Workshop di critica: l'analisi di Sorry to Bother You
19/12/2020
Al termine del workshop di critica cinematografica abbiamo chiesto ai partecipanti di scrivere delle analisi su un film a loro scelta.

Tra le più meritevoli, c'è quella di Max Burlini su Sorry to Bother You, film che abbiamo orgogliosamente presentato al LongTake Interactive Film Festival dello scorso anno.

Eccola:

Spiantato e con un futuro incerto a preoccuparlo, Cassius Green (LaKeith Stanfield) trova lavoro in un call center, dove le sue abilità lo porteranno a una carriera fulminea ma anche foriera di grandi dilemmi.

L’esordio alla regia di Boots Riley (frontman dei The Coup, gruppo political-rap attivo fin dai primi anni novanta) avviene con un soggetto da lui firmato nel 2012, rimasto però in attesa di fondi fino all’arrivo di nuovi produttori, tra cui Forest Whitaker (che presta la voce a uno degli Equisapiens).
Il regista cresciuto a Oakland sfrutta la sua città come una tela dove dipinge situazioni stridenti, alternando le diffusissime situazioni di povertà e degrado urbano a una fotografia quasi accecante, dove il colore dei personaggi ricalca le loro emozioni e la loro progressiva presa di coscienza.

Se da un lato sono chiare le intenzioni di presentare la società odierna come stratificata, dominata dalla cultura bianca occidentale e dai valori discutibili, da un’altra parte ciò che rende il film speciale è la critica feroce all’Establishment e alle sue dinamiche economiche. Così come il protagonista si avvede solo a momenti alterni della condizione sua e dei colleghi ed è infine colpito solo dall’aberrazione genetica che porta agli Equisapiens, anche gli spettatori vengono quasi invitati a dimenticarsi di ciò che è il vero cattivo del film, ovvero la WorryFree e il suo sistema di lavoro ai limiti della schiavitù. L’allegoria è ancor più decisa nella stratificata messinscena della società Regal View, dove tra la massa dei lavoratori non qualificati e sottopagati, e il mistico capitano d’industria, si inserisce il gruppo di top manager “Power Caller” (abbondantemente retribuiti in virtù delle loro straordinarie capacità e abilità, e veri motori del profitto
della società) quasi a richiamare le grandi menti matematiche che con la loro “creatività analitica” hanno portato agli strumenti finanziari che tanto hanno arricchito le banche, salvo poi portare alla crisi del Sub- Prime e alla conseguente grande recessione.

Riuscitissima è la prova di LaKeith Stanfield, che impersona ad arte il giovane confuso e combattuto, una sorta di pseudo-eroe moderno con macchia e paura, frastornato dagli eventi e destinato infine a soccombere come tutti; arrembante è anche la caratterizzazione che Arimie Hammer fa dell’antagonista, un machiavellico e mistico messia del Dio denaro.

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