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Gran Torino – Il passaggio del testimone in un ultimo duello
Sembra di trovarsi davanti le pagine di un libro di Cormac McCarthy guardando Gran Torino di Clint Eastwood.

La profondità della scrittura, la descrizione visiva degli ambienti, i dialoghi scarni ed essenziali sembrano infatti uscire direttamente dalla penna del grande scrittore americano.

Il passaggio generazionale, in un paese “non più per vecchi”, è sempre stata una delle tematiche più trattate e sviluppate da McCarthy nel corso della sua carriera: se nel suo La strada il simbolo di questo passaggio era il fuoco, la fiaccola presente anche nel romanzo trasposto con successo dai fratelli Coen, in Eastwood l’oggetto che decreta la trasmissione fra generazioni è un’automobile, la Ford Gran Torino che dà anche il titolo al film.

Questo simbolo non viene passato semplicemente al proprio figlio, ma alla persona che più delle altre riesce a meritarlo, a chi “porta il fuoco” avrebbe scritto McCarthy. Questa persona meritevole, in Gran Torino, è un ragazzino di origine cinese con il quale il vecchio razzista Walt Kowalski riesce a instaurare un rapporto che con i suoi figli non è mai riuscito ad avere.

Una relazione talmente sincera e umana da essere degna perfino di un sacrificio finale del protagonista per preservare l’integrità morale del suo erede.

Gran Torino è però soprattutto un film eastwoodiano. Ai tempi sarebbe dovuto essere l’ultimo lungometraggio da attore del grande regista, ma fortunatamente sappiamo che non è andata così…

Eppure rivedendo questa pellicola si sente ugualmente tutto quel sapore testamentario che si può ritrovare nella costruzione del personaggio principale, Walt Kowalski, vera e propria summa di tutte le figure interpretate da Eastwood nel corso della sua lunga carriera: vi è tutta l’aggressività dell’ispettore Callaghan, tutta la solitudine del cowboy senza nome della “trilogia del dollaro” fino alla grande umanità e forza di Frankie Dunn, la sua precedente interpretazione, in cui insegnava a combattere e a vivere (proprio come fa Walt con Thao) a Maggie nel suo capolavoro Million Dollar Baby.

Anche Walt Kowalski è infatti un antieroe, l’archetipo eastwoodiano per eccellenza, presente nel selvaggio west così come nell’America contemporanea, riuscendo così a raccontarci anche le contraddizioni e l’imbarbarimento degli anni in cui stiamo vivendo.

Antieroi che erano anche i soldati del bellissimo Flags of Our Fathers, trasformati in eroi nazionali per essere apparsi casualmente in una celebre fotografia.

Il funerale finale simboleggia quindi la morte, non solo di Kowalski, ma dell’icona Eastwood: sembra davvero un primo annuncio che presto non vedremo più sullo schermo il suo volto, non sentiremo più le sue battute…un annuncio che verrà ripetuto in quel magnifico sguardo in macchina de Il corriere – The Mule, altro lungometraggio testamentario che dovrebbe rappresentare la sua ultima prova d’attore.

Quello di Gran Torino resta a ogni modo un canto del cigno della sua immagine che si è concluso nell’unico modo possibile: con un duello.

Un duello nel quale questa volta Eastwood ha deciso di presentarsi senza pistole, decidendo così esplicitamente di far morire la sua immagine, la sua icona e la sua grande presenza scenica. Un duello in cui, questa volta, non ha voluto che neppure Lee Van Cleef venisse a salvarlo.



Andrea Chimento

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