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Il cinema di Rainer Werner Fassbinder - Le vostre analisi!
Al termine del webinar dedicato al cinema di Rainer Werner Fassbinder abbiamo chiesto ai partecipanti di scrivere un'analisi relativa alla filmografia di questo importante autore, considerato di culto da intere generazioni di cineasti. Ecco le più interessanti:

Specchi e riflessi in Querelle de Brest
di Martina Cossia Castiglioni

Di Querelle, visto per la prima volta al cinema, resta soprattutto il ricordo di «un’atmosfera». Cieli arancioni e gialli, una luce quasi crepuscolare e una scenografia di stampo teatrale. 
A distanza di quarant’anni è ancora questo, forse, il maggior fascino della pellicola. Fassbinder voleva che l’ambiente che faceva da sfondo al suo adattamento del romanzo di Jean Genet fosse ricostruito interamente in studio, in un unico set. Le scenografie di Rolf Zehetbaner e la fotografia di Xaver Schwarzenberger danno vita a un luogo fuori dal tempo, a un paesaggio surrealista, come lo definì lo stesso regista. 
Ma Querelle è anche un film di specchi, di vetrate, di riflessi. Il bordello La Feria ne è pieno. C’è uno specchio dietro il banco del bar, specchi nella sala del locale e nella stanza in cui Lysiane (Jeanne Moreau) si apparta con Robert (l’attore austriaco Hanno Pöschl) e poi con Querelle (l’americano Brad Davis). Specchi in cui noi spettatori vediamo riflessi alcuni dei protagonisti o dove talvolta alcuni dei personaggi guardano gli altri. È nello specchio che il poliziotto Mario osserva Lysiane ballare con Robert; quando quest’ultimo e Querelle cercano di picchiarsi fuori dal bordello, Jeanne Moreau vede la loro immagine riflessa nello specchio del locale.
Ben lontano dall’essere solo un elemento scenografico, lo specchio, da un punto di vista simbolico, è legato al tema dell’identità. Dopo aver accoltellato Vic, Querelle si lava le mani insanguinate in un barile e vede il proprio riflesso deformato dai movimenti dell’acqua, ed è come se non riuscisse a riconoscersi in quel nuovo viso, quello del Querelle assassino.  
Nel corso della pellicola la metafora identitaria diventa un complesso gioco di doppi.
In un momento di intimità Lysiane dice a Robert: «Ogni specchio ti restituisce l’immagine di tuo fratello. Vivi all’ombra di tuo fratello, non vivi che per lui, e lui non vive che attraverso di te». 
In un’altra, splendida scena, questa metafora si traduce anche nella forma. Querelle e Robert si fronteggiano, con i coltelli in mano, muovendosi quasi come in una danza. Compiono gli stessi gesti, all’unisono, sono esattamente l’uno lo specchio dell’altro.
D’altronde nel film, come nel romanzo, la somiglianza tra i due fratelli (legati da un rapporto d’amore–odio) viene sottolineata più di una volta. Eppure Fassbinder decide di dare il volto dell’attore Hanno Pöschl (che già interpreta Robert) non al personaggio di Querelle ma a quello di Gil, l’operaio che uccide il collega Theo. Poco a poco Querelle se ne innamora e dopo averlo baciato lo chiama «fratello», perché entrambi hanno assassinato qualcuno. Si offre di aiutarlo a fuggire, gli dà una pistola e un paio di baffi finti con i quali l’operaio ora è davvero uguale a Robert. Nonostante sia attratto da lui, Querelle alla fine denuncia Gil, che si attribuisce la responsabilità di entrambi i delitti.
Specchi, vetrate e riflessi sono legati anche al tema dello sguardo, soprattutto attraverso il personaggio del capitano Seblon (Franco Nero). Sin dalle prime scene della pellicola il capitano osserva dalla sua cabina di comando i marinai che lavorano sul ponte della nave, registrando su un nastro i suoi pensieri più intimi. Segretamente innamorato di Querelle, sembra volerlo seguire, spiarne la vita, ma sempre a distanza. Lo guarda da fuori, attraverso le vetrate della Feria. Di fatto Seblon frappone sempre tra sé stesso e l’oggetto del suo sguardo (e del suo desiderio) una barriera, un vetro. Le poche volte che lui e Querelle sono uno di fronte all’altro in genere è quest’ultimo ad avvicinarsi al capitano, conscio del sentimento che questi prova per lui. Perché sebbene stia dall’altra parte di uno schermo, che sia la cabina o sia la porta del bordello, anche Seblon può essere visto, osservato. Ma forse nascondersi dietro a un vetro è l’unico modo, per i protagonisti dell’ultimo film di Fassbinder, per non farsi del male.    

Rainer Werner Fassbinder ed il suo cinema 
di Adele D'Ippolito

Uomo complesso che può sicuramente essere sovrapposto al suo modo di fare cinema. Uomo geniale e problematico come il suo cinema scarno teatrale e fuori da ogni regola. È necessario inquadrarlo nel periodo e nel contesto in cui è vissuto, andrebbe fatto con ogni artista perché permette una migliore comprensione.
Vive dal 1945 al 1982, perciò nasce a fine guerra in Baviera. Germania sconfitta e divisa, la parte non sotto il controllo della Russia caratterizzata da circolazione di droghe e libertà estrema. Fassbinder principalmente, un po' come tutti i personaggi genialoidi, era un uomo solo e un po' per la sua omosessualità, forse in quella Germania aperta, accettata ma nascosta 'sotto il tappeto', Fassbinder parla, invece, racconta tutto attraverso la sua arte. Sa quello che fa, i suoi film anche se non si amano non si può fare a meno di notare quanto siano girati con perizia ed eleganza, che a volte contrastano col racconto.
Si può pensare che questa dicotomia sia voluta, che sia proprio il suo modo di raccontare. Elemento sempre presente è lo specchio, a volte mette grazie ad esso sullo stesso piano i due personaggi che parlano. lo specchio è il vedersi ma anche il vedere attraverso... è un modo di spostare i piani, non c'è il personaggio che parla in camera con lo spettatore, anzi noi talvolta vediamo chi parla dallo specchio mentre si trova altrove. Questo allontana lo spettatore dai personaggi provocando poca empatia verso di loro, ma allo stesso tempo il distacco utile per apprezzare maggiormente il valore della sua tecnica. A differenza di altri registi non si può identificare con un suo film perché sarebbe limitante, i film sono tanti e differenti, i due motivi sempre presenti sono la tecnica registica e un po' di Fassbinder stesso, sempre sceneggiatore dei suoi film, quindi presente nei vari personaggi. Fassbiner metteva in pellicola o sul palcoscenico, quando creava opere teatrali, il suo mondo fatto di insicurezza, di ambivalenza. Lui stesso nelle interviste avrebbe potuto essere uno dei suoi personaggi che, va precisato, non è un unico personaggio sempre presente. Rappresentava le diverse sfaccettature della sua personalità. Ed è in questo che si manifesta la sua genialità, la sua capacità di mettersi a nudo in tutto la molteplicità del suo essere attraverso i suoi personaggi.
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