Do Not Expect Too Much From the End of the World
Nu astepta prea mult de la sfârsitul lumii
2023
Paesi
Romania, Lussemburgo, Francia, Croazia
Generi
Drammatico, Commedia, Grottesco
Durata
163 min.
Formati
Bianco e Nero, Colore
Regista
Radu Jude
Attori
Ilinca Manolache
Nina Hoss
Katia Pascariu
Angela (Ilinca Manolache) attraversa Bucarest in auto per filmare il casting di un video relativo alla sicurezza sul lavoro commissionato da una multinazionale. Oberata di impegni e sottopagata, gira anche moltissimi video per i suoi profili social, utilizzando un filtro che la trasforma in un alter ego carico di rabbia e portatore di terrificanti messaggi estremamente populisti.

È un film semplicemente furibondo Do Not Expect Too Much From the End of the World, pellicola con cui Radu Jude riprende dinamiche e struttura del suo precedente Sesso sfortunato o follie porno, vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino 2021. Furibondo perché al suo interno c’è una rabbia feroce, con cui l’autore si scaglia con efficacia contro l’ipocrisia contemporanea e l’utilizzo dei mezzi audiovisivi, sottolineando come la fame economica superi qualunque barriera morale, tanto da rendere il politically correct un mezzo di guadagno e mai di ideologia. Ma furibonda è anche la narrazione, sovrabbondante e vulcanica, in cui si alternano di continuo stili e forme di varia natura. Diviso in due parti (separate da un intermezzo di croci simboleggianti vittime di incidenti automobilistici), Do Not Expect Too Much From the End of the World è un (ottimo) film che alterna nella sua prima sezione la storia di Angela, rappresentata da un bianco e nero sporco e di estremo realismo, con le immagini di un film prodotto nel 1981, dal titolo Angela merge mai departe, valorizzato da colori sgargianti e dalla pellicola in 35mm. Il gioco è chiaro e diretto, come un tornado che ci travolge durante la visione: la Romania di oggi non è poi così diversa da quella sotto la dittatura di Ceaușescu. Ma questo film va oltre questo parallelismo, anche relativo alla condizione femminile, per parlare dell’assenza di senso che diamo oggi alle immagini. Bombardati da filtri, fake news, immagini finte che sembrano reali e viceversa, la società odierna – ci suggerisce Jude – è già arrivata a una sorta di collasso in cui tutto questo gioco audiovisivo si mescola a parole, aforismi e citazioni del tutto private della loro natura realmente significante: da Goethe al “suicidio” di Godard, fino alla presenza del vero regista Uwe Boll su un set, tutto sembra portare verso un’Apocalisse della rappresentazione, verso un mondo in cui è “sempre più tardi di quello che pensiamo”, come rappresentato da una micidiale immagine di un orologio senza lancette di bergmaniana memoria.  Con tanta e troppa carne al fuoco ma anche con una capacità pazzesca di scuotere, provocare e far riflettere, Jude ci parla di una società in cui non basta aver subito un terribile incidente per poter diffondere un messaggio: servono un giusto volto e le giuste parole, che se non arrivassero adeguatamente, come vuole il Dio del Capitale, si possono comunque costruire a tavolino con la computer grafica. Non è un caso che in una visione di questo tipo, la seconda parte sia composta da una ripresa fissa di circa 40 minuti, cercando di evitare qualunque forma di manipolazione del montaggio e qualunque tipo di filtro per poter arrivare alla verità. Anche se potrebbe non bastare. Presentato in concorso al Festival di Locarno. 
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