Nella serata di ieri, domenica 9 maggio, Woody Allen è intervenuto in collegamento a Che tempo che fa per la presentazione del suo ultimo lavoro Rifkin's Festival, in sala in questi giorni. Non si è trattato certo di un’intervista memorabile, ma molte dichiarazioni sono state particolarmente significative soprattutto per la fortuna del regista in Italia e per i progetti che lo attendono nel prossimo futuro.
La conversazione è partita riflettendo sulla televisione che ha ammesso non essere il mezzo espressivo più amato: «La televisione ha fatto grandi passi da quando girai Io e Annie, la situazione della televisione non era proprio ottima in quel periodo, addirittura anche il nostro governo diceva che la tv pubblica era "una desolazione". Poi negli anni a venire la televisione, negli Stati Uniti d'America è cresciuta moltissimo, è migliorata. Io non la guardo, ma non per motivi specifici: di solito esco la sera a cena e quando ritorno a casa è tardi quindi magari guardo un po' di sport, qualche inning di baseball, magari la finale del campionato di basket o il telegiornale e poi vado a dormire. Purtroppo, non sto alzato molto la sera perché mi si stancano gli occhi», ha dichiarato il regista.
Rifkin's Festival, girato a San Sebastian, è stato invece fonte di divertimento e di riflessione sul grande cinema europeo: «Mi sono divertito tantissimo nel fare questo film. Ho lavorato in collaborazione con Vittorio Storaro, meraviglioso direttore della fotografia, e ci siamo divertiti tantissimo nel ricreare alcune situazioni stilistiche e scene che risalgono alle opere dei grandi maestri europei. Il film è una serie di omaggi, è dedicato proprio ai grandi cineasti europei, che hanno avuto un'influenza incredibile sul meglio della cinematografia americana […]. Non faccio mai nessuna prova, né prima né dopo, neanche a livello di suono. Voglio che tutto sia spontaneo, "in diretta", e se qualcosa non va bene, o magari si sente il suono di un clacson, il motore di un aereo che passa mentre giriamo la scena li lascio, perché do molto valore alla spontaneità del momento invece di cercare di essere perfezionista e poi perdere qualcosa».
A che cosa è dovuto il successo dei suoi film in Italia? Forse, il merito è da attribuire alla traduzione: «Oreste Lionello, colui che è stato la mia voce nei film italiani, che mi ha doppiato, attore meraviglioso, davvero mi ha fatto sembrare meglio di quanto sono. In effetti tutti mi chiedevano “ma come mai i tuoi film vanno così bene in certi Paesi a volte ancora meglio che negli Stati Uniti?” È perché probabilmente hanno guadagnato grazie alla traduzione. Nella maggior parte dei casi qualcosa va perso, ma non in questo caso. In Italia, visto che ne parliamo, Oreste Lionello che è stato la mia voce, mi ha fatto diventare un eroe. Mi ha reso divertente, mi ha reso un migliore attore. Gli sono molto grato.»
Allen è poi andato in maniera piuttosto decisa contro il cliché dell'intellettuale: «Non lo sono per niente. Mi hanno anche buttato fuori da scuola: non lo sono per niente, anzi. Tutti mi prendono per un intellettuale perché porto questi occhiali. E proprio perché li porto la gente in genere pensa che io mi sia fatto fuori gli occhi a furia di leggere. In realtà non mi sono consumato la vista leggendo, semplicemente l'ho fatto guardando le partite di baseball, di basket, andando al cinema, non sono un intellettuale, e non lo sono mai stato. Anzi, mi hanno buttato fuori da scuola, marinavo sempre e prendevo brutti voti, non mi interessava tanto, e non ho mai letto tanto. Diciamo che probabilmente so abbastanza cose intellettuali per riuscire a portare fuori una signora intellettuale che mi piace ecco, questo è l'unico motivo per cui ho imparato qualcosa nella vita. Per poter uscire a cena con le donne che mi sembravano affascinanti».
Sul realismo e su Fellini, ha detto: «Non sono mai stato un grande fan della realtà. Io preferisco qualsiasi cosa alla realtà, non solo il cinema. Ho come la sensazione che la realtà sia un brutto affare, le situazioni reali non sono mai belle e io preferisco molto di più ciò che accade sullo schermo, in un libro se proprio ne devo leggere uno, mi piace vedere cosa succede su uno schermo televisivo o in un parco, dove si balla... cose che non sono reali e che sono decisamente più piacevoli della realtà […]. Quando ho iniziato la mia carriera cinematografica non riuscivo ad apprezzare Fellini, ho sempre pensato "si va bene, è bravo", ma preferivo Bergman o Truffaut. Con il passare degli anni mi sono reso conto di quanto sorprendente fosse Fellini, che tipo di genio fosse davvero».
Infine, ben consapevole della sua età e dell'avvicinarsi della fine della sua carriera, ha ammesso: «Certamente sono un vecchio, è incontrovertibile questa cosa. Credo che Vittorio Storaro intenda dire questo: ho 85 anni, che cronologicamente vuol dire essere vecchi, però ho una mentalità fanciullesca e immatura. Praticamente non sono mai cresciuto, non sono mai maturato in un modo importante, sono sempre stato un po' uno sbandato e un po' infantile. Però lui lo dice in un modo estremamente gentile, perché è un signore gentile […]. Mi prendono sempre in giro tutti, mi dicono "tu continui ad andare in farmacia e prendi una marea di pillole" e quindi ho risposto che chissenefrega di quello che mi succede dopo che muoio, a condizione che sia vicino a una farmacia. Allora mi chiedono che tipo di eredità voglio lasciare, altri registi e artisti con cui ho parlato mi dicono che lasciarsi qualcosa alle spalle è molto importante, a me non interessa. Una volta morto chissenefrega di quello che succede, non mi è di nessun conforto che 5 o 50 anni dopo la mia morte ci siano ancora persone che vadano a vedere i miei film. Non vuol dire proprio niente, voglio che i film vengano visti adesso, quando escono, mi fa piacere pensare che gli spettatori si divertano, cerco di fare i migliori film possibile, una volta morto che vadano a vedere i film di qualcun altro che è vivo!».