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Bette Davis – La solitudine di una donna, la grandezza di un'artista
«Nella vita abbondano i maschi, ma scarseggiano gli uomini». Basterebbe questa glaciale sentenza per riassumere la personalità di Bette Davis. Cresciuta artisticamente in un'epoca in cui l'industria di Hollywood è segnata da maschilismo ed esaltazione dell'apparenza, Davis si è fatta strada in mezzo a una marea di uomini conservatori e donne invidiose, prendendo a calci chiunque provasse a separare il suo carattere deciso e la sua figura anticonvenzionale da quel dorato traguardo chiamato successo. D'altronde, fin dalle sue prime apparizioni cinematografiche, nulla di quella strana ragazza dagli occhi sporgenti e dai lineamenti irregolari sembrava presagire una così fulgida carriera. Tranne lo smisurato talento.

Prima donna a venire eletta presidente dell'Academy, due premi Oscar su undici candidature (tutte come miglior attrice protagonista), un Prix d'intérpretation féminine a Cannes, una Coppa Volpi a Venezia e tanti altri riconoscimenti rappresentano solo una parte dello straordinario consenso che Bette Davis ha raccolto attraverso (quasi) tutta la sua filmografia. Il resto lo ha conquistato grazie alle battaglie: contro i produttori, i colleghi, i critici, i mariti (si è sposata quattro volte) e chiunque rappresentasse un ostacolo nella sua risoluta scelta di affermare se stessa, la sua indipendenza ed il suo modo di esprimere l'arte. Per la sua capacità di dare vita a personaggi femminili che stanno meglio senza uomini intorno e per la sua immensa bravura, il suo cammino sembra riallacciarsi a quello dell'indiscussa regina di Hollywood, Katharine Hepburn. Non è un caso che nel 1999 l'American Film Institute le abbia inserite al primo e al secondo posto tra le più grandi star della storia del cinema.




Ruth Elizabeth Davis (5 aprile 1908 – 6 ottobre 1989), soprannominata Bette dalla madre, sin dall'inizio della carriera lega il suo nome a quello dei teatri di New York, all'interno dei quali inizia a plasmare il suo stile recitativo votato all'istrionismo e alla drammaticità. Il successo teatrale la porta dritta a Hollywood, dove la giovane attrice si ritrova a dover dimostrare il suo talento nonostante i tanti commenti sulla sua mancanza di sex appeal. Il leggendario presidente della Warner Bros., Jack Warner, le offre un contratto di cinque anni, ma non prima di aver messo in chiaro le cose: «Hai il fascino di Stanlio e Ollio messi assieme, ma ti prendo per il tuo talento».

Ma la vera occasione della sua vita arriva grazie alla RKO, in uno scambio fra Studios: la Warner Bros. è interessata a Irene Dunne per un ruolo, mentre Bette Davis smania per interpretare il ruolo di Mildred nell'adattamento cinematografico di Schiavo d'amore (1934), tratto dal romanzo di Somerset Maugham. Si tratta di un personaggio negativo: una cameriera opportunista e perfida che si approfitta dell'amore di un giovane inglese. Nessuna star femminile vuole interpretarlo. Davis, invece, è convinta che si tratti del ruolo su misura per lei. Ha ragione: il film è un successo e la sua performance è talmente elogiata che la sua mancata candidatura ai premi Oscar viene accolta da un'ondata di indignazione. Sarà il primo di tanti ritratti femminili poco accomodanti.



L'appuntamento con la statuetta dorata non tarda comunque ad arrivare. Bette Davis diventa il nome del momento e il genere drammatico le si cuce perfettamente addosso: nel 1935 ottiene la parte dell'attrice teatrale e alcolizzata Joyce, salvata da un architetto (Franchot Tone) in Paura d'amare (1935) di Alfred E. Green. Il Times la proclama come "una delle più interessanti attrici cinematografiche" e l'Academy le conferisce l'Oscar alla miglior attrice, che lei definisce un "premio di consolazione", un riconoscimento tardivo per Schiavo d'amore. Durante le riprese del film di Green si innamora, ricambiata, del collega Tone, intravedendo in lui un partner cinematografico ideale, proveniente come lei dal teatro. L'attore, però, è corteggiato anche da Joan Crawford, la quale diviene la sua prima scelta e con cui si sposa. Davis non avrebbe mai perdonato un simile affronto alla collega, con cui intraprende una leggendaria e accanita rivalità.


Gli anni '30, però, riservano altre liete sorprese alla giovane Bette Davis. Dopo aver recitato accanto ad Humphrey Bogart nel gangster Le cinque schiave (1937) nel ruolo di una prostituta (vincendo la Coppa Volpi al Festival di Venezia), nel 1938 viene scelta per l'ambita parte principale in Figlia del vento, diretto da William Wyler. Al fianco di Henry Fonda, interpreta l'anticonformista Julie, un'orgogliosa giovane donna in conflitto con la mentalità conservatrice dell'alta società nella New Orleans di metà XIX secolo che, oltre a un rifiuto d'amore, deve affrontare un'epidemia di febbre gialla. La sua performance da ribelle viziata del sud le fa ottenere il secondo Oscar come miglior attrice protagonista, una relazione con Wyler (che più tardi avrebbe definito "l'amore della mia vita") e una vita personale sempre più tormentata che culmina nella richiesta di divorzio da parte del marito Ham Nelson dopo aver scoperto l'ennesimo flirt dell'attrice, stavolta con il leggendario produttore Howard Hughes.


Gli anni '40 segnano da una parte il suo apice artistico e, allo stesso tempo, una parabola di parziale declino per le sue doti recitative: se ha segnato la storia del cinema mélo con i magnifici Ombre malesi (1940), Piccole volpi (1941), nei quali viene diretta ancora da William Wyler, Perdutamente tua (1942) e Il prezzo dell'inganno (1946), entrambi del dimenticato  Irving Rapper, l'attrice partecipa anche a una serie di film mediocri con ruoli leggeri e romantici, mirati a far distrarre il pubblico turbato dalle vicende belliche della Seconda guerra mondiale. Bisogna aspettare la ritrovata pace e copioni drammatici migliori per poter apprezzare nuovamente il suo talento.

Ecco quindi che il 1950 si rivela un crocevia fondamentale, sia per la sua maturità artistica che per Hollywood in generale. Tra le sue mani giunge quella che in seguito avrebbe descritto come la migliore sceneggiatura che avesse mai ricevuto: Eva contro Eva, diretto dal grande Joseph L. Mankiewicz. Davis interpreta la celebre ed egocentrica diva di Broadway Margo Channing che, giunta alla soglia della mezza età, vede portarsi via la carriera e l'amore da parte di Eva, una sua giovane fan che le ruba la scena grazie a una sfrenata ambizione e ad una mascherata furbizia. Il ruolo della protagonista sembra essere stato creato apposta per Bette Davis, la quale infatti confeziona un'interpretazione indimenticabile, tanto da far girare la testa a tutta la critica statunitense e non solo, regalandole il premio come miglior attrice al Festival di Cannes e l'ennesima candidatura all'Oscar. «Prendete il salvagente... Questa sera c'è aria di burrasca!». Un capolavoro in piena regola. Non è un caso che il film esca nello stesso anno di Viale del tramonto, la spietata critica di Billy Wilder ai cinici stratagemmi dello star system hollywoodiano, che sembra ricalcare il messaggio del film di Mankiewicz, dove la sopravvivenza in un mondo sempre più spietato è garantita solo dalla finzione, dalla messa in scena e dall'inganno.


Sono anni di vivaci cambiamenti per Hollywood e Davis apprende in fretta la lezione. Il suo ritrovato successo ha infatti vita breve: divorzia ancora una volta, sposandosi con il collega Gary Merrill e, tranne una nuova candidatura all'Oscar per La diva (1952), il suo declino artistico appare inevitabile, portandola a rifugiarsi nelle apparizioni teatrali. È proprio durante le repliche de La notte dell'iguana di Tennessee Williams che le si presenta davanti la rinnovata faccia del cinema statunitense, attraverso la figura della sua acerrima nemica, Joan Crawford, la quale le propone il ruolo di coprotagonista nella trasposizione cinematografica di Che fine ha fatto Baby Jane? (1962), diretto da Robert Aldrich. Davis è scettica, la sua antipatia con la collega è proverbiale. Una volta letto il romanzo di Henry Farrell, però, accetta la parte.


Il film si rivela un moderno thriller psicologico dagli agghiaccianti risvolti psicanalitici che sembra rappresentarla in pieno: scivolata nell'oblio dopo un'infanzia da enfant prodige, l'alcolizzata e instabile Jane Hudson (Bette Davis) tormenta la sorella Blanche (Joan Crawford), ex stella del cinema costretta al ritiro a causa di un incidente e della conseguente paralisi alle gambe; l'incontro con il pianista Edwin Flagg (Victor Buono) spinge Jane a progettare un utopico ritorno in scena, ma la disillusione scatena una follia che condurrà alla tragedia. Ancora una volta, una riflessione non banale sulle derive del divismo e dello star system. Le vicende produttive contribuiscono al clamoroso successo di pubblico e di critica della pellicola: dietro allo sconvolgente duello recitativo delle due dive protagoniste si nasconde una delle lavorazioni più travagliate del cinema statunitense, una vera e propria battaglia senza esclusione di colpi tra Davis e Crawford, sfruttata furbescamente da Aldrich per ricavarne interpretazioni straordinarie. E con questo film, di fatto, si spegne quasi definitivamente l'incredibile parabola artistica di Bette Davis.

Considerando gli anni '70 e '80, è impossibile non citare i ruoli di Davis ne Lo scopone scientifico (1972), caustica commedia drammatica di Luigi Comencini e nel toccante dramma sentimentale Le balene d'agosto (1987), raffinata e nostalgica pellicola di Lindsay Anderson in grado di omaggiare, oltre che la stessa Davis, anche due glorie del passato come Vincent Price e Lilian Gish, in una riflessione sulla vecchiaia e sul tempo che fu.


Bette Davis si spegne il 6 ottobre 1989 a Parigi, dopo aver subito un'operazione di un tumore al seno, una osteomielite, un ictus e un infarto. Il suo ultimo matrimonio è finito quasi 30 anni prima e la sua autobiografia, The Lonely Life: an Autobiography, ha già descritto con successo la sua solitudine di donna e la sua grandezza di artista.

Nicolò Palmieri

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