Michael Myers: il regno del terrore dell'icona horror creata da John Carpenter
05/09/2021

Malocchio e gatti neri, malefici misteri/il grido di un bambino bruciato nel camino/nell'occhio di una strega, il diavolo s'annega/e spunta fuori l'ombra: l'ombra della strega!/La vigilia d'Ognissanti han paura tutti quanti:/è la notte delle streghe!/(Chi non paga presto piange!)

«Siamo stati entusiasti dell’accoglienza che nel 2018 Halloween ha ricevuto in tutto il mondo, per cui abbiamo deciso di espandere il nostro racconto con Halloween Kills, facendo un film più grande, più cattivo e più folle del precedente. Dopo tutto si intitola Halloween Kills, quindi ci siamo dovuti assicurare che fosse all’altezza delle aspettative. Questo è il film più d’azione che mi sia capitato di girare. Non c’è una scena tranquilla, è pieno di angoscia, pugnalate, incendi e cose che vengono distrutte, ed è diverso da qualsiasi altro film di Halloween che i fan abbiano mai visto prima. Siamo onorati che la Mostra del Cinema di Venezia sia il luogo della nostra presentazione internazionale. Non avremmo potuto scegliere una città migliore, o più bella, per dare inizio al nostro regno di terrore»: queste le parole di David Gordon Green, regista di Halloween Kills, nuovo capitolo (il secondo di una nuova trilogia) dedicato alla saga creata nel 1978 da John Carpenter e presentato Fuori Concorso a Venezia 78. Il precedente Halloween, sequel diretto del cult carpenteriano, aveva volutamente ignorato tutti i film precedenti (molti dei quali decisamente non necessari, a dire il vero), concentrandosi sul nuovo incontro/scontro tra Laurie Strode (nome della prima fidanzata di Carpenter) e Myers (non senza qualche interessante stravolgimento di prospettiva) ed esaltando il girl power (ascendenze da Me Too, senza dubbio) tramite una generazine di donne che combatte il Mostro; lotta in cui gli uomini sono ridondanti quando non addirittura dannosi. Ma cosa è avvenuto prima di David Gordon Green?



«L'ho incontrato quindici anni fa, era come svuotato; non capiva, non aveva coscienza, non sentiva, anche nel senso più rudimentale, né gioia, né dolore, né male, né bene, né caldo, né freddo. Spaventoso. Un ragazzo di sei anni con una faccia atona, bianca, completamente spenta; e gli occhi neri... gli occhi del Diavolo. Per otto anni ho tentato di riportarlo a noi, ma poi per altri sette l'ho tenuto chiuso, nascosto, perché mi sono reso conto con orrore che dietro quegli occhi viveva e cresceva... il male»: è lo stesso dottor Sam Loomis (nome che è un omaggio a Psyco di Alfred Hitchcock e al personaggio interpretato da John Gavin) alias Donald Pleasence a dare la definizione calzante di Michael, giovanissimo omicida che si trasforma in incubo incarnato per la cittadina di Haddonfield, Illinois. Al suo terzo lungometraggio (girato in 21 giorni e con un budget di 320.000 dollari) Carpenter raggiunge uno dei punti più alti della sua carriera, confezionando uno degli archetipi dello slasher e consacrando il suo protagonista nell'Olimpo delle icone horror più famose di tutti i tempi. Con una maschera pallida, fredda e inespressiva e un'invulnerabilità quasi metafisica nel suo divenire e stigmatizzarsi, Carpenter riesce a dare forma e corpo al Male nella più pura e completa accezione del termine, inarrestabile, incomprensibile, senza volto (o quasi: nel film si intravede il viso di un Myers interpretato, tra i molti, da Tony Moran, fratello della più famosa Erin di Happy Days).



Il successo è planetario, i sequel immediati: nel 1981 esce Il signore della morte, pedestre tentativo di replica sceneggiato da uno svogliato Carpenter e diretto da Rick Rosenthal. La novità si fa già schema, con un anonimo killer che uccide meccanicamente e una generale impressione di sciatteria. Unico elemento di reale interesse, la scoperta del legame di sangue tra Michael e Laurie, indubbiamente di impatto anche se penalizzante nello scalfire l'aura di inspiegabile ferocia del boogeyman Myers. Seguono Halloween III – Il signore della notte (1982), che condivide esclusivamente il titolo con la saga (data l'assenza di Myers) e che si concentra sul mistero che circonda la fabbrica Silver Shamrock, produttrice di costumi e maschere di Halloween; Halloween 4 – Il ritorno di Michael Myers (1988), il cui altisonante sottotitolo tradisce tutte le intenzioni della produzione, ovvero recuperare (con uno sguardo agli incassi) i precedenti fasti del capstipite; Halloween 5 – La vendetta di Michael Myers (1989), che si permette di azzardare un ritorno alle origini e ambienta la parte conclusiva della vicenda in casa Myers, teatro degli eventi narrati da Carpenter; Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers (1995), esecrabile pastiche dalle ridicole velleità esoteriche, parodia del culto popolare creatosi attorno alla figura di Myers tra i fan dell'horror; Halloween – 20 anni dopo (1998), operazione nostalgia diretta da Steve Miner che ripresenta Laurie Strode, ormai adulta ma nel profondo ancora tormentata dai ricordi degli orrori della propria adolescenza; Halloween – La resurrezione (2002), in cui Myers rivolge le proprie attenzioni alle nuove generazioni svezzate da internet e dall'avvento dei reality show.



Come distruggere un'icona, verrebbe da dire. A risollevare le sorti di Myers arriva nel 2007 Rob Zombie, autore di una "biografia re-immaginata", un personalissimo e sentito omaggio oltre che un'operazione di rara intelligenza cinefila, che analizza l'infanzia del killer in Halloween – The Beginning, riuscendo a rileggere la vicenda, e soprattutto il personaggio, senza snaturarlo, allontanandosi contemporaneamente dal modello originario di uomo-macchina programmata per uccidere. Dietro ai suoi silenzi e alle sue maschere, Michael cela un'anima straziata dal suicidio della madre e dalla perdita precoce dell'innocenza. Il Myers di Zombie è un bambino di due metri che vuole attirare l'attenzione, disperatamente solo: lo si potrebbe definire un costume di Halloween ambulante che uccide gli adulti impuri ma rispetta l'infanzia, il suo sancta sanctorum dove ha rinchiuso per sempre il proprio residuo di umanità.



Un risultato che stupisce appassionati e neofiti e che spinge Zombie a proseguire il percorso: nel 2009 esce Halloween II, in cui il regista spinge l'acceleratore sul tasto onirico e trasforma questo secondo capitolo in un incontro tra un classico slasher e una sequela di visioni poetiche di indubbio fascino. Sospeso tra realtà e dimensione mentale, Michael incontra se stesso bambino, l'angelica madre e il cavallo bianco (“white mare”, richiamo al concetto nightmare, letteralmente la “giumenta della notte”) che simboleggia la sua purezza perduta. Un inno alla famiglia («Family is forever»), ancorché sui generis, che sembra essere l'unico rifugio possibile dalla brutalità di un mondo interessato solo al profitto.



Infine David Gordon Green e la sua nuova trilogia, iniziata nel 2018 e destinata a concludersi nel 2022 con Halloween Ends.
Ancora una volta, he came home.

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