Chi era Adolfo Baruffi? Pochi sanno rispondere a questa domanda. Possiamo sapere da qualche articolo online che era un cineasta di Ferrara che nel secondo dopoguerra ha diretto una serie di documentari, vicini alla sensibilità neorealista, ma non si trova molto altro. La memoria di questo misterioso personaggio si perde nelle pieghe della storia del cinema.
A fare luce sulla questione giunge quindi Paternicillina, un documentario diretto da Marco Berton Scapinello che scava nel passato di un fantasma, di un individuo che ha lasciato un segno nel mondo cinematografico per poi scomparire, cancellando quasi completamente il suo operato e la sua stessa esistenza.
Il progetto nasce da Romeo Pisano, un ex ferroviere ormai pensionato, da sempre appassionato di cinema, che conosce Baruffi per la prima volta negli anni ‘70. Nell’ultimo periodo della sua esistenza Baruffi si concede a una serie di video-interviste per Pisano che esattamente quattro anni fa, decide di tributare all’amico con un piccolo progetto, un breve documentario. Coinvolge così un gruppo di giovani cineasti semi esordienti con sede a Bologna.
Presto il progetto cresce e, girando per tutta l’Italia, il gruppo crea un grande omaggio a Baruffi, composto di interviste, materiali di repertorio, sequenze originali dei suoi film e suggestive riprese dei luoghi dove il regista ha vissuto. Si ripercorrono le sue origini ferraresi partendo dagli esordi in cui indossa le vesti del maestro di Florestano Vancini, regista che avrà un notevole successo nel mondo del cinema italiano, lavorando spesso con volti celebri. Scorrono poi i fotogrammi dei suoi primi documentari che dimostrano una forte influenza neorealista ma anche un occhio molto attento alla composizione dell’immagine e soprattutto un grande talento nel cogliere l’enorme fascino della zona del Delta del Po. Diventa quasi un antesignano quindi di una tradizione cinematografica che coglie la potenza emotiva di quei luoghi palustri, di cui farà parte anche il grande Antonioni con il suo primo cortometraggio Gente del Po (1947) e in seguito con il capolavoro Il grido (1957).
Viene dedicata poi un’ampia parentesi a film come Il postino di montagna (1951), un’opera che vede Baruffi collaborare con Dino Buzzati e che coinvolge un intero paese che ancora oggi ne ricorda le riprese. Si arriva persino a Pasolini, che prima ancora di esordire nel cinema scrive la sceneggiatura de Il prigioniero di Montagna (1955) diretto da Luis Trenker e al quale Baruffi partecipa ampiamente.
Infine si giunge al primo lungometraggio di finzione del regista ferrarese, Paternicillina, che avrebbe dovuto significare un vero esordio. L’opera però va incontro a grosse difficoltà e rimane così incompiuta, diventando quasi una metafora della vita del suo autore, che da quel momento decide di ritirarsi completamente dal cinema.
Tramite le interviste si prova a estrapolare una verità, un segreto e una soluzione del perché Adolfo Baruffi, che aveva di fronte a sé una promettente carriera cinematografica, si sia ritirato. Ma l’uomo rimane criptico, sfuggente, le sue parole e i commenti sono pochi e spesso misteriosi. L’immagine che sorge di questo cineasta è quella di chi lo racconta, di chi l’ha conosciuto, come i suoi affetti, o di chi l’ha studiato e se n’è interessato, come il grande critico cinematografico Tatti Sanguineti ed il Professore di Diritto Costituzionale all’università di Ferrara Paolo Veronesi.
Il risultato è un mosaico, quasi un album fotografico che dipinge le svariate sfaccettature di un artista che ha avuto tre vite o forse nessuna. Un’indagine frutto di anni di ricerche che svela angoli bui del regista, ma che è impossibilitata in partenza a trovare un’unica soluzione. Rimane il fascino di quello che sarebbe potuto essere, del cinema che sarebbe potuto esistere, di pagine di storia scritte ma lasciate sospese.
Il documentario del padovano Berton Scapinello, quindi, diventa allegoria del personaggio che racconta, a partire dal titolo che riprende quell’opera incompiuta, che esiste solo in embrione, in un limbo. Paternicillina è un progetto di archeologia cinematografica realizzato in collaborazione con la Cineteca di Bologna e con la Cineteca Nazionale del Centro sperimentale di cinematografia. L’opera è pronta a fare il suo esordio in questo burrascoso 2020 raccontando la vita di un regista che forse non è mai esistito, di un artista che vive in quel luogo che oscilla tra realtà e finzione, quella zona caotica dove i confini si mescolano e dove nasce il cinema.
Cesare Bisantis