Workshop David Fincher: i vostri elaborati
31/01/2019

Al termine del nostro workshop dedicato al cinema di David Fincher, abbiamo chiesto ai partecipanti di scrivere un elaborato su una sequenza a scelta diretta dal regista statunitense. Ecco l’analisi più interessante:

 

Samantha Ruboni

L’arte di far crescere la tensione

The Zodiac è sicuramente una delle pellicole migliori del regista David Fincher. Riprendendo le sue tematiche principali come la fascinazione del male e il gioco, che vediamo già nella pellicola Seven, Fincher torna sulle orme di un serial killer per parlarci della mente umana e dei suoi lati oscuri. Pellicola ormai diventata un cult, è stata definita da Guillermo del Toro un “one sock movieâ€, cioè un film che se intravedi in tv mentre ti stai vestendo per uscire, ti fermi a guardarlo fino alla fine con il calzino in mano. Una sorta di ipnosi permessa anche dalla perfetta cinematografia di Fincher, che rende ogni sequenza densa di significati e di maestria tecnica. In particolar modo una delle sequenze più famose del film è quella dove Graysmith, continuando le ricerche dell’assassino ormai in solitaria, va a casa di un certo Bob Vaugh. È uno dei momenti di massima tensione di tutto il lavoro. La conversazione inizia con un’ampia inquadratura nella cucina di Vaugh, a dimostrare come la tensione all’inizio della sequenza sia al minimo e anzi si conversa in un campo controcampo abbastanza equilibrato, se non per la posizione più bassa di Graysmith, data dalla sua posizione seduta. La palette che circonda la scena è la classica palette di Fincher, dove i colori spaziano dal verde al marroncino in un insieme monocromo, noioso quanto turbante. Due sono i momenti salienti dove la tensione comincia a salire: quando Graysmith cita Zodiac e Vaugh cambia la sua posizione da di fronte a di profilo, ciò permette di comprendere che ha qualcosa da nascondere, di conseguenza le inquadrature si fanno sempre più strette, fino ad allargarsi di nuovo quando la tensione si allenta, per poi chiudersi quando Graysmith parla del poster con la scrittura di Zodiac. È proprio in questo momento che le inquadrature si fanno sempre più strette, fino al primissimo piano di Graysmith, che rivela tutta la sua paranoia. Paranoia che è anche la nostra, dal
momento che tutta la sequenza è girata dal punto di vista di Graysmith, noi vediamo e proviamo tutte le sensazioni che Graysmith prova, entrando in completa unione con il personaggio. Dopo questa fase l’angolazione della ripresa cambia, inquadrando Vaugh dal basso verso l’alto e Graysmith al contrario: Vaugh ha ormai il pieno potere su Graysmith, piccolo e indifeso. Arriviamo quindi al movimento di Vaugh che permette il cambio di location, dove l’inquadratura diviene sempre più stretta e incorniciata tra mura e porte, dandoci la sensazione di claustrofobia e trappola. Scendere in cantina è come scendere nel ventre del male, dove le luci si affievoliscono e le ombre ne fanno da padrona. Vaugh viene inquadrato da un insieme di luci e ombre, e la sua sagoma nel buio sembra proprio quella che avevamo visto sul taxi nella parte precedente del film, indicandoci così che proprio lui potrebbe essere il serial killer. I passi al piano di sopra son ciò che fa scattare la scintilla del climax, che arriva al punto massimo con lo spegnimento della luce da parte di Vaugh e in contemporanea il fischio del bollitore sul fuoco. Il fischio diviene così una distorta colonna sonora, che porta l’inquietudine al livello massimo. La porta sembra la nostra unica speranza, ma è chiusa e Vaugh arriva dalle spalle, prendendo quasi tutto lo schermo e schiacciando Graysmith in un angolino in preda al panico. Si pensa al peggio, ma no, la porta viene aperta, Graysmith scappa verso la libertà e noi possiamo tirare un respiro di sollievo.

 

Lucia Cirillo e Sonia Butelli, un dialogo sul cinema di David Fincher:

 

Lucia: …Wow…che film potente. Che ne pensi? “Addentratevi nella vostra caverna e troverete il vostro animale guida†. Tutto il film lo risolverei in questa battuta. A te cos’ha colpito? Io di Fincher considero dei capolavori a sè stanti pure i titoli di testa

Sonia: Animale guida? Certo, sarebbe fantastico, chi non ne vorrebbe uno??!! Ma anche solo trovare l’ingresso della caverna può risultare un’impresa, a volte sembra di vivere in un labirinto di attività e di pensieri, servirebbe una mappa!! Oppure magari basterebbe “Usare l’immaginazione†come raccomanda il catalogo dei mobili IKEA nelle mani del protagonista… Quanto ai titoli di testa, sono davvero incredibili, e a proposito di mappe: hai notato che la prima cosa che vediamo sono reti neuronali, impulsi e neurotrasmettitori, e che tra le prime battute del film il protagonista dice “Non riesco a pensare a nienteâ€. Tutto torna!! Tra l’altro mi viene in mente al volo anche l’inizio di Gone girl: il marito che vorrebbe letteralmente aprire la scatola cranica della moglie, srotolarne il cervello alla ricerca di risposte… E, tra l’altro, non era proprio la testa della moglie che il protagonista di Seven trovava nella scatola alla fine del film…quanti richiami! Siamo sempre alla ricerca di chiarimenti, di indagini che coinvolgono noi stessi e gli altri, il mondo intorno a noi…

Lucia: Già. E sfido chiunque a non sentire il tema del disagio contemporaneo come proprio, qualunque sia la modalità in cui lo subisce e lo declina. Dall’ossessione per il lavoro e il denaro – e alla conseguente gestione artificiosa del proprio tempo – per arrivare al sesso, al cibo, via via fino al corto circuito incapacità/bisogno di amare. Ad un certo punto il protagonista, che fa partire il suo malessere dall’insonnia, dice “non riuscivo a piangere, perciò di nuovo non riuscivo a dormireâ€. E pure quella in cui osserva le cose trovate nella sua casa incendiata “che imbarazzo, una casa piena di condimenti e niente ciboâ€. Davvero notevole, non ti pare?

Sonia: Concordo! Passiamo il tempo a farci domande del tipo “Quale tipo di salotto mi caratterizza come persona?†Arriviamo a legarci agli oggetti, ad amare come J. ogni mobile IKEA della casa. Viviamo per piacere al mondo, per essere simpatici ( “Devono vederti, conta quello che la gente pensa di te, devi piacergli†e “Fa il bravo ragazzo, così tutti credono che è un bravo ragazzo.â€), cerchiamo un principe che ci salverà da questa noia…e ci fingiamo migliori di quello che siamo perché vogliamo che ci ami! Stando ad Amy in Gone girl “Nick amava la ragazza che fingevo di essere…e io ho plasmato l’uomo dei miei sogni. Eravamo felici di fingerci qualcun altro, eravamo la coppia più felice che conoscevamo… Ma N. si è impigrito, è diventato l’uomo che non avrei mai sposato, si aspettava proprio che lo amassi senza condizioni.†Stando a Nick “Lei sapeva esattamente cosa avrei fatto e io l’ho fatto, mi ha manipolato.â€Ma rischiamo di perderci; N. stesso dichiara che il gioco della vita, non ricordo a che serva.
Alla fine di tutti questi giochi, di questo questo mostrare una vita senza ombre e senza nuvole, splendente come il sole che ci accompagna per tutto il film, magari scopriremo che abbiamo trascorso l’esistenza a costruire un’immagine pubblica conveniente e che non siamo mai esistiti davvero. Per dirla alla Tyler “E’ il momento più importante della tua vita e lo perdi perché sei altrove!â€

Lucia: Ad un certo punto ho cominciato a credere davvero nella possibilità di una vera e profonda rivoluzione individuale per chi trova il coraggio di non fuggire dal dolore, dal finto benessere materiale, dalla corazza di comportamenti posticci e preconfezionati come un pasto monoporzione offerto su un aereo dove ci spiegano in serenità come salvarci in caso di pericolo. “Io sono l’ardente senso del rifiuto di Jack†… che poi a pensarci bene proprio quando diventa lo slogan di un piano collettivo, e non più strettamente individuale, non è troppo diverso da uno dei tanti gruppi di sostegno a cui il protagonista si rivolge per stare meglio. Oppure no?

Sonia: Sembra che per Fincher l’uomo sia sempre in bilico tra desideri personali e intimi e necessità sociali, in direzioni sempre divergenti. Il cammino verso la verità sembra sia sempre necessariamente accompagnato da sofferenza, da ferite sanguinanti, a volte dalla morte. In fondo siamo consapevoli di queste dicotomie e dei nostri compromessi; per dirla alla Amy “Quanto siamo belli, da prenderci a pugni in faccia.†e “Siamo due complici.†Per dirla alla J. e T. “Ti smaschererò!†“ Fai pure, io smaschererò te!†e “Dimentica quello che credi di sapere della vita, dell’amicizia, e soprattutto di te e me.†Abbiamo bisogno di combattere, come individui o con coloro che scegliamo come compagni di viaggio, o di club (!). Dobbiamo secondo i gruppi di sostegno “Remaning man togetherâ€. E poi?…una volta tornati fuori? Quali altri compromessi? Quali altre complicità per andare avanti? Basti pensare a A. e N., che tornano ancora una volta alla vita sotto i riflettori, ancora una volta amati da tutti, ancora una volta complici.
E se è vero che “Tutto è una copia di una copia di una copia…†pensa a come i due film si aprono e chiudono sulla stessa scena, a forse una circolarità di condizione dalla quale, pur dando concessione a qualche sfumatura, è difficile uscire…

Lucia: E forse la vera differenza sta proprio nella volontà di cominciare a definire se stessi per sottrazione “Tu non sei il tuo lavoro, tu non sei i soldi che possiedi…†e poi “pensa solo a lasciarti andare†e ancora, dopo uno dei tanti scontri sanguinosi per abbattere il sistema di reti e zavorre dell’ordine costituito “abbiamo avuto un’esperienza di quasi vitaâ€. Se ci pensi è un metodo interessante

Sonia: Qualcuno (N.) direbbe “La verità è la mia difesa.†e “Ora puoi smettere di fingere. †T. direbbe “Sfoghiamo liberamente le nostre emozioni.†e “Non essere mai completo, smetti di essere perfetto.†Forse potremo arrivare anche noi a dire in tutta leggerezza “Sono follemente stupidamente feliceâ€, magari smettendo per una volta di costruire un’immagine di noi stessi che appaghi lo sguardo degli altri, inclusa una casa immacolata e limpida come uno specchio che riflette solo vuoti e assenze; forse potremmo arrivare a dedicare il tempo a Vivere e non solo a riflettere e a calcolare. In fondo il nostro Animale guida ci invita a scivolare no? Basta una piccola spinta e via!!!!

Lucia: Che poi se fosse davvero possibile rompere il patto sociale probabilmente l’avremmo già fatto. E alla fine possedere mobili dell’IKEA, bere un cappuccino da Starbucks, avere l’acqua potabile in casa e non fare a pugni tutto il giorno col diverso può essere un utile compromesso tra spirito di adattamento a modelli culturali imposti e la barbarie. Per tutto il resto c’è il cinema, con i suoi spunti di riflessione, i suoi montaggi pirotecnici per farti capire meglio. E la finzione che giustifica sempre se stessa, pure quando afferma la verità

Sonia: Già…e tutto ritorna…sotto forma di “Un nuovo inizio, vestiti dignitosi, trucco, tinta, pinzette, palestra…prima tornerai te stessa, prima ti sentirai te stessa.†Insomma, diciamocelo fuori dai denti, anche per andare al cinema serve pur sempre un guardaroba rispettabilissimo, non dei vestiti alla pescatora!!!
E, a proposito, attenzione ai montaggi pirotecnici, ai messaggi subliminali come quelli inseriti da Tyler durante le proiezioni. Come abbiamo ormai imparato, non c’ è mai reale realtà sul grande schermo, al giorno d’oggi non ci si può più fidare nemmeno del piano sequenza…

Lucia: A proposito hai voglia di accompagnarmi al supermercato? Mi serve il sapone

Sonia: Perché no? Ma sei sicura di non volere anche occhiali con finte lenti e una bella fascia per i capelli? E non ti dimenticare, per quanto riguarda il cibo, solo microporzioni!

Lucia e Sonia: ahahahaha

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