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L'abbraccio di Charlie Chaplin a un cinema fatto per immagini

16 Aprile 1889: a Londra nasce Charlie Chaplin, autore e interprete tra i più creativi, iconici e memorabili del cinema muto (e non).




Nel 2020 abbiamo celebrato il centenario di Federico Fellini, nel 2021 celebriamo il centenario di un film che in molti annoverano essere una sorta di Fellini ante litteram.





In effetti, l’amore e la venerazione del Maestro di Rimini nei confronti di Charlie Chaplin sono risaputi e, probabilmente, buona parte di questa passione nasce proprio dall’ultima sequenza de Il monello. Siamo nel 1921 e la maschera comica più celebre del mondo è pronta a fare il salto al cinema, in un lungometraggio. Ora, in molti annoverano ancora questa pellicola come una sorta di antipasto, un mediometraggio che non dovrebbe essere inserito nel conteggio dei lunghi del regista. Tuttavia è innegabile come Il monello sia il “primo passo” di Chaplin e del suo alter ego Charlot all’interno della cornice più maestosa e importante della Settima Arte.

È passato un secolo da quel giorno. Un secolo in cui il cinema, volente o nolente, ha dovuto fare i conti con una delle pellicole più apprezzate e amate di sempre. Chaplin inizia col botto: tra risate e lacrime, tra povertà e ricchezza d’animo, tra uno struggente abbraccio strappato e un finale onirico e felliniano (oggi sì, possiamo dirlo). Il monello è un esordio coi fiocchi, ma più che altro è il primo tassello di un percorso (quello relativo alla maschera di Charlot) che di lì a poco troverà il suo apice (Tempi moderni) per poi pian piano farsi da parte e cambiare forma con il cambiare dei tempi.





Questo perché Chaplin è sempre stato un regista che, da un punto di vista tecnico e produttivo, ha sofferto il repentino cambiamento introdotto nel 1927 dall’avvento del sonoro. Sia ben chiaro, ne ha risentito la sua passione, la sua idea di cinema, non la sua carriera né tanto meno la buona riuscita dei suoi film. Eppure, forse proprio come il caro Charlot, anche Chaplin è sempre stato un nostalgico, uno che preferiva cullarsi nei dolci ricordi invece che azzardare nuovi orizzonti. L’epoca del cinema muto, delle idee, delle immagini e delle soluzioni partorite con grande sforzo creativo, era quella che più lo appassionava. Un’epoca fatta di grandi emozioni, in cui tutte le generazioni, dai più piccoli agli adulti vi si rivedevano rispecchiati. Proprio come accade alla coppia protagonista del suo “primo” film, una coppia nata per caso ma unita dall’amore che qualcuno rigido e ordinato (il cinema sonoro?) prova invano a spezzare.

La dimostrazione di ciò avviene infatti 10 anni dopo, quando nel 1931 Chaplin ritrova il buio della sala con un altro “primo” film. Si chiama Luci della città e racconta, di nuovo, una storia d’amore. Questa volta i protagonisti sono due coetanei. L’ostacolo che li divide non è generazionale ma sensoriale: lei infatti è una non vedente ma ciò che li unisce andrà ben oltre questo problema. Stesso dicasi per il film perché, con non poca presunzione, tocca il cuore di tutti senza l’ausilio dell’apparato sonoro. Chaplin infatti, da un punto di vista produttivo era un non udente. Non voleva avere nulla a che fare con il cinema sonoro (inaugurato nel 1927) e il carattere malinconico del suo alter ego e delle storie raccontate si rispecchiava perfettamente nell’idea di un regista nato e cresciuto con il mito del cinema fatto per immagini.





Luci della città esce a quattro anni di distanza dallo sbarco del sonoro, segnando il “primo passo” di Chaplin in questa dimensione. Attenzione, il primo film realmente parlato arriverà solo una decina d’anni più tardi, quando nel 1940 il mondo applaudirà Il grande dittatore. Luci della città è però una sorta di antipasto. Si apre con una sequenza magistrale in cui Chaplin si prende gioco della musica e delle parole: la colonna sonora da diegetica diventa extradiegetica mentre i bellimbusti al centro della gag blaterano al microfono con vocine stridule e incomprensibili. Il cinema si è già appropriato della parola ma Chaplin proverà con tutto se stesso a rimandare sempre di più l’appuntamento. L’abbraccio tra lui e le immagini, il loro amore, non verrà spezzato così facilmente.

A proposito, sembra che tra il pubblico presente alla prima del film a Los Agneles ci fosse anche Albert Einstein. Nel riconoscerli insieme, il pubblico applaudì i due geni e Chaplin avrebbe sussurrato all’orecchio del fisico: "Vede, applaudono me perché mi capiscono tutti; applaudono lei perché non la capisce nessuno". Ora, non so quanti siano effettivamente in grado di comprendere Einstein, però resta il fatto che quella dei film di Chaplin sia stata una delle lingue universalmente parlate in tutto il mondo, tanto ieri quanto oggi. La lingua del cinema.

Simone Soranna

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