Workshop su Sergio Leone: i vostri elaborati!
11/04/2018

Al termine del workshop dedicato a Sergio Leone, abbiamo chiesto ai partecipanti di redigere un elaborato su una sequenza a scelta diretta dal grande regista italiano. Ecco i lavori dei corsisti che hanno meritato la pubblicazione!

 

Antonio Floris

La figura dell’eroe nella filmografia di Sergio Leone:

https://www.youtube.com/watch?v=mbFM8flgsLQ

 

Nei film di Sergio Leone non ci sono eroi, di sicuro non in senso convenzionale. I protagonisti dei suoi film deviano, e di parecchio, da quello che il pubblico era abituato a vedere quando guardava un film.

Il bene e il male non si distinguono più nettamente, gli ideali non sono più nobili in quanto vengono sostituiti da un tornaconto personale, legato all’istinto di sopravvivenza in un mondo crudele e spietato, mondo che simboleggia la realtà quotidiana molto da vicino.

Leone è affascinante e il motivo principale per cui risulta esserlo, è perché è contraddittorio! È ottimista ma reputa il mondo un posto schifoso dove non c’è spazio per i deboli, sa bene che non esiste il lieto fine ma nei suoi film simpatizza comunque per il personaggio più buono/ingenuo di turno, Tuco, Noodles, Miranda solo per citarne alcuni.

È contraddittorio e non lo nasconde, come egli stesso affermò riguardo al personaggio del Brutto: “Tuco rappresenta tutte le contraddizioni dell’America e in parte anche le mieâ€.

Ecco perché, salvo sporadiche eccezioni, i personaggi nei suoi film non sono mai o del tutto buoni o del tutto cattivi e la caratterizzazione psicologica di questi è davvero approfondita. Caratteristica grazie alla quale questo regista ci ha regalato alcuni tra i personaggi più iconici della storia del cinema.

Possiamo dire che i suoi personaggi “maturano†(vedi nota 1) nel corso del film, dimostrando che, come nella vita reale, chiunque può optare per una scelta giusta: anche un vile opportunista che pensa solo al denaro può compiere delle buone azioni, in pieno accordo con le contraddizioni dei film Leoniani.

In una delle sue citazioni più famose Leone disse “La vita è un’autostrada a senso unico di marcia, impossibile invertire o tornare indietro, folle sarebbe accelerareâ€. Ecco perché credo che il messaggio ricorrente nei suoi film, il filo conduttore che li collega tutti, sia proprio racchiuso all’interno del consiglio velato che si cela dietro queste parole.

A ognuno interpretare i suoi film, dando loro il significato che si trovi sia più sensato.

 

(1) Se fosse un’analisi del testo, bisognerebbe dire più propriamente “eroe in formazione†in riferimento alla maturazione del personaggio al progredire della trama, ma dato che non di eroi si tratta, si può sostenere che i personaggi Leoniani maturino nell’arco della durata del film.

 

Andrea Ravasi

Sergio Leone, genialità e attesa. L’inizio di C’era una volta il West (1968)

 

C’è un cavallo per me?â€Â  – domanda Armonica. “Hey ragazzi, è vero… ci siamo proprio dimenticati un cavallo†– risponde Snake, uno dei tre pistoleri pronti ad attenderlo alla stazione di Cattle Corner. “Ce ne sono due di troppo!!†– replica nuovamente Armonica prima di freddare i tre.

Con questo dialogo si conclude una delle sequenze più celebri del cinema di Sergio Leone, e una delle più importanti nella storia della settima arte. Una sequenza che di parlato ha in realtà molto poco, se si escludono le brevi battute che vedono protagonista il capostazione interpretato da Antonio Palombi, orchestrata magistralmente dalla perfetta amalgama tra la regia di Leone e i rumori naturali coordinati dal genio di Ennio Morricone.  Quasi 15 minuti di puro cinema e di invenzione visiva e sonora che racchiudono in maniera perfetta la simbiosi creatasi tra i due artisti e in cui emerge la grande capacità del cineasta di dilatare i tempi della vicenda e di sfruttare l’alternanza tra silenzio e rumore per creare tensione ed attesa. Lo scricchiolio delle assi di legno, il cigolio delle  pale di un mulino a vento, il ronzio di una mosca, il gocciolio del soffitto, creati da Morricone su suggerimento del regista e ispirati al compositore dall’ascolto di un concerto di musica d’avanguardia composto con oggetti quotidiani, diventano protagonisti di una sequenza che pur mantenendo quel tono epico, tipico dei film di Sergio Leone, si focalizza sui tempi morti quasi fosse inserita in un’opera di stampo neorealistico rosselliniano.  I movimenti di macchina si fanno così lenti e precisi, studiati nei minimi particolari e lasciano spazio, oltre alla solita maniacale attenzione sui dettagli, ad un utilizzo perfetto della profondità di campo. Grazie a questa e ad una attenta analisi sulla prossemica degli attori il regista riesce più volte ad inquadrare nello stesso fotogramma più personaggi contemporaneamente posizionati su diversi livelli di profondità. È il caso per esempio dell’entrata dei pistoleri all’interno della stazione, in cui due dei tre killer vengono ripresi nella stessa inquadratura disposti ad una differente altezza e incorniciati dal profilo di due differenti porte d’ ingresso e in cui un lento movimento di macchina da destra verso sinistra finisce per includere anche il terzo scagnozzo di Frank. La sequenza è ricca di inquadrature in cui il regista utilizza tale tecnica sfruttando in maniera molto interessante lo sfondo di ogni singolo fotogramma, cambiando a seconda dell’esigenza il punto di messa a fuoco, dividendo spesso il quadro in due metà, una riservata ad un primo piano la quale lascia spazio alla seconda che include un altro elemento importante della narrazione, rinunciando così ad un eccessivo utilizzo di campo/controcampo. Lo si nota ad esempio nel primo piano di Al Mulock che occupa la parte sinistra dello schermo lasciando spazio dall’altra all’arrivo sempre più imponente di un treno, simbolo di civilizzazione e progresso destinato a segnare la fine del vecchio West.  Anche l’utilizzo di inquadrature di quinta permette a Leone di costruire nuovamente la scena su più livelli, come avviene ad esempio in una delle inquadrature del duello tra Armonica e i membri della gang di Frank in cui ancora una volta è presente un magistrale utilizzo della prossemica degli attori. L’inizio di C’era una volta West sembra essere inoltre un giusto mix tra elementi tipici del cinema del regista, presenti anche nella Trilogia del Dollaro, e novità formali sviluppate nelle pellicole successive. I tre killer alla stazione sono sia un riferimento ai tre protagonisti del suo film precedente, Il buono, il brutto, il cattivo (1966), tanto che lo stesso Leone avrebbe voluto simbolicamente proprio Clint Eastwood, Eli Wallach e Lee Van Cleef per interpretarli, sia una citazione dilatata di High Noon (Mezzogiorno di fuoco, 1952).  Sempre presenti sono anche le allusioni al cinema muto, in particolare alla slapstick comedy, basta osservare la gag che vede come protagonisti Jack Elam e una mosca, durante l’attesa alla stazione. Come in Per qualche dollari in più (1965) inoltre, anche in questa pellicola uno dei temi musicali rimane in bilico tra un suo utilizzo diegetico e extradiegetico. Se il carillon caratterizzava infatti il duello tra l’Indio e il colonnello Douglas Mortimer qui abbiamo il motivo dell’armonica di Charles Bronson, ispirato a Morricone dal suono di un antifurto di un’automobile, che arriva a spezzare in questa sequenza la drammaturgia musicale di suoni naturali creatasi durante i primi 10 minuti del film, e a sottolineare l’apparizione dello stesso Bronson, sfumando via via nella prima vera orchestrazione del compositore che apre il duello iniziale. Differenti inoltre, rispetto ai film precedenti di Leone, sono anche i titoli di testa. Se nella trilogia del dollaro infatti erano caratterizzati da un ampio utilizzo di grafiche, quasi di stampo fumettistico, dalla musica di Morricone intervallata dal suono di spari e da un montaggio rapido e veloce, in C’era una volta il West assumono un carattere più sobrio e un andamento lento e disteso seguendo alla perfezione la regia del cineasta tanto che si concludono dopo oltre 10 minuti di film con l’arrivo del treno in stazione. Questa sequenza iniziale rimane uno degli esempi perfetti del talento, della coesione e della genialità di due grandi artisti capaci di creare, sentire, trasformare quelle cose che molti vedono come normali in pura arte. Ogni bambino è un genio, così come un genio è in qualche modo un bambino (Arthur Schopenhauer).

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