Un anziano scrittore (John Gielgud) passa un'intera notte immaginando storie inerenti ai suoi familiari: fantasie, incubi e ricordi si mescolano all'interno della sua mente tormentata. La luce del giorno, forse, farà svanire ogni paura.

Dopo alcuni film narrativamente più convenzionali (si veda il precedente Stavisky, il grande truffatore del 1974), Alain Resnais torna alle origini con una pellicola “mentale” e labirintica, che tanto ricorda i suoi esordi nel lungometraggio, Hir, mon amour (1959) e L'anno scorso a Marienbad (1961). Le suggestioni sono probabilmente inferiori, ma Providence riesce a mantenersi in buon equilibrio per tutta la durata, nonostante una narrazione rischiosa e non sempre semplicissima da seguire. Non si tratta soltanto di un viaggio nella memoria: è un film stratificato, ironico e intellettuale allo stesso tempo, che raggiunge la psicanalisi senza mai compiacersi, e che si tuffa in un potente ragionamento intergenerazionale senza mai affogare al suo interno. Il creatore di tutto, non a caso, è uno scrittore costretto a letto, capace di muoversi soltanto attraverso la sua fervida fantasia: le immagini create dalla sua mente sono ossessive e inquietanti, ma potrebbero anche rappresentare un modo divertente e creativo per passare la notte. Confezione di alto livello, grazie anche alla toccante musica di Miklós Rózsa. Strepitoso John Gielgud in uno dei ruoli più importanti della sua carriera, ma anche il resto del cast è in splendida forma. Sceneggiatura di David Mercer.
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