I trionfi del cinema italiano all'estero negli ultimi trent'anni
31/01/2021
30 anni fa esordiva nelle sale cinematografiche italiane Mediterraneo (1991), diretto da Gabriele Salvatores. Capitolo conclusivo della "trilogia della fuga", il film è riassunto dal pensiero del filosofo francese Henri Laborit: «In tempi come questi la fuga è l'unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare» e dalla didascalia finale «Dedicato a tutti quelli che stanno scappando». Il film fu un vero e proprio successo, riuscì a guadagnarsi l'Oscar come miglior film straniero, tre David di Donatello e il Nastro d'argento al regista del miglior film. Vogliamo quindi ripercorrere i successi delle opere nostrane in patria e all'estero negli ultimi trent'anni, un salto in un passato (non poi così remoto) volto a ricordare che il cinema italiano può ancora dire la sua.
La casa del sorriso (1991), diretto da Marco Ferreri. Commedia sentimentale dalle venature grottesche, tipicamente ferreriana per forma (una stilizzazione straniante, calibrata da una linearità narrativa più accentuata rispetto alla destrutturazione di altre opere) e contenuto (le demenziali dinamiche che seguono alla storia d'amore tra Adelina e Andrea, tra cui l'utilizzo di una dentiera puntuta). L’opera di Ferreri riuscì a vincere l’Orso d’oro al Festival di Berlino.
La vita è bella (1997), diretto da Roberto Benigni. L'opera più ambiziosa e universale realizzata da Roberto Benigni, regista e sceneggiatore (insieme a Vincenzo Cerami) di una fiaba intimista che riesce a trasfigurare una delle pagine storiche più devastanti del ventesimo secolo. L'Olocausto viene affrontato con una delicatezza capace di sfociare nella poesia, spostando il focus dall'orrore dello sterminio (mai banalizzato, nonostante rimanga fuori campo) al coraggio di un'umanità che non vuole vedere calpestata la propria dignità per poter continuare a sperare in un futuro migliore. Il film ebbe un grande successo e si conquistò 3 premi Oscar (film straniero, attore protagonista, colonna sonora) più altre quattro nomination (film, regia, sceneggiatura, montaggio), 8 David di Donatello, 5 Nastri d'argento, premio César per il miglior film straniero, BAFTA al miglior attore protagonista, Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes e Premio del pubblico al Toronto International Film Festival.
La stanza del figlio (2001), diretto da Nanni Moretti. Un esempio magistrale di cinema del dolore, in cui la temperatura emotiva è sempre sorvegliata e mai urlata, con una gestione ammirevole di una materia controversa e scivolosa. In parte è una risposta a quanti accusavano Moretti di fare cinema solo su sé stesso e per stesso, ma la realtà è molto più complessa: è la sfida, campale e impegnativa, di un autore ambizioso che s'è messo in testa l'obiettivo di sfidare anche il tabù del lutto, ma con umiltà e senza il petto in fuori di chi la sa lunga. Il film ricevette grandi consensi all’estero, compresa quella Palma d'oro a Cannes tanto agognata dal regista.
Cesare deve morire (2012), diretto da Paolo e Vittorio Taviani. Prodigiosa opera dei Taviani che trova nella struttura, si direbbe quasi da reality show, una chiave di interpretazione inedita per una delle maggiori opere del Bardo. Grande successo alla Berlinale, il film vinse infatti l’Orso d’oro.
La grande bellezza (2013), diretto da Paolo Sorrentino. Omaggio alla Dolce Vita felliniana, ritratto impietoso della vuotezza estetizzante della società borghese contemporanea, galleria meravigliosa di una capitale languida e agonizzante, poema sull'inutilità della vita e sulla tragedia dell'invecchiamento: La grande bellezza, nel suo girovagare ebbro e sonnolento da una terrazza all'altra della Roma bene, è tutto questo e molto di più. Grande successo di critica e pubblico in tutto il mondo, il film riuscì a conquistare l’Oscar come migliore film straniero.
Fuocoammare (2016), diretto da Gianfranco Rosi. Documentario che si propone di sviscerare una tra le piaghe sociali più scottanti e attuali, quella dell'immigrazione. Tuttavia, bastano pochi minuti per intuire quanto l'attenzione del regista italiano non sia rivolta esclusivamente alle difficoltà di un viaggio disperato e lacerante, quanto piuttosto a raccontare una realtà stratificata e complessa come quella della quotidianità vissuta dagli abitanti di Lampedusa. Vincitore dell'Orso d'oro al 66° Festival di Berlino.
Chiamami col tuo nome (2017), diretto da Luca Guadagnino. Film in cui l'amore diventa espressione di uno stato d'animo che vuole e deve rifiutare il pregiudizio e la repressione dei sentimenti, come se il "fantasma della libertà", suggerito anche dal riferimento al film di Buñuel, si dovesse fare largo dall'effimera spensieratezza degli anni '80, costantemente velata di malinconia. L’opera riuscì a conquistare un Oscar per la miglior sceneggiatura non orginale più altre tre nomination: film, attore protagonista (Timothée Chalamet) e canzone originale (Mystery of Love di Sufjan Stevens).
Fra i titoli che invece non sono riusciti a trionfare nella categoria principale nei festival esteri ma che hanno avuto una buonissima distribuzione oltre i confini del Bel paese, o che sono comunque riusciti a guadagnarsi altri premi, troviamo i seguenti titoli.
Perfetti sconosciuti (2016), diretto da Paolo Genovese. Commedia agrodolce e a tratti cinica. Grande successo all’estero: 18 remake in tutto il mondo.
Lazzaro felice (2018), diretto da Alice Rohrwacher. Premio per la miglior sceneggiatura a Cannes, ex aequo con Three Faces (2018) di Jafar Panahi.
Dogman (2018), diretto da Matteo Garrone. Lo straordinario protagonista Marcello Fonte ha meritatamente ottenuto il premio come miglior attore del Festival di Cannes 2018.
Il Primo Re (2019), diretto da Mattero Rovere. Un film di fango, lacrime e sangue, di ferina brutalità, che sembra non voler incontare a tutti i costi i gusti del grande pubblico ma che ha avuto una discreta circuitazione all'estero e ispirato la serie Romulus, con lo stesso Rovere a fare da showrunner.
La casa del sorriso (1991), diretto da Marco Ferreri. Commedia sentimentale dalle venature grottesche, tipicamente ferreriana per forma (una stilizzazione straniante, calibrata da una linearità narrativa più accentuata rispetto alla destrutturazione di altre opere) e contenuto (le demenziali dinamiche che seguono alla storia d'amore tra Adelina e Andrea, tra cui l'utilizzo di una dentiera puntuta). L’opera di Ferreri riuscì a vincere l’Orso d’oro al Festival di Berlino.
La vita è bella (1997), diretto da Roberto Benigni. L'opera più ambiziosa e universale realizzata da Roberto Benigni, regista e sceneggiatore (insieme a Vincenzo Cerami) di una fiaba intimista che riesce a trasfigurare una delle pagine storiche più devastanti del ventesimo secolo. L'Olocausto viene affrontato con una delicatezza capace di sfociare nella poesia, spostando il focus dall'orrore dello sterminio (mai banalizzato, nonostante rimanga fuori campo) al coraggio di un'umanità che non vuole vedere calpestata la propria dignità per poter continuare a sperare in un futuro migliore. Il film ebbe un grande successo e si conquistò 3 premi Oscar (film straniero, attore protagonista, colonna sonora) più altre quattro nomination (film, regia, sceneggiatura, montaggio), 8 David di Donatello, 5 Nastri d'argento, premio César per il miglior film straniero, BAFTA al miglior attore protagonista, Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes e Premio del pubblico al Toronto International Film Festival.
La stanza del figlio (2001), diretto da Nanni Moretti. Un esempio magistrale di cinema del dolore, in cui la temperatura emotiva è sempre sorvegliata e mai urlata, con una gestione ammirevole di una materia controversa e scivolosa. In parte è una risposta a quanti accusavano Moretti di fare cinema solo su sé stesso e per stesso, ma la realtà è molto più complessa: è la sfida, campale e impegnativa, di un autore ambizioso che s'è messo in testa l'obiettivo di sfidare anche il tabù del lutto, ma con umiltà e senza il petto in fuori di chi la sa lunga. Il film ricevette grandi consensi all’estero, compresa quella Palma d'oro a Cannes tanto agognata dal regista.
Cesare deve morire (2012), diretto da Paolo e Vittorio Taviani. Prodigiosa opera dei Taviani che trova nella struttura, si direbbe quasi da reality show, una chiave di interpretazione inedita per una delle maggiori opere del Bardo. Grande successo alla Berlinale, il film vinse infatti l’Orso d’oro.
La grande bellezza (2013), diretto da Paolo Sorrentino. Omaggio alla Dolce Vita felliniana, ritratto impietoso della vuotezza estetizzante della società borghese contemporanea, galleria meravigliosa di una capitale languida e agonizzante, poema sull'inutilità della vita e sulla tragedia dell'invecchiamento: La grande bellezza, nel suo girovagare ebbro e sonnolento da una terrazza all'altra della Roma bene, è tutto questo e molto di più. Grande successo di critica e pubblico in tutto il mondo, il film riuscì a conquistare l’Oscar come migliore film straniero.
Fuocoammare (2016), diretto da Gianfranco Rosi. Documentario che si propone di sviscerare una tra le piaghe sociali più scottanti e attuali, quella dell'immigrazione. Tuttavia, bastano pochi minuti per intuire quanto l'attenzione del regista italiano non sia rivolta esclusivamente alle difficoltà di un viaggio disperato e lacerante, quanto piuttosto a raccontare una realtà stratificata e complessa come quella della quotidianità vissuta dagli abitanti di Lampedusa. Vincitore dell'Orso d'oro al 66° Festival di Berlino.
Chiamami col tuo nome (2017), diretto da Luca Guadagnino. Film in cui l'amore diventa espressione di uno stato d'animo che vuole e deve rifiutare il pregiudizio e la repressione dei sentimenti, come se il "fantasma della libertà", suggerito anche dal riferimento al film di Buñuel, si dovesse fare largo dall'effimera spensieratezza degli anni '80, costantemente velata di malinconia. L’opera riuscì a conquistare un Oscar per la miglior sceneggiatura non orginale più altre tre nomination: film, attore protagonista (Timothée Chalamet) e canzone originale (Mystery of Love di Sufjan Stevens).
Fra i titoli che invece non sono riusciti a trionfare nella categoria principale nei festival esteri ma che hanno avuto una buonissima distribuzione oltre i confini del Bel paese, o che sono comunque riusciti a guadagnarsi altri premi, troviamo i seguenti titoli.
Perfetti sconosciuti (2016), diretto da Paolo Genovese. Commedia agrodolce e a tratti cinica. Grande successo all’estero: 18 remake in tutto il mondo.
Lazzaro felice (2018), diretto da Alice Rohrwacher. Premio per la miglior sceneggiatura a Cannes, ex aequo con Three Faces (2018) di Jafar Panahi.
Dogman (2018), diretto da Matteo Garrone. Lo straordinario protagonista Marcello Fonte ha meritatamente ottenuto il premio come miglior attore del Festival di Cannes 2018.
Il Primo Re (2019), diretto da Mattero Rovere. Un film di fango, lacrime e sangue, di ferina brutalità, che sembra non voler incontare a tutti i costi i gusti del grande pubblico ma che ha avuto una discreta circuitazione all'estero e ispirato la serie Romulus, con lo stesso Rovere a fare da showrunner.