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I migliori film di Alain Resnais: la nostra Top 10

«È come l'intelligenza, la follia, lo sai? Non si può spiegarla. Proprio come l'intelligenza. Ti viene addosso, ti riempie di sé, e allora la capisci. Ma quando ti abbandona, non la capisci più» (Hiroshima mon amour)


Regista, teorico, inarrestabile sperimentatore di forme cinematografiche, autore di "architetture visive basate sul gioco della memoria e sull'intersecarsi del tempo psicologico con le metamorfosi collettive della storia" (Treccani): Alain Resnais, di famiglia borghese e innamorato del cinema sin dall'adolescenza, muove i primi passi come attore per poi spostarsi dietro la macchina da presa e segnare così indelebilmente la storia della settima arte. Ispiratore della della Nouvelle Vague, di cui fu sempre punto di riferimento, pur non aderendovi mai ufficialmente, dirige pellicole di importanza capitale. Resnais nasceva il 3 giugno 1922: per omaggiarlo, ecco una top 10 dei suoi migliori film!


 


10) Providence (1977)



Dopo alcuni film narrativamente più convenzionali, Alain Resnais torna alle origini con una pellicola “mentale” e labirintica, che tanto ricorda i suoi esordi. Non si tratta soltanto di un viaggio nella memoria: è un film stratificato, ironico e intellettuale allo stesso tempo, che raggiunge la psicanalisi senza mai compiacersi, e che si tuffa in un potente ragionamento intergenerazionale senza mai affogare al suo interno. Il creatore di tutto, non a caso, è uno scrittore costretto a letto, capace di muoversi soltanto attraverso la sua fervida fantasia: le immagini create dalla sua mente sono ossessive e inquietanti, ma potrebbero anche rappresentare un modo divertente e creativo per passare la notte.



9) La guerra è finita (1966)



Alla base de La guerra è finita c'è una sceneggiatura, fortemente autobiografica, di Jorge Semprún, romanziere spagnolo esule in Francia, che ha dato al suo copione una forte dose di autenticità. Appassionata e coinvolgente riflessione sulle incertezze ideologiche di un uomo come tanti, la pellicola è valorizzata dall'elegante regia di Alain Resnais, che si muove in scioltezza (come da sua abitudine) tra differenti temporalità: i flashback sono parte integrante di un flusso mentale che si muove, indistintamente, tra passato e presente. Attaccato sia da destra che da sinistra, è un lungometraggio che vive (anche) di improvvise fiammate e di sequenze destinate a rimanere a lungo impresse.



8) Smoking/No Smoking (1993)



Celia si accorge di un pacchetto di sigarette finito sul pavimento del suo giardino di casa. Lo rimette sul tavolo e, dopo essersi allontanata, torna a fissarlo: potrebbe fermarsi a fumare una sigaretta oppure proseguire immediatamente le sue faccende domestiche. D'altronde, non sarà certo una sigaretta a cambiare qualcosa nella sua vita. O forse sì? Prendendo spunto da Intimate Exchanges del drammaturgo teatrale Alan Ayckbourn, Alain Resnais firma un curioso dittico di film gemelli: nel primo Celia si ferma a fumare la sigaretta, nel secondo prosegue i suoi lavori in giardino. La sua storia personale (così come quella degli altri abitanti della cittadina inglese) cambia completamente, ma non è tutto: anche internamente ai due singoli film, la narrazione spesso si ferma sviluppando diverse possibili biforcazioni (cosa sarebbe successo se... ?) e mostrando ogni volta come cambierebbero le esistenze dei vari personaggi. I Cahiers du Cinéma hanno scritto che «con Smoking/No Smoking Alain Resnais ha inventato il cinema interattivo».



7) Muriel, il tempo di un ritorno (1963)



È in apparenza netto il cambio di stile operato da Alain Resnais in questo suo terzo lungometraggio di finzione, che segue i capolavori Hiroshima mon amour e L'anno scorso a Marienbad. Innanzitutto per l'uso (per la prima volta) del colore, e per una struttura narrativa più tradizionale e meno sperimentale. Eppure, a ben guardare, il regista prosegue coerentemente con un'analisi sulla memoria (storica o privata che sia) e sulle cicatrici che ancora non si sono rimarginate: prima erano Hiroshima e la Seconda guerra mondiale, ora la guerra d'Algeria, che il regista affronta coraggiosamente (caso più unico che raro per le pellicole francesi del periodo) nonostante sia ancora un argomento di strettissima attualità al momento delle riprese. Il cinema diventa il veicolo principale per una riproposizione continua del trauma, ma è anche il mezzo più efficace per non dimenticare.



6) Mélo (1986)



Un film d'attori? Sicuramente. Un semplice esempio di teatro filmato? In parte. Mélo prende ispirazione da una pièce di Henry Bernstein, che Alain Resnais riporta alla lettera sul grande schermo. Quello che potrebbe apparire come un gioco intellettuale freddo e derivativo della matrice teatrale, è in realtà qualcosa di molto più interessante: il regista francese sfrutta al meglio tutte le sue competenze tecniche per dare vita a una messa in scena perfetta per montaggio e costruzione.



5) Mon oncle d'Amérique (1980)



S'intrecciano le vicende di tre persone: un borghese, una proletaria e un contadino. I tre sono cavie di un esperimento teso ad analizzare il comportamento umano. L'idea per Mon oncle d'Amérique nasce dall'incontro tra Alain Resnais e lo scienziato Henri Laborit, che appare nel film nei panni di se stesso. Quest'ultimo, grande studioso del cervello umano e delle similitudini con quello degli animali, aveva proposto al regista francese di fare un documentario sulle sue ricerche, ma Resnais ha optato per un lungometraggio di finzione, scritto da Jean Gruault. L'approfondimento sui tre personaggi-cavie, sui loro ricordi e sugli incroci delle loro esistenze, è straordinario: Resnais muove i fili alla perfezione, ponendosi nella stessa posizione del demiurgico Laborit, la cui voce narrante interviene costantemente nel corso della narrazione.



4) Parole, parole, parole... (1997)



Più che un semplice lungometraggio, è un balletto audiovisivo (e non solo per le tante canzoni presenti nel corso della visione) dove a danzare sono i colori, i personaggi e i registri narrativi, passando con disinvoltura dal divertissement al film sentimentale, fino a raggiungere anche il dramma malinconico nelle battute finali. Arrivato a 75 anni, Alain Resnais firma una pellicola scanzonata e profonda allo stesso tempo, originale e decisamente godibile. Un carosello di volti, nomi e attori che gira a velocità perfetta, sfruttando al meglio un ottimo montaggio e un cast di interpreti in stato di grazia. Maldestro il titolo italiano, ma riuscire a tradurre adeguatamente l'originale On connaît la chanson (modo dire che può essere paragonato all'italiano «è la solita musica») non era semplice.



3) Notte e nebbia (1956)



Patrocinato dal Comitée d'historie de la Seconde guerre mondiale, Alain Resnais firma il suo documentario più toccante e significativo in assoluto. L'autore francese alterna materiale d'archivio, in bianco e nero, e sequenze, a colori, di quel che restava dei lager al momento delle riprese. Il regista fa luce, come nessuno prima di lui, sulle ombre dello sterminio operato dai nazisti, utilizzando immagini che ancora oggi risultano fortissime e feroci nella loro brutalità. Un'analisi documentaria su uno degli eventi più tragici della storia umana, che diventa anche una fonte di testimonianza nei confronti di un episodio che non potrà (e dovrà) mai essere dimenticato. Ardito nel montaggio, è anche un ottimo esempio di sperimentalismo cinematografico, grazie al rigore e al coraggio con cui mescola sequenze d'archivio, soluzioni audiovisive innovative e differenti temporalità del racconto. Rifiutato all'ultimo momento al Festival di Cannes a causa dei suoi contenuti troppo crudi.



2) L'anno scorso a Marienbad (1961)



Un uomo prova a convincere una donna di averla già incontrata, lo scorso anno, nello stesso albergo di Marienbad in cui sono attualmente ospiti. Lei però non si ricorda, e gli affanni dell'uomo non servono a nulla. Alain Resnais e la sua personale rivoluzione del linguaggio della settima arte: l'albergo di Marienbad – non a caso un hotel-labirinto – è l'unico punto di appoggio concreto di un percorso narrativo che si muove tra diversi passaggi temporali e, perfino, spaziali. Con un taglio di forte impronta modernista, Resnais mescola fantasia, sogno e realtà, in un racconto dai toni ambigui che vede protagonisti tre personaggi contrassegnati da una lettera, simbolo della loro confusione identitaria: lei è A, il marito è M, ma la vera incognita è X, io narrante e ospite indesiderato che si mette in mezzo alla coppia sposata. E, allo stesso modo, il tempo di cui parla è un'altra incognita come lui: quell'“anno scorso” è un tempo indefinito, che può rappresentare tutti gli anni passati e, forse, anche quelli a venire. Attraversato da vertigini metafisiche, il film si contorce su se stesso, sempre più intrigante e ricco di fascino. Per cogliere la portata di una messinscena tanto colta, elegante e raffinata, basterebbero i primissimi, memorabili minuti, dove Resnais sembra proiettarci in un'altra dimensione mostrandoci (semplicemente?) le pareti, gli stucchi e i tappeti di «questo albergo immenso, lussuoso, barocco, lugubre, dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi».



1) Hiroshima mon amour (1959)



Il primo lungometraggio di finzione di Alain Resnais segna una tappa importante nella storia del cinema francese e contribuisce a quel rinnovamento della produzione transalpina a cui parteciparono registi come François Truffaut e Jean-Luc Godard. Scritto da Marguerite Duras, Hiroshima mon amour è un dolente viaggio nella memoria, che ha come motore l'incontro tra due novelli amanti alla ricerca di una comprensione reciproca. Lei vorrebbe capire Hiroshima, sentire dentro di sé quel dramma avvenuto soltanto pochi anni prima, così da poter empatizzare fino in fondo con l'uomo da poco conosciuto. Ripensa allora alla Seconda guerra mondiale, al suo tormento in patria durante gli anni del conflitto, alla “Hiroshima della sua vita”. Trauma individuale e trauma collettivo, così, si mescolano arrivando fino a confondersi in una gigantesca opera d'arte che unisce finzione e materiale documentaristico, passato e presente, senza alcuna soluzione di continuità. Il risultato è una sinfonia di materiali eterogenei, dal canto lirico al melodramma passando per il documentario, che formano un mosaico di piccoli frammenti esistenziali avvolti da una fitta coltre di cenere impossibile da pulire. Raramente, nella storia della settima arte, si è osato tanto.

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