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Il cinema di Bong Joon-ho: in bilico fra Oriente e Occidente

Un grande punto di forza del cinema di Bong Joon-ho è quello di saper sapientemente amalgamare un’anima dalle venature orientali a uno sguardo occidentale. Le opere e i progetti a cui il regista di Taegu sceglie di lavorare sono, in questo senso, esemplificativi: si passa da pellicole maggiormente intimiste e radicate, sia per genere e tematiche, in quella che è la cultura orientale, a film dal più ampio respiro occidentale.
Tenendo quindi bene a mente queste due anime, che convivono in maniera sinergica all’interno della filmografia di Bong Joon-ho, viene spontaneo accostare due film che affrontano la tematica della lotta di classe con due sguardi molto differenti: uno occidentale; l’altro orientale.

I due lungometraggi che vogliamo prendere in considerazione sono, ovviamente, Snowpiercer (2003) e Parasite (2019). Ad accumunare le due pellicole è il tema politico, elemento pregnante su cui ruota la riflessione del regista; diverso è invece il modo in cui Bong sceglie di mettere in scena queste tematiche, andando a creare due opere fortemente polarizzate.

Snowpiercer è un film molto più vicino alla nostra cultura e questa contaminazione occidentale è presente fin dalle fasi produttive (co-produzione USA-Sud Corea). La lotta di classe viene sbattuta in faccia allo spettatore, si respira aria di rivoluzione. Nella messa in scena risulta lampante lo svolgimento orizzontale che ha il film: il treno altro non è che una metafora della struttura gerarchica sociale. I ricchi e i potenti hanno il controllo della locomotiva e dei primi vagoni, mentre i poveri sono rilegati in coda. La rivolta avviene avanzando sul piano orizzontale, nell’effimera speranza di poter raggiungere la testa del treno e poter quindi sovvertire l’ordinamento sociale. Risulta importante però concentrarsi sul fatto che la scintilla della rivoluzione sia stata architettata proprio da chi detiene il potere: questo elemento ci descrive una società che ha coscienza di ogni suo vagone, un mondo in cui chi regge le fila di questo grottesco teatro degli orrori vede e conosce il ruolo di chi risiede in coda al treno. Questo sviluppo orizzontale ci suggerisce che, pur appartenendo a classi sociali differenti, i passeggeri sono tutti sullo stesso piano. Le rivolte, in questo senso, diventano una naturale dinamica del sistema, volte a perpetrare lo status quo.

Il modo in cui Bong decide di mettere in scena Parasite è, invece, totalmente agli antipodi con il film precedente. Il film si apre e si chiude con una carrellata verticale, dall’alto verso il basso. Questa scelta stilistica ci suggerisce l’andamento dell’intero film, andando ad amalgamare forma e contenuto. La lotta di classe non è messa in scena con tracotante dirompenza, anzi, la struttura del film è raffinata ed elegante. Lo sguardo con cui Bong dirige è molto orientale, non a caso la percezione che abbiamo noi occidentali è quella di assistere a una fiaba nera, grottescamente aliena rispetto ciò a cui siamo abituati. Se Snowpiercer si sviluppa in orizzontale, Parasite gioca con il piano verticale: esemplificativa la magnifica fuga della famiglia sotto il diluvio, una vorticosa discesa verso i piani bassi della società. Proprio questa verticalità ci suggerisce come ricchi e poveri appartengano, in realtà, a due mondi differenti. Non esiste una reale percezione e comprensione l’uno dell’altro (come avveniva in Snowpiercer), anzi: le due famiglie sono l’una per l’altra una visione impalpabile della quale sfugge la vera essenza, più simili a spettri che a persone vere (non è un caso che il bambino scambi l’inquilino della cantina per un fantasma). La violenza manifesta di una lotta di classe a cui siamo abituati lascia qui spazio a un modo di raccontare i vari dislivelli fra classi molto più ricercato, in grado di legarsi maggiormente alla tradizione orientale: questi due mondi costituiscono nel loro insieme un organismo che trae nutrimento dal perpetuo atto parassitario.

Simone Manciulli

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