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FESCAAAL 31 – Il racconto della decima giornata: trionfano "Amparo" di Simón Mesa Soto e "Soula" di Salah Issaad
Si conclude, dopo dieci giorni di proiezioni non-stop nelle sale milanesi, la 31a edizione del Festival del Cinema Africano d’Asia e America Latina. Una selezione variegata che, oltre ad una serie di registi italiani impegnati in prima linea per ampliare gli orizzonti del cinema nostrano, ha messo in mostra diversi autori emergenti (soprattutto africani) con uno sguardo deciso e un forte desiderio di mostrare al mondo, senza alcun compromesso, la situazione sociale e politica dei rispettivi paesi.


Premio Comune di Milano al Miglior Lungometraggio “Finestre sul mondo” ex-aequo

Amparo di Simón Mesa Soto (Colombia / Svezia / Qatar)

Soula di Salah Issaad (Algeria / Francia / Qatar / Arabia Saudita)

Menzioni speciali a

Freda di Gessica Généus (Haiti / Francia / Benin)

Nous, étudiants! di Rafiki Fariala (Repubblica Centrafricana / Francia / Repubblica Democratica del Congo / Arabia Saudita)

Premio al Miglior Cortometraggio Africano

Will My Parents Come To See Me di Mo Harawe (Somalia / Austria / Germania)

Menzioni speciali a 

Chitana di Amel Guellaty (Tunisia / Qatar / Norvegia)

Astel di Ramata-Toulaye Sy (Senegal / Francia)

Premio al Miglior Film del Concorso Extr’A

Mother Lode di Matteo Tortone (Italia / Francia / Svizzera)

Menzioni speciali a

Rue Garibaldi di Federico Francioni (Italia / Francia)

Amuka di Antonio Spanò (Congo / Belgio / Italia)


PREMI SPECIALI

Premio Città di Milano al film più votato dal pubblico

El árbol tojo di Joan Gómez Endara (Colombia / Panama)

Premio CINIT - Cineforum Italiano

Le départ di Saïd Hamich (Marocco / Francia)

Premio SIGNIS (OCIC e UNDA)

Freda di Gessica Généus (Haiti / Francia / Benin)

Premio Multimedia San Paolo / Telenova

Chitana di Amel Guellaty (Tunisia / Qatar / Norvegia)


E TUTTI RIDONO…

La sezione dedicata alle migliori commedie dai 3 continenti, presenta il film di chiusura di questa edizione del festival: Kung Fu Zohra di Mabrouk El Mechri. Perfetta chiusura di una rassegna particolarmente attenta a mostrare le difficoltà femminili all’interno di società oppressive, il film rappresenta una sorta di soluzione liberatoria al problema. Attraverso dei comici duelli, parodia dei film di arti marziali (Karate Kid tra tutti), il regista racconta la storia di violenza domestica e empowerment femminile di una giovane donna marocchina a Parigi. Zohra (interpretata da una splendida Sabrina Ouazani) non riesce a uscire da un rapporto brutale per paura di doversi separare dalla figlia. Subisce i colpi in silenzio, anche se diventa sempre più difficile resistere e nascondere la verità. Ma tutto cambia quando incontra Chang Sue, un maestro di Kung-Fu, deciso a fare di lei la sua discepola. Coraggioso approccio "leggero" a un argomento molto pesante, il quale sicuramente porterà un pubblico più ampio a prendere coscienza della realtà tossica e manipolatrice di certi comportamenti, incoraggiando al contempo le donne vittime silenziose a trovare la forza interiore necessaria per liberarsene. Ispirato da Rocky, dalla madre (di nome Zohra) e dalla piccola figlia, Mabrouk El Mechri è riuscito a costruire un film che cerca di divertire e intrattenere un ampio pubblico, senza mai però abbassare o distogliere lo sguardo dal vero problema.


SEZIONE FLASH

Il clamoroso successo al botteghino (secondo miglior incasso in Cina per un film in lingua non inglese) Hi, Mom! di Jia Ling è una commedia sentimentale capace di far sorridere, come di far versare fiumi di lacrime. Dopo aver perso la madre in un fatale incidente d'auto nel 2001, la figlia, addolorata, viaggia a ritroso nel tempo fino all'anno 1981 e diventa l'amica intima di sua mamma. Per riparare agli errori fatti nel presente, la figlia fa tutto il possibile per renderla felice nella speranza di darle una vita migliore di quella che ha avuto. Tratto da un popolare sketch comico televisivo interpretato da Jia nel 2016, Hi, Mom! si basa sui ricordi di sua madre, morta quando aveva diciannove anni. Ora trentottenne, la regista interpreta il ruolo autobiografico della figlia Ling con tale sincerità ed entusiasmo che poco importa che abbia il doppio dell'età del personaggio. Dopo diverse situazioni comiche, Ling arriva ad intuire che forse la madre non ha vissuto la vita triste e cupa che immaginava, e la sua riconciliazione personale viene sancita dal loro incontro finale, dialogando attraverso il tempo e gli eventi. Eseguite con una certa eleganza visiva, queste sequenze sono profondamente commoventi e capaci di scaldare anche i cuori più freddi. Il tocco finale è una risoluzione perfettamente calibrata per innescare fiumi di lacrime e sorrisi di speranza e ottimismo.

Tra le due commedie dell’ultima giornata, si trova anche una delle opere più poetiche dell’intero festival: The Year of the Everlasting Storm, dallo sforzo condiviso, ma separato, di Jafar Panahi, Anthony Chen, Malik Vitthal, Laura Poitras, Dominga Sotomayor, David Lowery, Apichatpong Weerasethakul. Il primo e più evidente motivo della sua complessità, sta nell’essere una raccolta di sguardi fortemente autoriali e, conseguentemente, molto personali. Non ci si stupisce quindi di sentir parlare un fantasma nel segmento di David Lowery, non sorprende la forza (elettro)statica trasmessa da Apichatpong Weerasethakul e risulta naturale che Laura Poitras continui ad investigare gli Stati Uniti post-11 Settembre. Sta qui il primo elemento che unisce, in maniera mirabile, i vari contenuti: essi narrano delle storie che, nonostante siano tutte ambientate temporalmente durante il primo lockdown pandemico, sono iniziate prima e finiranno dopo. Crolla quindi l’assunto (sbagliato) che il periodo passato in confinamento sia una così forte imposizione sulla vita, da riuscire addirittura a ingabbiarla. La quotidianità è mutata completamente ma i processi vitali non possono essere fermati: alla madre del regista Jafar Panahi mancherà sempre la sua nipotina, le radici delle difficoltà del matrimonio della coppia cinese risalgono a ben prima della pandemia, i giornalisti sono stati, sono e sempre saranno osservati dai propri governi e, ovviamente, gli insetti saranno, per sempre, attratti dalla luce e dal calore. La scelta di collocare queste storie in uno specifico momento, non è tanto dettata dalla necessità, quanto da una precisa volontà: aumentare l’oggettività intrinseca nei racconti documentari e aggiungere “verità” a quelli di finzione.

CONCORSO EXTR’A

In America non c’è, il regista Davide Marchesi, lascia ad un gruppo di giovani italiani di origine africana la guida del racconto. Sono le loro esperienze di vita vissuta, a partire dall’infanzia per arrivare alle proteste organizzate all'inizio dell'estate 2020 a sostegno del movimento Black Lives Matter, a dipingere un Italia ancora ben lontana dall’oscuro spettro del razzismo. Sicuramente meno esplicito e violento di quello americano, esso esiste e persiste tutt’oggi anche nel nostro paese. Piccolo atteggiamenti basati su pregiudizi e parole dette senza pensare alle conseguenze, sono solo alcuni dei motivi per il quale spesso, ragazzi nati e cresciuti in Italia, ma da genitori (o addirittura nonni) africani, sono costretti a vivere da estranei nel loro stesso paese.

Los Zuluagas di Flavia Montini narra la storia di Camilo, 35 anni, figlio di guerriglieri colombiani, il quale torna nel suo paese d’origine dopo 25 anni di esilio in Italia. Nel tentativo di comprendere le scelte radicali dei suoi genitori, si immerge nell'archivio di famiglia. Straordinari film amatoriali e scritti privati rivelano conflitti mai sopiti e memorie dolorose. Quelle di un padre, comandante rivoluzionario, che ha sacrificato tutto in nome della lotta politica, ma che ha visto il suo sogno di giustizia svanire. Quelle di un figlio, cresciuto all'ombra di un uomo carismatico ma ingombrante, incapace di accogliere i bisogni di un bambino. Quelle di una madre. Un fantasma che agita i sonni di Camilo da quando aveva 5 anni. Un’occasione unica per dar vita a un dialogo impossibile, a lungo desiderato ma mai veramente avvenuto. Il film si tramuta in una ricerca vitale, una costruzione di significati, tra racconti di morte, assenze, dolore, incertezze, discese e risalite. Vediamo Camilo immergere le sue mani nella profondità dei ricordi e delle emozioni dimenticate, spingendosi fin oltre la sue paure. Al termine capirà che, per riappropriarsi della sua storia, non vi è altra via se non quella di affondare, con amore, il coltello nelle ferite. Riaprirle per ripulirle.

Saranno le nostre classifiche personali di domani a chiudere il racconto di longtake di questa esaltante 31esima edizione del FESCAAAL.

A cura di Enrico Nicolosi 
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