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Il cinema di Baz Luhrmann: un tango pirotecnico tra payette e pop music
Elvis sta per tornare in vita grazie alla magia della Settima arte. Il biopic sul re del rock è firmato da Baz Luhrmann, autore australiano arrivato ormai alla sesta pellicola. Per un film che promette di raccontarci la scalata al successo di un vero e proprio mito della musica popolare del ‘900, la prima mondiale non poteva che essere in un posto sacro del cinema: il Festival di Cannes. Come antipasto, nell'attesa di gustare il ricco (si spera...) piatto con al centro il Re del rock, ripercorriamo la carriera di Luhrmann, andando a scovare il fil rouge che lega le sue opere.


Andando a scavare nell’infanzia del regista, scopriamo che il cinema, forse, è sempre stato nel suo destino; fin da piccolo, infatti, Luhrmann è stato abituato a fruire del medium cinematografico proprio grazie al padre che all’epoca si occupava di gestire il cinematografo del paese. Lo stile di Luhrmann affonda le sue radici nella volontà paterna di dare al figlio un’educazione eterogenea, che andasse dal ballo da sala alla pittura, dal teatro ai trucchi di magia. Due anni dopo il diploma Luhrmann fonda così la propria compagnia e nel 1986 scrive e dirige un’opera teatrale che, visto il grande successo riscontrato, nel 1992 trasporrà sul medium cinematografico con il titolo di Ballroom – Gara di ballo.

Il film è il primo tassello della Red Curtain Trilogy e, fin dal film di esordio, appare evidente come tutto il percorso formativo del regista, sceneggiatore e produttore di Sydney sia servito per dare vita allo stile che lo contraddistingue, uno stile opulento e in cui si ricerca lo stupore con scenografie e costumi sfarzosi, il tutto sorretto dalla grande forza emotiva che solo la musica può generare. Proprio a rimarcare il legame che il regista ha con il mondo del palcoscenico, ogni film della trilogia si basa su uno dei tre aspetti del teatro; in Ballroom è ovviamente il ballo al centro della pellicola, e il protagonista sceglierà di sacrificare la propria carriera per non tradire il proprio stile di danza, scelta che purtroppo si scontra contro l’etichetta imposta dall’ambiente esterno.


In Romeo + Giulietta di William Shakespeare (1996), secondo film della trilogia, è ovviamente la poesia il trait d’union tra il cinema e il teatro. Anche in questo film si ritrovano i tratti stilistici che contraddistinguono la quasi totalità delle opere di Luhrmann: il sacrificio per amore, un barocchismo estetico che rende lo spettatore consapevole tanto della creatività della messa in scena quanto della sua finzione. L'opera ripropone la triste vicenda dei due innamorati veronesi, ma in un contesto postmoderno che offre al pubblico una nuova e interessante prospettiva: le spade sono sostituite dalle pistole e le due famiglie sono rivali nel contendersi un grande giro di affari.


Design stravaganti, colori sgargianti, montaggio frenetico e colonna sonora anacronistica raggiungono l’apice nel terzo film della trilogia: Moulin Rouge! (2001). L'aspetto del teatro presente nel film è la musica; David Bowie, Christina Aguilera, Fatboy Slim, Elthon John sono solo alcuni dei grandi nomi contemporanei che partecipano alla colonna sonora del film; una panoplia di artisti, voci e generi capaci di esaltare le dirompenti immagini che Baz Luhrmann gira. Tra montaggio schizofrenico e opulenza visiva dai colori sgargianti, la scelta delle musiche, così anacronistiche rispetto al periodo storico, ci restituisce il senso di finzione tipico dello spettacolo a cui stiamo assistendo.

Se Australia può essere considerato un tentativo del regista di approcciarsi al film con uno stile diverso, con Il grande Gatsby, film di apertura del Festival di Cannes 2013, il regista torna a sposare quello stile ormai divenuto un vero e proprio marchio di fabbrica. Anche in questa pellicola il periodo storico in cui si svolge la vicenda viene contaminato da elementi contemporanei; da Jay-Z & Kanye West a Beyoncé, dai Florence and the Machine a Lana Del Rey, sono tantissime le pop star che contribuiscono alla colonna sonora del film. È interessante notare come i testi di pezzi come Over the Love ricalchino alcuni passaggi dell'omonimo romanzo (1925) di Francis Scott Fitzgerald: in questo caso sia le pagine del libro, sia la canzone, sia la messa in scena ci raccontano di un pianoforte, di una ragazza vestita di giallo e di una dai capelli rossi (cameo di Florence Welch), mentre il ritornello continua a evocare la famosa luce verde.


La musica, nei film di Luhrmann, è utilizzata per sottolineare una situazione di anormalità, serve a evidenziare lo sforzo di personaggi che nuotano controcorrente, opponendosi a ciò che l’etichetta della società impone loro; è la via di fuga che l’artista dà ai propri personaggi, permettendogli di ballare con il loro stile, di comunicarci i loro sentimenti attraverso il canto e di sussurrarci i loro desideri attraverso la poesia.

Simone Manciulli

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