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Damien Chazelle: la musica delle immagini

Damien Chazelle, regista di Providence, si è guadagnato in pochi anni l’apprezzamento di critica e pubblico, passando da giovane promessa a cineasta dal talento ormai conclamato.

Elemento che ovviamente ricopre un ruolo centrale nella filmografia di Chazelle è la musica e, in particolar modo, il jazz. Il regista ha, infatti, un passato da batterista, percorso poi messo da parte, dopo aver conseguito il diploma, per concentrarsi sulla sua altra grande passione: il cinema.

L’orecchio musicale del regista ha certamente contribuito a influenzare il suo modo di approcciarsi al medium cinematografico, sia nella forma che nella sostanza. Chazelle è un regista che guarda con nostalgia ai classici del passato risultando però estremamente contemporaneo (perfetta commistione di generi e stili). Quest’anima del cineasta, divisa fra presente e passato, si può riscontrare anche in alcune scelte riguardanti le colonne sonore: brani di compositori moderni vengono arrangiati per una formazione classica da big band - orchestra jazz con sezione ritmica (basso; batteria; pianoforte), ottoni e sax.
Non dovrebbe quindi sorprendere che la sua pellicola d’esordio, intitolata Guy and Madeline on a Park Bench (2009), ruoti attorno a dei musicisti.

È con Whiplash (2014), però, che assistiamo a un vero e proprio salto di qualità da parte del regista. Il film ci racconta la storia di Andrew (Miles Teller), giovane che sogna di diventare un grandissimo batterista jazz. Al di là delle dinamiche narrative è interessante notare come Chazelle utilizzi la musica per trasmettere determinate sensazioni, come, ad esempio, il dolore. Nel tentativo di sfondare la quarta parete e trasmetterci lo stesso sforzo fisico a cui è sottoposto il protagonista, il regista amalgama una regia ipercinetica a brani musicali dai ritmi serrati, amplificando così un tipo di recitazione che punta molto sulla fisicità del corpo (i muscoli tesi e pronti a scattare; le ferite alle mani). I tormenti del batterista non sono soltanto fisici, ma penetrano molto più in profondità. Non è un caso, quindi, che il soundtrack risulti a tratti molto introspettivo: l’utilizzo di tappeti sonori in pezzi come Drum & Drone e Dismissed ci fa calare in un’atmosfera intima e dalla vena estremamente psicologica. Questo sovrapporsi della batteria e del tappeto sonoro crea un effetto mesmerizzante e noi riusciamo a percepire il progressivo allontanamento di Andrew da suo Io.

Con La La Land (2016) abbiamo la consacrazione di Chazelle. Musical dal successo planetario del quale è interessante notare come, alle musiche iniziali, energiche ed esagitate (e, se vogliamo, molto in canone con il classico stile da musical), sia accostata una palette cromatica dai toni sgargianti e accesi (gialli; rossi; blu; verdi); con il passare dei minuti, poi, la colonna sonora subisce un lento ma progressivo cambiamento, diventando più intima e per certi versi sincera (eccezion fatta per il concerto con Keith, interpretato da John Legend, momento che rappresenta una sorta di deriva morale da parte del Sebastian di Ryan Gosling) e, allo stesso tempo, anche la palette cromatica subisce un drastico mutamento, passando a colori più sfumati e tenui come il viola. Questi cambiamenti estetici e sonori seguono l’evolversi della storia d’amore di Seb e Mia (Emma Stone) e ci permettono quasi di sentire l’intimità del loro rapporto e le sfumature dei loro sentimenti.

Anche in First Man (2018), ultimo film all’attivo di Damien Chazelle, riusciamo a trovare la firma del regista: è attraverso il montaggio e i movimenti di camera che il cineasta di Providence riesce a infondere ritmo alla pellicola, rendendola estremamente musicale anche quando la musica è assente. Nel film in questione Chazelle riesce a trasmetterci un forte senso di claustrofobia attraverso l’uso dei suoni, giocando magistralmente con ciò che ci mostra e ciò che, invece, decide di non inquadrare (restringendo, ad esempio, il campo visuale di una soggettiva).

Con The Eddy (2020), serie tv disponibile su Netflix da qualche giorno, Chazelle si affaccia al medium della serialità televisiva e anche in questo caso la storia ruota attorno a una jazz band che cerca di farsi strada nel mondo musicale. Il jazz è visto come un’ancora di salvezza, una via di fuga, qualcosa a cui aggrapparsi e da cui trarre un senso di completezza; spesso percepiamo questo potere catartico della musica, sottolineato dal lento avvicinarsi della macchina da presa al volto dei personaggi, intenti ad ascoltare o a suonare un pezzo jazz.
E sono le stesse parole del regista, rilasciate in un’intervista a Variety, a confermarci quello che è il suo pensiero riguardo l’importanza della musica: “The music is a kind of a refuge for the characters, a medicine for them, each character has a different reason to need this music. I guess it’s one of the things that I always find compelling about jazz, especially today, is that it’s not an art form that you go into because you want to be on magazine covers, or to be wined and dined. Jazz requires total devotion and an insane work ethic, without the material rewards.

Simone Manciulli

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