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Jeanne Dielman - Le vostre analisi!
Al termine del webinar dedicato all'analisi di  Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles di  Chantal Akerman abbiamo invitato i partecipanti a scrivere un'analisi relativa al film. Ecco le più interessanti:

Prima di Jeanne Dielman: "je, tu, il, elle" (1974) di Chantal Akerman
di Alessandro B.

Una giovane donna si aggira per molti giorni in un piccolo appartamento: è sola, spesso nuda, lo spettatore "ascolta" i suoi monologhi interiori in un lungo flusso di coscienza e le sue uniche occupazioni sono di spostare i pochi mobili, scrivere lettere e mangiare zucchero. Quando decide di uscire accetta un passaggio da un camionista e lo accompagna nel suo viaggio; non gli rifiuta una prestazione sessuale, mentre l'uomo fa un lungo racconto-confessione sulla sua vita e la sua famiglia di cui la ragazza resta testimone silenziosa. Arrivata a destinazione suona ad un citofono dicendo semplicemente "sono io", dopo più di un'ora sono le prime e quasi ultime parole che le sentiamo dire, apre un'altra giovane donna che le dice "non voglio che tu resti"; tra le due c'è tensione ed imbarazzo anche se dopo un veloce spuntino le ritroviamo a letto in un prolungato amplesso, ma tra loro non c'è amore, piuttosto tristezza, malinconia, rabbia. Al risveglio la protagonista raccoglie i suoi vestiti e se ne va senza salutare.
L'esordio nel lungometraggio di Chantal Akerman, donna, regista, attrice, è un film ambizioso, acerbo, a tratti respingente e snervante dove proprio lei, l'io del titolo, poco più che ventenne, si mette completamente a nudo, letteralmente e metaforicamente, in un personale percorso di crisi interiore tra solitudine, perversione ed erotismo; sono evidenti le tante e spesso contrastanti fonti di ispirazione: il Godard di Pierrot le fou, la teoria del pedinamento zavattiniano, il cinema sperimentale americano (e soprattutto l'opera di Andy Warhol a cavallo tra finzione, documentario e video-installazione); visto oggi è un film di rottura che anticipa i tempi e che va inquadrato nel contesto di inizio anni '70, con la volontà di proporre con forza le istanze di emancipazione femminile e dei diritti degli omosessuali che si concretizzano soprattutto nella lunga sequenza finale sessualmente audace, una delle prime interamente al femminile del cinema mainstream, dove la pellicola diventa arte, l'abbraccio si trasforma in un combattimento classico senza alcuna connotazione pornografica.
Resta sorprendente come solo pochi mesi dopo la giovane regista riuscirà a girare il proprio capolavoro, Jeanne Dielman (1975), l’accurata descrizione della vita angosciante e ripetitiva di una casalinga che si prostituisce per mantenere se stessa ed il figlio adolescente, un'opera complessa, stratificata, molto più matura sia nella forma che nei contenuti, ma come lei stessa ricorda:
«Mi girai nel mio letto, inquieta. Ed all'improvviso, in un solo minuto, ho visto tutto Jeanne Dielman...»

PEDINAMENTO SI’, MA SOLO SE È POLITICO 
di Maria Serena Pasinetti

Il film Jeanne Dielman, della regista belga Chantal Akerman che uscì nelle sale cinematografiche nel 1975, quest’anno è stato votato a sorpresa al primo posto nella Classifica decennale dei migliori film della storia del cinema da parte della rivista Sight and Sound.
Il film, che potremmo definire un documento femminista, nella votazione avrà sicuramente risentito del momento storico attuale che vede un ritorno (e meno male) alla discussione su tematiche femministe. La regista stessa dice del suo film: “Penso che sia un film femminista perché ho dato spazio a cose che non erano mai, o quasi mai, mostrate in quella maniera, come i gesti quotidiani di una donna”.
Al di là delle critiche e delle polemiche suscitate dalla scelta di Sight and Sound, soprattutto per la collocazione al primo posto, intendo precisare perché sono d’accordo sul riconoscimento di tale pellicola, anche se forse non a questa vetta eccelsa.
Nel film, Jeanne è ritratta nei suoi due storici stereotipi: serva e puttana.
Molte e ripetute (la routine quotidiana) sono le sequenze lunghissime di lei che fa i lavori di casa e la regista mostra Jeanne (anche di spalle quando lava uno dopo l’altro i piatti) con un realismo esasperato, gesto dopo gesto, senza saltarne nemmeno uno, anche quelli inutili e noiosi.
Uno dei maestri a cui fa riferimento Dielman è Zavattini, il grande esponente del Neorealismo italiano, per il quale il cinema deve pedinare, dedicando tempo anche ai momenti morti.
In questo caso, il pedinamento esasperato diventa politico, perché accusa chi costringe la donna, con la sua gestualità esasperata e giorno dopo giorno, a ripetere gli stessi gesti.
Il secondo stereotipo, quello della donna puttana, è magnificamente e politicamente accusatorio nel non mostrare l’atto sessuale ma solo i gesti finali: un asciugamano da lavare, i soldi dati per la prestazione.
Solo alla fine, quando vediamo il rapporto in cui lei forse prova piacere, ecco l’attacco femminista della regista: la donna secondo lo stereotipo antifemminista non deve provare piacere.
Il film alla fine, senza voler anticipare nulla, vede la donna che si libera e forse… sorride.
Se Zavattini è il sostenitore del pedinamento realista, l’antagonista eccellente di questo esasperato realismo è il grande maestro Alfred Hitchcock: Il cinema è la vita senza le parti noiose.
Sarà un caso che J.D. abbia scalzato il primo posto a Vertigo, la Donna che visse due volte, del grande antagonista?
La donna che visse due volte di Hitchcock nel 2012 aveva conquistato il primo posto, dopo che per cinque decenni Quarto Potere aveva dominato incontrastato il podio della classifica decennale di Sight and Sound.
Ora, senza volersi schierare pro o contro la scelta sicuramente politica di Sight and Sound, vorrei esprimere la mia posizione.
Io credo che il realismo esasperato alla Sleep di Andy Warhol, che riprende per 5 ore e 20 minuti una persona che dorme (delle nove persone presenti alla prima, due se ne andarono durante la prima ora di proiezione) sia fine a sé stesso, pura sperimentazione e non mi piace; invece, il realismo politico di Chantal Akerman, che lo utilizza anche in modo esasperato ma come denuncia, ha un suo senso.
Quindi pedinamento sì, ma se è politico.
Devo ammettere, tuttavia, che mi sento comunque di stare anche dalla parte del grande Alfred Hitchcock. 

Jeanne Dielman, 23, quai du commerce, 1080 Bruxelles: il racconto di una vita ai tempi delle storie sui social.
di Emiliano Pulcini

Tre capitoli, tre giorni nella vita di Jeanne Dielman (magnificamente interpretata da Delphine Seyring). Tanti piani sequenza, solo apparentemente uguali, per raccontare la giornata di una donna occupata nelle più comuni attività casalinghe (ad eccezione del prostituirsi) come: cucinare. rigovernare. Lucidare un paio di scarpe. L'ordine delle faccende e il tempo per svolgerle sono prestabiliti e non modificabili, se ciò accadesse, e ad un certo punto accade, le conseguenze potrebbero minare le certezze di una vita intera.
La regista Chantal Akerman usa uno stile lento e minimale per questa pellicola dall'effetto ipnotico.
Il dramma è nel significato dei gesti quotidiani che compie la protagonista, come quando appende nello stesso identico modo e con la stessa espressione compiaciuta il cappotto del cliente e quello del figlio.
Le faccende vengono eseguite con scrupolosità maniacale perché in esse Jeanne Dielman si realizza.
Le inquadrature fisse sullo svolgersi dell'azione mostrano una donna sicura e appagata anche se questo non corrisponde al tormento interiore. L'immagine perfetta a cui aggrapparsi e con la quale identificarsi, illudendosi che lo sia anche la propria vita. Il tema principale del film, uscito nel 1976, è certamente il ruolo della donna nella società, argomento sempre vivo; forse proprio per questo la rivista Sight and Sound ha riacceso i riflettori su questa pellicola un po' dimenticata. Un altro tema presente, decisamente più attuale, è quello di come vogliamo apparire a noi stessi e agli altri. In fondo Jeanne Dielman è il racconto di una vita ai tempi delle storie sui social network; tanti brevi video per credere o far credere di essere qualcuno mostrando ciò che si fa, e nascondendo le proprie sincere emozioni. In una sequenza indimenticabile la protagonista dopo aver provato un momento di piacere vero, fisico, reale, cercherà di scacciarlo tagliandolo come si fa con un brutto ricordo.
La durata della pellicola è importante, va vista con la mente fresca e in una di quelle giornate nelle quali si vuole uscire dalla propria routine!

Commenti su Jeanne Dielman
di Claudia Ronchi

In occasione del seminario su Jeanne Dielman, 23, Quai du Commerce, 1080 Bruxelles, ho recuperato il primo lavoro della regista Chantal Akerman, Saute Ma Vie del 1968 e sono contenta di non averlo visto prima di Jeanne Dielman perché mi avrebbe fortemente demotivato a vedere il film: il corto mi ha trasmesso solo la rappresentazione di una “matta” e dal primo momento mi ha fatto pensare ad una sola e unica fine della protagonista (che poi si è verificata). E per il corto mi sono ritrovata nel commento che Marguerite Duras ha esternato in occasione della proiezione di Jeanne Dielman a Cannes (7 anni dopo) che pare abbia detto “Cette femme est folle” probabilmente rivolta alla protagonista (ma potrebbe essere tranquillamente rivolto alla regista). È lo stesso commento che ho fatto io vedendo Saute Ma Vie.
Fortunatamente ho fatto il percorso al contrario, quindi sono riuscita a guardare tutte le 3 ore del film Jeanne Dielman, apprezzandolo, leggendo però qualche informazione prima della visione (trama spoilerata, note sulla regista). A mio avviso è un film che non si può affrontare senza una preparazione sulla regista e sulla sua storia cinematografica.
Se da un lato è un film che richiede un certo impegno e attenzione, dall'altro è un film che offre infinite possibilità di analisi e di riflessioni.

Sul tempo: per Chantal Akerman il tempo non è quello della realtà. A lei non interessa quel tipo di realismo. Utilizza il tempo in modo flessibile: inesorabilmente lento per raccontare la routine, praticamente inesistente quando ci vuole fare passare alla scena successiva. Questa teoria del tempo “flessibile” e “relativo” mi ha fatto ricordare Dalì (che passa di sfuggita anche nel trailer di Sleep di Warhol che abbiamo visto insieme) e il suo Orologio Molle. Casualmente qualche settimana fa a Siena mi sono imbattuta in una mostra dedicata prevalentemente alle sue sculture, tra cui quella dell’Orologio Molle (il dipinto, La Persistenza della Memoria, è del 1931, mentre la scultura della mostra è quella del 1977-1984). Questa interpretazione del tempo da parte di Akerman mi ha fatto ricordare l’interpretazione del tempo da parte di Dalì. Come recita il catalogo “Il tempo per Dalì è una dimensione non assoluta, ma relativa che si plasma in base alla nostra percezione. La scansione rigorosa in ore, minuti, secondi, uguali per tutti è inadatta per descrivere il tempo poiché ognuno lo vive differentemente a seconda delle emozioni delle sensazioni e degli stati d’animo”. Lo trovo perfettamente calzante con l’interpretazione della Akerman. 

Sul sesso e religione (durante il secondo dialogo madre-figlio). Il figlio rivela che ha scoperto come funzionano i rapporti sessuali tra uomo e donna dai racconti di un amico. Segno, quindi, che questi temi non sono mai stati affrontati tra madre e figlio. Il figlio continua poi il suo ragionamento: “Papà ha fatto queste cose alla mamma. Per mesi ho odiato papà a causa di questo. E avevo voglia di morire. E quando lui è morto ho creduto che fosse una punizione di Dio. E ora non credo più in Dio”. Non solo il figlio non ha mai affrontato il tema dei rapporti sessuali con la madre, ma ne ha un’idea malvagia. Non sa, quindi non capisce, che un rapporto nasce con l’innamoramento, con il desiderio fisico tra due persone e che è una cosa piacevole. Lui lo vede come un atto quasi di prevaricazione dell’uomo sulla donna (e magari è un messaggio che la regista voleva lanciare, anche considerando la descrizione assolutamente asettica del racconto dell’incontro con il padre fatto la sera precedente dalla madre). Quindi, come può Dio permettere che tra uomo e donna succedano queste cose così “brutte”? Addirittura, farle compiere dal padre sulla madre! In più, questo Dio fa morire il padre. Quindi da un lato questo Dio esaudisce il desiderio del ragazzo di vedere il padre morto, ma dall’altro permette che gli uomini compiano quelle “brutte cose” con le donne, sulle donne. Allora “non credo più in Dio”. In questo senso ho colto un riferimento al discorso religioso.

Bambino della vicina. Non c’è stato tempo di analizzare le due sequenze in cui la vicina affida il neonato a Jeanne Dielman. Come le due sequenze del bar, sono agli antipodi e denunciano la fine della routine. Nella prima sequenza Jeanne Dielman ritira la culla come se fosse un pacco, e come un pacco la mette sul tavolo della sala e se ne va, abbandonando totalmente il neonato per andare a preparare la cena per il figlio. Nella sequenza del terzo giorno invece lo prende in braccio, cerca di accudirlo (mostrando di non esserne capace o forse cercando di far trasparire del sentimento?). Nella prima sequenza, al momento del ritiro del neonato, la vicina le chiede cosa prepara da mangiare. E dalla risposta intuiamo chiaramente che anche nella preparazione del cibo c’è una ritualità (“Il mercoledì c’è cotoletta di vitello, carote e piselli”). Nella seconda sequenza, invece c’è più interazione con il bambino, nessuna, invece con la madre. Quindi, situazione completamente cambiata. E credo che Jeanne Dielman sia contenta della mancata conversazione con la vicina perché se le avesse chiesto della preparazione della cena, lei avrebbe dovuto parlare delle patate costringendosi a ricordare l’episodio delle patate cotte troppo (e di conseguenza della fine del suo equilibrio).

Bottone mancante: il bottone che manca e che perde è quello della giacca/cappotto del figlio (bottone che andrà poi a cercare senza successo). Il bottone della vestaglia del secondo giorno non è mancante. Viene “saltato” (e se non ricordo male poi il figlio glielo fa notare). Tuttavia, non cambia il messaggio della crepa nella ritualità, l’inizio della fine.

Risveglio del terzo giorno e i mestieri: da una intervista alla Akerman (disponibile qui https://www.youtube.com/watch?v=8pSNOEYSIlg), lei sostiene che Jeanne Dielman il terzo giorno si sveglia un’ora prima, quindi ha un’ora “vuota”, in cui non sa cosa fare e in cui in effetti le si apre il vuoto davanti. Per questo si accascia sulla poltrona, poi passa a spolverare cose dentro una vetrina chiusa…deve cercare qualcosa da fare per non pensare al risveglio anticipato quale ulteriore elemento distruttivo della sua quotidianità e routine.

Interessante anche l’osservazione della regista precedente a questo momento: la ripetitività delle azioni come strumento per raggiungere una pace interiore (definito rituale di pace).
Maximal Interjector
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