WORKSHOP SU XAVIER DOLAN: I VOSTRI ELABORATI!
11/12/2019
Al termine del workshop dedicato a Xavier Dolan, abbiamo proposto ai partecipanti di scrivere un elaborato su un elemento emblematico del cinema del giovane regista, già pienamente affermato nel panorama cinematografico mondiale. Ecco i lavori che hanno meritato la pubblicazione!
Sonia Butelli
Tom à la ferme. Luci e ombre
“Il tango è un ballo basato sull'improvvisazione, caratterizzato dalla passionalità, e rappresenta un dialogo intimo tra due individui. Il passo base del tango è il passo in sé, il normale passo di una camminata, libera nelle sue traiettorie imprevedibili. È proprio in un tango che i passi di Tom e Francis finalmente si incontrano, convergendo in una sincronia di prospettive, emotività, passione, coinvolgimento, spontaneità di sguardi, lasciando libertà all’urgenza di uno sfogo, di una confessione che sarebbe inconfessabile in uno spazio altro da quell’angolo di mondo, una confessione che lì resterà sospesa, forse protetta in un abbraccio, accompagnata da morbidi passi di danza. Passi sincroni di un momento, in un territorio limitato, non solo fisicamente dalle pareti del fienile, ma anche simbolicamente dalle ombre che si vengono a creare sul pavimento: danno luce alla pista da ballo attraverso la parete di fondo due gruppi di finestre, tutte egualmente illuminate dall’esterno. Raggi di sole molto nitidi attraversano per tutta la durata della sequenza le finestre più lontane dai protagonisti, creando sul pavimento immagini regolari che potrebbero richiamare una scacchiera. I raggi che passano attraverso le finestre più vicine ai protagonisti si mantengono invece molto più attaccati alla parete, tanto da essere visibili solo alle loro spalle. Di fatto Tom e Francis ne resteranno sempre distanti, danzando altrove, laddove la luce del sole non arriva diretta, in un ristretto angolo di mondo fittizio, che non può esistere al di fuori della sua costretta dimensione limitata. Qui si scopriranno accomunati da un vivere che può essere autentico solo nel suo restare invisibile, uno status quo che nemmeno la luce del sole può sfiorare, una apparente irrealizzabilità di cambiamento di prospettiva e di direzione, una danza che diventa immobilità. Ed è solo in questa mancanza che Tom e Francis sono, per un breve momento, uniti, nel territorio dell’irreale. Dopo questo incontro, i loro passi, che pure avevano calpestato le geometrie di luce sul pavimento in ingresso al fienile, e che le avevano poi sfiorate durante la danza, si bloccheranno nell’ombra. Tom e Francis, nuovamente distanti, sebbene uguali nella loro impossibilità di contatto e di chiarimento con la madre, che si staglia sulla soglia della porta. E lì resteranno, anche quando lei si sarà allontanata.
Un gioco di luci e di ombre che in questa sequenza trova forse il suo culmine formale, ma che seppure in tono minore, ci ha accompagnato per tutto il film: siamo partiti con Tom, immersi nella naturale luce mattutina in aperta campagna, viaggiando lungo una strada dritta, apparentemente semplice da percorrere…abbiamo attraversato giornate di condizioni incerte, tra ombre e foschie, corse e fughe claustrofobiche schiacciati dal grigiore di nuvole cariche di pioggia…ora stiamo facendo ritorno a Montreal nel buio della notte, e la città è illuminata (forse) da una miriade di punti luce, tutti naturalmente artificiali…ma a momenti sorgerà il sole, grideranno di libertà i passi di Tom?
Lucia Cirillo
Laurence Anyways. “Convergere” in un tempo imperfetto. Eppure infinito
Un ritardatario compulsivo. Questo il suo biglietto da visita per l’impaziente intervistatrice che gli fa notare i quaranta minuti di ritardo per parlare del suo ultimo libro. A seguire, l’inquadratura di uno spazio rimasto vuoto dalla porta di un appartamento che si chiude lasciando buio e silenzio. Dopo c’è lui, che cammina orgogliosamente vestito da donna in una strada luminosa ed affollata, al ritmo di una musica che pare dettargli l’andatura decisa.
Questo il “finto” inizio di Laurence Anyways. Sì, perché in realtà la vera partenza è l’epilogo di un racconto a ritroso, e non lineare, ma metodologicamente chiaro fin dall’inizio. Quella di Laurence e Fred è la storia di una “convergenza” spirituale perfettamente compiutasi a dispetto di tutto. O meglio, a dispetto di un tempo tutto sbagliato: sbagliato perché tali si sono rivelate le condizioni di contesto (dallo stigma sociale alla famiglia incapace di ascoltarlo) e sbagliato perché Laurence ha cominciato troppo tardi a definire il proprio percorso individuale e accoglierlo come fatto inevitabile. Essere in ritardo può voler dire non rispettare i termini tassativi entro i quali una decisione ci rende davvero padroni della nostra vita. Ma quanto conta davvero questo nell’amore?
La forza di un legame profondo, quando è autentica, è inevitabile che si consolidi indipendentemente da ogni elemento di disturbo esterno. E il tempo, in questo processo, non ha alcun ruolo.
La narrazione destrutturata, che procede per frammenti temporali non rigidamente sequenziali, della storia d’amore tra Laurence e Fred conserva intatta tutta la sua limpida linearità proprio in virtù di questa idea semplice: gli anni trascorsi, anche quelli della reciproca e sofferta distanza, non hanno fatto altro che renderli sempre più simili. Nella scena del loro ultimo incontro (stavolta un “finto” finale) hanno persino lo stesso taglio di capelli e lui le dice che in questi anni le ha copiato quella sua maniera di spostarsi i capelli dal collo. Succede. Le persone che si amano tendono a somigliarsi.
Poi però, come nel “finto” inizio, ancora una volta c’è un’uscita di scena: una porta che si chiude, uno spazio buio, vuoto, silenzioso e, dall’altra parte, di nuovo lui che procede a passo sicuro in strada, alle prese con luce, folla, rumori.
La convergenza è un’intersezione. La loro si è compiuta. Ma è ormai troppo tardi e i percorsi torneranno, ancora una volta a separarsi.
Il tempo non conta. Eppure ormai è troppo tardi.
Sonia Butelli
Tom à la ferme. Luci e ombre
“Il tango è un ballo basato sull'improvvisazione, caratterizzato dalla passionalità, e rappresenta un dialogo intimo tra due individui. Il passo base del tango è il passo in sé, il normale passo di una camminata, libera nelle sue traiettorie imprevedibili. È proprio in un tango che i passi di Tom e Francis finalmente si incontrano, convergendo in una sincronia di prospettive, emotività, passione, coinvolgimento, spontaneità di sguardi, lasciando libertà all’urgenza di uno sfogo, di una confessione che sarebbe inconfessabile in uno spazio altro da quell’angolo di mondo, una confessione che lì resterà sospesa, forse protetta in un abbraccio, accompagnata da morbidi passi di danza. Passi sincroni di un momento, in un territorio limitato, non solo fisicamente dalle pareti del fienile, ma anche simbolicamente dalle ombre che si vengono a creare sul pavimento: danno luce alla pista da ballo attraverso la parete di fondo due gruppi di finestre, tutte egualmente illuminate dall’esterno. Raggi di sole molto nitidi attraversano per tutta la durata della sequenza le finestre più lontane dai protagonisti, creando sul pavimento immagini regolari che potrebbero richiamare una scacchiera. I raggi che passano attraverso le finestre più vicine ai protagonisti si mantengono invece molto più attaccati alla parete, tanto da essere visibili solo alle loro spalle. Di fatto Tom e Francis ne resteranno sempre distanti, danzando altrove, laddove la luce del sole non arriva diretta, in un ristretto angolo di mondo fittizio, che non può esistere al di fuori della sua costretta dimensione limitata. Qui si scopriranno accomunati da un vivere che può essere autentico solo nel suo restare invisibile, uno status quo che nemmeno la luce del sole può sfiorare, una apparente irrealizzabilità di cambiamento di prospettiva e di direzione, una danza che diventa immobilità. Ed è solo in questa mancanza che Tom e Francis sono, per un breve momento, uniti, nel territorio dell’irreale. Dopo questo incontro, i loro passi, che pure avevano calpestato le geometrie di luce sul pavimento in ingresso al fienile, e che le avevano poi sfiorate durante la danza, si bloccheranno nell’ombra. Tom e Francis, nuovamente distanti, sebbene uguali nella loro impossibilità di contatto e di chiarimento con la madre, che si staglia sulla soglia della porta. E lì resteranno, anche quando lei si sarà allontanata.
Un gioco di luci e di ombre che in questa sequenza trova forse il suo culmine formale, ma che seppure in tono minore, ci ha accompagnato per tutto il film: siamo partiti con Tom, immersi nella naturale luce mattutina in aperta campagna, viaggiando lungo una strada dritta, apparentemente semplice da percorrere…abbiamo attraversato giornate di condizioni incerte, tra ombre e foschie, corse e fughe claustrofobiche schiacciati dal grigiore di nuvole cariche di pioggia…ora stiamo facendo ritorno a Montreal nel buio della notte, e la città è illuminata (forse) da una miriade di punti luce, tutti naturalmente artificiali…ma a momenti sorgerà il sole, grideranno di libertà i passi di Tom?
Lucia Cirillo
Laurence Anyways. “Convergere” in un tempo imperfetto. Eppure infinito
Un ritardatario compulsivo. Questo il suo biglietto da visita per l’impaziente intervistatrice che gli fa notare i quaranta minuti di ritardo per parlare del suo ultimo libro. A seguire, l’inquadratura di uno spazio rimasto vuoto dalla porta di un appartamento che si chiude lasciando buio e silenzio. Dopo c’è lui, che cammina orgogliosamente vestito da donna in una strada luminosa ed affollata, al ritmo di una musica che pare dettargli l’andatura decisa.
Questo il “finto” inizio di Laurence Anyways. Sì, perché in realtà la vera partenza è l’epilogo di un racconto a ritroso, e non lineare, ma metodologicamente chiaro fin dall’inizio. Quella di Laurence e Fred è la storia di una “convergenza” spirituale perfettamente compiutasi a dispetto di tutto. O meglio, a dispetto di un tempo tutto sbagliato: sbagliato perché tali si sono rivelate le condizioni di contesto (dallo stigma sociale alla famiglia incapace di ascoltarlo) e sbagliato perché Laurence ha cominciato troppo tardi a definire il proprio percorso individuale e accoglierlo come fatto inevitabile. Essere in ritardo può voler dire non rispettare i termini tassativi entro i quali una decisione ci rende davvero padroni della nostra vita. Ma quanto conta davvero questo nell’amore?
La forza di un legame profondo, quando è autentica, è inevitabile che si consolidi indipendentemente da ogni elemento di disturbo esterno. E il tempo, in questo processo, non ha alcun ruolo.
La narrazione destrutturata, che procede per frammenti temporali non rigidamente sequenziali, della storia d’amore tra Laurence e Fred conserva intatta tutta la sua limpida linearità proprio in virtù di questa idea semplice: gli anni trascorsi, anche quelli della reciproca e sofferta distanza, non hanno fatto altro che renderli sempre più simili. Nella scena del loro ultimo incontro (stavolta un “finto” finale) hanno persino lo stesso taglio di capelli e lui le dice che in questi anni le ha copiato quella sua maniera di spostarsi i capelli dal collo. Succede. Le persone che si amano tendono a somigliarsi.
Poi però, come nel “finto” inizio, ancora una volta c’è un’uscita di scena: una porta che si chiude, uno spazio buio, vuoto, silenzioso e, dall’altra parte, di nuovo lui che procede a passo sicuro in strada, alle prese con luce, folla, rumori.
La convergenza è un’intersezione. La loro si è compiuta. Ma è ormai troppo tardi e i percorsi torneranno, ancora una volta a separarsi.
Il tempo non conta. Eppure ormai è troppo tardi.