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Godless: Scott Frank rilegge il western portandolo nella contemporaneità

“Non c’è nessuno là in alto in grado di proteggere te o i tuoi figli. No, questo è il paradiso delle locuste, delle lucertole e dei serpenti. È la terra della spada e del fucile. La terra senza Dio.”

Una terra, quella del Far West, che rivive grazie a Steven Soderbergh (produttore) e Scott Frank (sceneggiatore e regista), con quest’ultimo che conferma quanto di buono mostrato con Logan – The Wolverine riuscendo a donare nuova linfa vitale ad un genere, il western, ormai rarissimo, soprattutto sul piccolo schermo. Dopo un primo episodio di ottima fattura, nel quale spicca un incipit folgorante, la serie mantiene un discreto livello tecnico, artistico ed estetico – tra campi lunghi, dettagli sugli sguardi e primissimi piani – che la eleva tra le produzioni più interessanti dell’ultimo anno su Netflix. Un western atipico, ambientato nell’800 ma che trova le sue radici nella nostra contemporaneità: se è vero che ciò che si attende, come nelle opere più classiche, è la resa dei conti tra Roy Goode (Jack O’Connell) e Frank Griffin (Jeff Daniels), allo stesso tempo il ruolo della donna è dominante nella serie.

 

Non solo per la protagonista, Alice Fletcher (Michelle Dockery), una donna coraggiosa e capace di usare le armi come e meglio di un uomo – ne è dimostrazione che quasi uccide Roy nel primo episodio – ma è tutta la città di La Belle ad essere protagonista dell’opera. Una città di sole donne, dopo che tutti gli uomini, o quasi, hanno perso la vita in miniera, a seguito di un tragico incidente. Una città in cui le donne sanno difendersi: sono finiti i tempi in cui nel western la donna è spettatrice degli eventi, o vittima impotente, ostaggio di malviventi disposti a tutto. Ora le donne usano le armi, si difendono, lottano per proteggere la loro città, i loro cari, sé stesse. Questa la grande rilettura del genere da parte di Scott Frank, capace di concepire una sceneggiatura solida, sviluppata su 7 episodi in crescendo, fino ad arrivare all’atteso finale, all’altezza delle aspettative.

 

Lodevole anche il lavoro svolto sui personaggi, dai protagonisti a quelli secondari, sui quali spicca il giovane vice sceriffo Whitey Winn, interpretato da Thomas Brodie-Sangster. Il dramma dello sceriffo Bill McNue (Scott McNairy), da tutti erroneamente ritenuto un vigliacco, è ben approfondito, come del resto avviene per Alice e Roy, cui Frank dedica diverse sequenze in flashback realizzate con una fotografia desaturata capace di impreziosire gli eventi narrati, costituendo un valore aggiunto a livello estetico, a volte presentati nel totale silenzio, perché possano parlare le immagini in maniera più immediata. Lo stesso temibile Griffin – interpretato da un Jeff Daniels convincente col suo sguardo stanco e intriso di malinconia – è capace di lasciare dietro di sé una scia di sangue senza pietà, come dimostra lo sterminio con cui si apre la serie, eppure nel suo modo di agire c’è una sorta di codice, una moralità di fondo che gli permette di agire in maniera inaspettata agli occhi dello spettatore, risultando anche capace di mostrare clemenza.

 

Tutti hanno un passato doloroso alle spalle, eppure a conti fatti ci si trova di fronte ad una serie a lieto fine, anche se non nel modo che ci si potrebbe immaginare, ulteriore elemento capace di impreziosire una produzione a tratti sorprendente. Nella terra senza Dio, intrisa di morte e di sofferenza, trova quindi spazio una ricompensa terrena e una pace per i protagonisti, dove non mancano le sorprese ma dove tutto ha una sua coerenza, una sua logica, una sua legge. La legge del Far West.

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