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Fantozzi: 45 anni dall'uscita in sala per il ragioniere più amato d'Italia

«Per arrivare a timbrare il cartellino d'entrata alle 8 e 30 precise, Fantozzi, sedici anni fa, cominciò col mettere la sveglia alle 6 e un quarto: oggi, a forza di esperimenti e perfezionamenti continui, è arrivato a metterla alle 7.51, vale a dire al limite delle possibilità umane. Tutto è calcolato sul filo dei secondi: cinque secondi per riprendere conoscenza, quattro secondi per superare il quotidiano impatto con la vista della moglie, più sei per chiedersi, come sempre senza risposta, cosa mai lo spinse un giorno a sposare quella specie di curioso animale domestico. Tre secondi per bere il maledetto caffè della signora Pina (3000 gradi Fahrenheit), dagli otto ai dieci secondi per stemperare la lingua rovente sotto il rubinetto, due secondi e mezzo per il bacino a sua figlia Mariangela, caffellatte con pettinata incorporata, spazzolata dentifricio mentolato su sapore caffè, provocante funzioni fisiologiche che può così espletare nel tempo di valore europeo di sei secondi netti. Ha ancora un patrimonio di tre minuti per vestirsi e correre alla fermata del suo autobus che passa alle 8.01. Tutto questo, naturalmente, salvo tragici imprevisti.»

Era il 1968 quando, durante la trasmissione televisiva Quelli della domenica, Paolo Villaggio lanciò il personaggio che avrebbe segnato per sempre la sua carriera: il ragionier Ugo Fantozzi (dal cognome di un impiegato ex collega di lavoro alla Italsider). Grigio, sottomesso, condannato a una quotidianità alienante e a domeniche di "svago" destinate a trasformarsi in incubi a occhi aperti, Fantozzi passa presto a essere protagonista di racconti, raccolti nel 1971 in un libro che diventa cult (seguito a breve da un altro volume). Dalle pagine scritte al grande schermo il passo è breve: nel 1975, e precisamente il 27 marzo, l'esordio sul grande schermo. Dietro la macchina da presa Luciano Salce, coadiuvato e guidato dallo stesso Villaggio il quale prende saldamente in mano le redini della sua creatura.

Chi è Ugo Fantozzi? Fantozzi, c'est moi, verrebbe da dire. Sì, perché Fantozzi è un mediocre. Fantozzi non vive, sopravvive, perennemente in balìa di superiori arroganti e colleghi meschini. Fantozzi è intrappolato in un matrimonio spento, ha una moglie a dir poco bruttina (Liù Bosisio prima, Milena Vukotic poi) e una figlia orrenda (l'iconica Mariangela di Plinio Fernando) e sogna l'amore vero, personificato dalla (per sempre) signorina Silvani (Anna Mazzamauro). Fantozzi è l'incarnazione perfetta e calzante dell'italiano medio, rappresentante primario di quella classe piccolo-borghese schiava dei beni di consumo, arrogante con i deboli e biecamente sottomessa ai superiori. 

Un così degno esempio delle meschinità nazionali non poteva che entrare nel cuore degli spettatori, anche e soprattutto perché capace di rivolte tanto rare e improvvise quanto trascinanti: impossibile dimenticare la ribellione contro l'odioso Diego Catellani durante la partita di bliardo («Al 38° coglionazzo e a 49 a 2 di punteggio, Fantozzi incontrò di nuovo lo sguardo di sua moglie») o l'ormai immortale intervento post-visione di La corazzata Kotiomkin al cineforum aziendale, che gli procura «92 minuti di applausi» da parte dei fieri e stremati colleghi e lo consacra a simbolo di libertà, la libertà di parodiare un punto fermo della cultura di sinistra come La corazzata Potëmkin (1925) di Sergej Michajlovič Ejzenstejn.

Famigliare per immedesimazione, comico per eccesso: Villaggio, oltre a sfruttare l'elemento fisico di un goffo e tozzo uomo di mezza età inserito in situazioni dinamiche e spiazzanti (generalmente in coppia con il fidato, ipovedente e pedante collega Filini alias Gigi Reder) spesso velocizzate per accrescere lo straniamento, inventa di fatto un nuovo gergo caratterizzato dall'enfasi (Mega Direttore Clamoroso, Megadirettore Galattico) e dalla storpiatura («Allora, ragioniere, che fa? Batti?»; «Ma... mi dà del tu?»; «No, no! Dicevo: batti lei?»): paradosso da cui nasce una comicità irresistibile.

Fantozzi, negli anni, è divenuto vera e propria icona, condizionando il percorso attoriale dello stesso Villaggio: imbrigliato nei panni del ragioniere e spesso costretto a replicarne scialbamente i tic, l'attore ha caparbiamente continuato a interpretare il personaggio che lo rese celebre, amplificandone fino alla saturazione i tratti distintivi e indebolendone i punti di forza. Di una cosa, però, possiamo essere certi: «Io, Pina, ho una caratteristica: loro non lo sanno, ma io sono indistruttibile, e sai perché? Perché sono il più grande "perditore" di tutti i tempi».
Parola di Ugo Fantozzi.

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