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Il tè nel deserto – L'insondabile mistero di un'esistenza aggrappata all'esterno delle cose
Autore straordinariamente complesso e affascinante del panorama artistico italiano, Bernardo Bertolucci si è sempre confrontato con gli aspetti più chiaroscurali e meno accomodanti delle pulsioni umane, ponendole in relazione con le costrizioni tangibili, le convenzioni precostituite e i codici morali imposti dalla società o, più in generale, dall'ambiente circostante. Un cinema di levatura internazionale, denso di psicanalisi, di riflessione sull'interiorità dell'uomo e di raffinato intellettualismo, che fa della presenza scenica degli attori e del paesaggio due elementi centrali nella messa in scena cinematografica.


- Siamo forse i primi turisti che vengono qui dopo la guerra

- Zitto, Tunner! Noi non siamo turisti, siamo viaggiatori

- Oh! Che differenza c'è?

- Il turista è uno che appena arriva pensa di tornare a casa, Tunner. Mentre il viaggiatore può non tornare affatto...


1947. La coppia di ricchi americani Port (John Malkovich) e Kit (Debra Winger) viaggia lungo il Nord Africa insieme all'amico Tunner (Campbell Scott). L'occasione dovrebbe ravvivare il legame tra i due, ormai in crisi, ma ha l'effetto contrario avvicinando la donna a Tunner. I tre sono destinati a separarsi quando Port si ammala di tifo e Kit si unisce a una carovana di nomadi tuareg spingendosi nel cuore del deserto del Sahara. Adattamento dell'omonimo romanzo (1949) di Paul Bowles, Il tè nel deserto è un viaggio alla scoperta di un universo tanto seducente quanto misterioso, nonché un percorso introspettivo che porta i tre personaggi principali a mettere in dubbio certezze e modi di comportamento acquisiti, interrogandosi su se stessi e sul legame che li lega. La sfarzosa epica del kolossal L'ultimo imperatore (1987) sfuma qui in una riflessione sull'eterno dualismo tra Eros e Thanatos, fulcro centrale nella poetica di Bertolucci. La tendenza autodistruttiva di Port e Kit nella loro vita di coppia è la manifestazione di una insofferenza borghese impossibile da circoscrivere. Il loro mondo rimane un ricordo, una sbiadita cartolina in bianco e nero destinata a entrare in contrasto con gli infiniti spazi ad alta intensità cromatica del deserto. Una coppia convinta che il tempo in realtà non esista, che si rapporta in maniera composta, ma non per questo meno disperata, alla caducità dell'esistenza. «Non siamo mai riusciti a immergerci nella vita fino in fondo. Ci teniamo aggrappati all'esterno delle cose, come se avessimo paura di cadere».



L'esotismo, elemento superficialmente più incisivo e memorabile del film, non mette mai in secondo piano la ricchezza tematica e la profondità quasi spirituale della pellicola, una delle più ostiche e stimolanti di tutta la carriera di Bertolucci. Un melodramma privo di romanticismo, una riflessione sull'amore e sul carico di esasperato individualismo che ciascuna relazione sentimentale porta con sé. L'apertura verso un mondo esterno ed estraneo, il confronto con una cultura diversa, la messa in discussione di un'idea preconcetta di affettività portano Port e Kit a svolgere un cammino tortuoso, interiore e concreto, accompagnati da un "cielo protettivo" (lo Sheltering Sky del titolo originale) e dalla vastità sconfinata del deserto, due elementi smisurati e statici che esaltano per contrasto i turbamenti emotivi dei protagonisti.



Un film dall'alto magistero stilistico, reso indimenticabile anche dal contributo fondamentale della colonna sonora e della fotografia. Da una parte la straordinaria partitura musicale di Ryūichi Sakamoto e Richard Horowitz, che con le sue avvolgenti sonorità contribuisce a ricreare quell'atmosfera di suggestiva perdita (e perdizione) che è al centro della pellicola, dall'altra la magnifica direzione delle luci di Vittorio Storaro, capace di restituire attraverso l'uso espressivo del colore ogni singola sfaccettatura psicologica dei protagonisti. Diviso in due atti cromaticamente opposti di segno (giallo e blu), Il tè nel deserto è un viaggio nella più intima natura dell'uomo, figura centrale nella prima parte del film, e della donna, protagonista quasi in solitaria nella seconda parte. Il Sole, elemento che simboleggia la sfera maschile, domina quando il personaggio attorno a cui ruota la vicenda è Port (il conscio), mentre la Luna, elemento che simboleggia la sfera femminile, domina quando il personaggio attorno a cui ruota la vicenda è Kit (il subconscio).

«Tutto sembra senza limite»: queste le ultime parole del monologo del narratore onniscente (Paul Bowles, doppiato da Enrico Maria Salerno nell'edizione italiana) che chiude un film di sconfinata bellezza, al di là dello spazio e del tempo.

Davide Dubinelli
Maximal Interjector
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