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James Stewart, il golden Boy che realizzò il sogno americano

«Semplicemente non esiste in tutta la storia del cinema un'interpretazione dell'angoscia per la perdita dell'amore più memorabile di quella che diede Jimmy in "La donna che visse due volte" di Alfred Hitchcock»
- Peter Bogdanovich

 

James Stewart  è da sempre considerato il principe gentile del cinema hollywoodiano, dotato di un talento smisurato e di una titanica presenza scenica. Uno dei volti buoni della Golden Age del cinema americano che grazie proprio al physique du rôle è stato in grado di conquistarsi l’affetto di milioni di cinefili. James ha interpretato una panoplia di ruoli nell’arco della sua carriera, collaborando con i più importanti registi dell’epoca. Un volto divenuto iconico, un giovane ragazzo della porta accanto che con il tempo si è trasformato del simpatico zio che noi tutti aspettiamo di riabbracciare durante le festività. Proprio per questo siamo sicuri che accoglierete con entusiasmo questa intrusione nei vostri salotti da parte di un estraneo che, in fondo, poi tanto estraneo non è. 


La carriera dell’attore è stata coronata di successi, amati sia dal pubblico che dalla critica, e furono ben 5 le nomination ricevute dall’Academy; le statuette che riuscì a vincere sono invece due, la prima nel 1941 come miglior attore in Scandalo a Filadelfia, mentre il secondo riconoscimento arriverà nel 1985, anno in cui gli fu assegnato l’Oscar alla carriera. James Stewart è una di quelle personalità la cui grandezza va oltre quella di attore: appassionato scrittore di poesie, commosse a lacrime Johnny Carson al Tonight Show durante la lettura di un suo componimento dal titolo Il Mio cane, Beau

Star hollywoodiana da una parte, eroe di guerra dall’altra: Stewart partecipò infatti con successo a venti missioni di guerra durante la Seconda guerra mondiale e la guerra del Vietnam, imprese che gli valsero la terza decorazione militare per grado di importanza. Un predestinato, personificazione del golden boy statunitense, uno dei pochi, forse, ad aver veramente vissuto il sogno americano. In occasione del compleanno, omaggiamo la sua splendida carriera attoriale andando a ricordare alcune delle sue più storiche interpretazioni.

Mr. Smith va a Washington (1939) diretto da Frank Capra. L’attore statunitense interpreta un eroe populista (nel senso più ampio e statunitense del termine), pronto a combattere la corrotta burocrazia governativa e deciso a difendere quel popolo che è stato chiamato a rappresentare. Semplicemente straordinario James Stewart, ma l'intero parterre di interpreti è di rara grandezza: da Jean Arthur, nella parte della coraggiosa e brillante segretaria Saunders, a Claude Rains, nei panni del corrotto senatore Joseph Pain.





Scandalo a Filadelfia (1940) diretto da George Cukor. Cukor è in forma smagliante, e dirige con piglio sicuro questa commedia sullo smembramento socio-sentimentale dal ritmo invidiabile e di più che godibile intrattenimento. Tutti gli attori sono in stato di grazia, compreso James Stewart, che per il ruolo di Mick avrebbe vinto l'Oscar come miglior attore protagonista.





Scrivimi fermo posta
(1940) diretto da Ernst Lubitsch. Favola ambientata in uno spicchio di Europa fuori dal tempo e lontana dagli orrori della guerra. Una produzione piuttosto anomala nella filmografia del regista, sia perché i protagonisti sono persone comuni, vessate da difficoltà economiche e di condizione sociale modesta, sia per il carico di amarezza percepibile lungo tutta la narrazione. Come sempre memorabili i comprimari, benché a spiccare siano i due splendidi protagonisti (James Stewart e Margaret Sullavan).





La vita è meravigliosa (1946) diretto da Frank Capra. Classico natalizio per eccellenza e uno dei massimi capolavori del cinema hollywoodiano degli anni Quaranta. Altruista e generoso, il padre di famiglia George Bailey è un tipico uomo comune con cui è facile immedesimarsi: per questo risulta ancor più straziante vederlo pronto a gettarsi da un ponte, dopo che un avaro banchiere ha deciso di mandarlo in rovina. Memorabili James Stewart, Henry Travers e Thomas Mitchell (il distratto zio Billy), ma tutto il cast funziona alla perfezione, magnificamente diretto da un Frank Capra in stato di grazia che non sbaglia nulla, tanto dal punto di vista stilistico quanto da quello drammaturgico.





Nodo alla gola (1948) diretto da Alfred Hitchcock. Oltre a rappresentare una importante tappa nell'evoluzione del linguaggio cinematografico, Nodo alla gola è un cocktail di humour nero, tensione e ambiguità. Grande performance di James Stuart, qui nei panni di un esponente di alcune curiose teorie sull’omicidio.





La donna che visse due volte (1958), diretto da Alfred Hitchcock. Perfetto compendio della poetica hitchcockiana, nonché un esemplare caso di spiazzante messa in scena cinematografica. James Stuart interpreta Scottie: personaggio ossessionato dal tentativo di ripetere il passato, un protagonista che continua a vivere nell’illusione di poter ripetere un amore che è ormai naufrago fra le nebulose pieghe del ricordo.





La finestra sul cortile (1954) diretto da Alfred Hitchcock. Una delle opere più importanti del maestro del brivido che, mai prima d'allora, era riuscito a raggiungere tali livelli di suspense ed eccellenza formale. L'intera pellicola è costruita come un monumentale saggio sull'atto della visione: il binocolo di Jeff è un prolungamento degli occhi del personaggio e di quelli degli spettatori che, proprio come lui, non possono smettere di guardare. Ottimo tutto il cast, capitanato da James Stewart e arricchito da un'affascinante Grace Kelly, dall'inquietante Raymond Burr e dall'irresistibile Thelma Ritter nei panni della domestica del protagonista.






L’uomo di Laramie (1959) diretto da Anthony Mann. Partendo da riferimenti culturali altissimi (la tragedia, con spunti del Re Lear di William Shakespeare), questo cult dipinge un ritratto del West anti-epico, incentrato sul tema della vendetta – tanto ricorrente nella filmografia del regista – e con punte di realismo e violenza raramente viste prima a Hollywood. La performance di Stewart è maiuscola.





Anatomia di un omicidio (1959) diretto da Otto Preminger. Uno dei più importanti film giudiziari della storia del cinema e in assoluto una delle vette del viennese Otto Preminger. Memorabile performance di James Stewart che ottenne una delle sette nomination (tra cui quella per il miglior film) agli Oscar della pellicola. Non ebbe neanche una statuetta: per l'Academy della fine degli anni '50 il film trattava temi troppo delicati e gli venne preferito il ben più tradizionale Ben Hur di William Wyler.





L’uomo che uccise Liberty Valance (1962), diretto da John Ford. Testamento spirituale del regista, un’elegia nostalgica che sfocia in una lezione di storia. «Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda», nel motto del cronista, che sa di non poter scrivere la verità prosaica sulla morte del bandito, si racchiude il senso dell'ultimo grande capolavoro di John Ford, della sua intera poetica e, forse, della cultura americana. Cultura che si abbevera alla fonte del Mito e affonda le proprie radici nella violenza, anche quando l'arcaica legge della Frontiera si arrende all'avanzata del progresso. Non è un caso che i protagonisti siano interpretati dai due più celebri divi della Hollywood classica (James Stewart e John Wayne), i quali hanno simboleggiato due immagini dell'uomo americano opposte ma ugualmente iconiche.





Simone Manciulli

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