Genitori adottivi al cinema: la paternità è solo una questione di sangue?
18/03/2020
«Vorrei che venisse a vivere con noi. In fondo ha il mio stesso sangue. Dunque un modo ci sarà».
«Il sangue? Antiquato come concetto».
«Antiquato o moderno che sia è questo che significa essere padre».
«Sei proprio rimasto indietro. Devi avere un problema con la figura paterna».

Un dialogo intenso e quantomai significativo, tratto da Father and Son, di Hirokazu Kore-Eda, che permette di introdurre una tematica che negli ultimi anni ha trovato diversi spunti nel mondo del cinema: il vero significato dell’essere un papà. Sono molte le pellicole ad averne parlato, concentrandosi sulla relazione padre-figlio, ma il focus sembra essersi spostato ora sulla delicata differenza tra essere genitore ed essere padre, su cui già Charlie Chaplin aveva invitato a riflettere con Il monello (1921)



Dimostrando una lungimiranza e una sensibilità straordinarie, Chaplin tocca le corde profonde dell’emotività del pubblico, alternando sapientemente azione, comicità, dramma e lieto fine. Il Vagabondo che trova casualmente un neonato abbandonato, crescendolo, prendendosi cura di lui e realizzando col piccolo le celeberrime truffe dei vetri rotti e poi riparati: ecco il primo padre putativo della storia del cinema. Senza alcun legame di sangue, la relazione tra il Vagabondo e il piccolo è solida e forte, unita da un sentimento capace di commuovere gli spettatori grazie alla sua genuintà.



Senza dubbio si tratta di un tema non semplice da trattare e che ha visto alternarsi diversi registi, con altrettanti stili narrativi, che si tratti di live action o animazione, cinema orientale o occidentale, a testimoniarne l’universalità. Nel cinema di supereroi sono diversi gli esempi, a partire dal finale di Spider-Man di Sam Raimi, in cui Peter Parker, occhi negli occhi con Goblin, che prova a far leva sul senso di colpa dell’eroe («Io sono stato un padre per te. Sii un figlio per me, ora»), esclama: «L’ho già avuto un padre. Si chiamava Ben Parker». Lo zio Ben, che lo ha cresciuto insieme a zia May sin dalla tenera età in cui è rimasto orfano. E se in questo caso il legame di sangue è evidente, non lo è invece per Superman, figlio di Jor-El ma a tutti gli effetti cresciuto da un padre chiamato Jonathan Kent, assieme alla moglie Martha. Il padre biologico di Bruce Wayne, Thomas, ha potuto svolgere il suo ruolo di genitore nei primi anni di vita del figlio, come mostrato in Batman Begins di Christopher Nolan, ma negli anni successivi è stato il maggiordomo Alfred Pennyworth ad occuparsi del giovane Bruce: è evidente in Il cavaliere oscuro – Il ritorno, ma anche Lego Batman – Il film dove la relazione padre/figlio si sviluppa addirittura su tre livelli, Barbara/Jim Gordon, Batman/Alfred («la mia figura paterna»), Batman/Robin («mi hijo»). Guardiani della Galassia vol. 2, di James Gunn è un ulteriore esempio: Quill/Starlord trova dopo tanti anni il suo padre biologico, ma non dimentica chi lo ha cresciuto durante tutti gli anni di assenza. Cosa dire, invece, di Sirius Black? Il padrino di Harry Potter, splendidamente portato sul grande schermo da Gary Oldman a partire da Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, che parlando al giovane mago della morte dei suoi genitori appoggia la mano sul suo cuore, dicendo : «Le persone che ci amano non ci lasciano mai veramente. Possiamo sempre ritrovarle. Qui dentro».



Lo stesso avviene con Kung Fu Panda 3, ultimo capitolo della fortunata trilogia firmata DreamWorks, in cui Po, dopo due film e tanti anni vissuti con Mr. Ping, conosce finalmente il suo vero padre, ossia Li Shan. Da piccoli dialoghi si capisce come la tematica sia centrale: quando Po scopre che Mr. Ping lo ha seguito nel viaggio con Li Shan, esclama «Papà, che ci fai qui?» «E se i panda non hanno il cibo che ti piace?!»: conoscenza, cura, affetto. E il termine papà che non muta nonostante abbia scoperto da tempo di essere stato adottato. La saggezza dell’oca cignoide che, nel momento della difficoltà mette da parte l’umana gelosia e si cofronta con Li Shan: «Ha bisogno di entrambi i suoi papà».



Rimanendo in oriente e tornando a Father and Son, sono diversi i dialoghi e le sequenze significative, in un’opera toccante e profonda, tanto vera nel mostrare le relazioni familiari, senza cadere nel patetismo e nella retorica. Particolarmente incisivo il dialogo tra i due padri, che si confrontano:  

«Alla fine uno rischia di non godersi più niente. Voglio dire, prendi questi 6 mesi: ho passato più tempo io con Keita che tu in 6 anni».
«Non credo che sia solo questione di tempo».
«Ma che dici? Per i bambini è solo questione di tempo».
«Non sono in tanti in grado di fare il mio lavoro».
«E nessuno tranne te sa fare il padre di tuo figlio».

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