale per l’acquisizione di nuovi terreni.

Gli unici ad essere beffati in questa geniale “Messa†in scena sono proprio gli astanti, che nella durata di una tragedia ad atto unico assistono senza accorgersene a una perfetta ripartizione del potere: spirituale e temporale.

C’è un secondo momento di scontro tra Daniel e Eli nel finale del film.

Questa volta le porte sono chiuse, non c’è un pubblico, nessuna folla da convincere. Un ultimo faccia a faccia in cui ognuno svela le proprie carte. Il risultato è schiacciante: Eli non può nulla contro un Daniel che seppur vecchio e visibilmente affaticato (la scena si svolge nel 1927, a soli due anni dalla grande depressione americana), prima lo umilia, poi lo insegue e lo “divora†(“I told you I would eat you!â€), spingendosi fino all’omicidio. L’anima del capitalismo ormai ha assunto proporzioni mostruose, assorbe e travolge tutto ciò che gli sta intorno, gioca con la spiritualità ma non ne ha più bisogno, essa non ha più alcuna influenza su di lui. Travolge, distrugge e finirà per implodere ma nel farlo lascia intriso tutto ciò che gli sta intorno di una sostanza torbida e appiccicosa, che sporca irreversibilmente, come fa il petrolio.

La sequenza finale si chiude e un cartello con il titolo originale del film riempie l’ultimo fotogramma.

“There will be bloodâ€, ci sarà sangue.

Un verbo coniugato al futuro che letto a questo punto del racconto suona come un’ammonizione. E se il contenuto del film fosse solo un antefatto? Il petrolio usato come simbolo della caccia alle risorse, un fine per cui l’uomo conduce giorno dopo giorno guerre fratricide, contro l’ambiente e contro se stesso.

Il sangue di Eli, sparso su una lucida pista da biliardo non è certo l’ultimo che sia stato versato.

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