News
Kristen Stewart: le cinque interpretazioni più significative della sua carriera
Nata il 9 aprile 1990 a Los Angeles, Kristen Stewart compie oggi trent'anni. 

Divenuta celebre in tutto il mondo come Bella Swan nella Twilight Saga, dove affianca Robert Pattinson, all’epoca suo compagno anche nella vita, si è presto distanziata da un ruolo che le ha portato solo nomination ai Razzie Awards, dimostrando il suo talento in altre pellicole. L’esordio sul grande schermo avviene da giovanissima, e nel 2002 David Fincher la sceglie per affiancare Jodie Foster in Panic Room, mentre nel 2007 appare in Into the Wild – Nelle terre selvagge (Into the Wild) di Sean Penn. Oltre a Twilight, il 2008 è l’anno di Disastro a Hollywood (What Just Happened?), mentre nel 2012 ricopre per la prima volta il ruolo di Biancaneve, accanto a Chris Hemsworth, cui seguiranno le collaborazioni di pregio con Olivier Assayas e Woody Allen e il ruolo della figlia del personaggio di Julianne Moore nel film che è valso l'Oscar a quest'ultima, Still Alice (2014). 

Di seguito i cinque film che, a nostro avviso, rappresentiamo i fiori all'occhiello della sua carriera. 

5) ADVENTURELAND, Greg Mottola (2009)

Dopo il demenziale Suxbad – Tre menti sopra il pelo (2007), Greg Mottola scrive e dirige una nuova pellicola sugli adolescenti, ma adottando un registro del tutto differente. Adventureland, infatti, è un'opera più intima e toccante, dal fortissimo sapore nostalgico: l'ambientazione, le musiche, le citazioni riconducono a un periodo chiaramente importante per il regista, capace di rispolverare con una graditissima sincerità alcuni elementi cardine degli anni '80, senza però lasciarsi andare a banali stereotipi. Siamo nella Pennsylvania del 1987, dove, a causa di problemi finanziari, il giovane James (Jesse Eisenberg) è costretto a rinunciare al viaggio post diploma in Europa, ritrovandosi a lavorare in un luna park della sua città per racimolare qualche soldo. Qui conosce Emily (Kristen Stewart) e altri ragazzi con cui condividerà le gioie e i dolori di un'estate memorabile. L'alchimia tra il personaggio di Eisenberg e quello della Stewart è notevole: la recitazione dell'attrice, dolce e tentennante, restituisce appieno un'aura da film europeo mancato, portando l'idea di romanticismo tipica del cinema indie americano verso esiti particolarmente malinconici, tra goffaggini e non detti che costeggiano non poco il legame tra i due protagonisti. 



4) SILS MARIA, Olivier Assayas (2014)

Maria Enders (Juliette Binoche) è un'attrice dai trascorsi gloriosi e ha una brillante assistente, Valentine (Kristen Stewart), che ne gestisce l'immagine e gli impegni. Un'interprete più giovane di lei (Chloë Grace Moretz) ottiene però la parte che le aveva donato fama a suo tempo, e Maria entra in crisi. Stupisce come il cinema di Olivier Assayas si sia spogliato negli anni di qualsiasi orpello, per abbracciare una limpidezza assoluta e sempre più nitida, perfettamente in linea con una profondità capace di sporcarsi le mani, in questo caso, anche con le complesse ramificazioni del mondo contemporaneo. La leggerezza di Assayas sembra senza peso, come le nuvole che attraversano il passo del Maloja in un bellissimo passaggio figurativo del film, ma possiede una consistenza tutta sua, concretissima e necessaria. La recitazione della Stewart in questo film calza come un guanto alle atmosfere cesellate dal regista francese, lavorando sulla sospensione dei gesti e degli sguardi: gioca di rimessa rispetto alla mattatrice Binoche e risulta perfettamente credibile nei panni della sua sottoposta, caricandola in sottrazione di un corredo non indifferente di desideri latenti, tensioni raggomitolate e di una precarietà tenue e impalbabile, dal sapore irrimediabilmente generazionale. Questo ruolo le valse anche un prestigioso César come miglior attrice non protagonista, affrancandola definitivamente dal giogo di Twilight. 



3) PERSONAL SHOPPER, Olivier Assayas (2016)

La giovane Maureen (Kristen Stewart), sensitiva che lavora come personal shopper di alta moda a Parigi, è minacciata da una presenza soprannaturale che la perseguita e interagisce con lei attraverso alcuni messaggi sul cellulare. Una ossessione amplificata dal fatto che potrebbe trattarsi dello spirito del fratello defunto. Olivier Assayas firma in questo caso una delle sue opere più cervellotiche e inclassificabili, una sorte di sfida nei confronti dello spettatore, continuamente spiazzato all'interno di un thriller-horror che si immerge nel genere affrontandolo controcorrente. Sulla base di una forte matrice autoriale, Assayas attinge al registro "basso" del mystery per comporre un quadro astratto come la sfera extrasensoriale entro cui si muove. Maureen è alla ricerca di una propria identità, di un senso che fatica trovare in un’esistenza che non la soddisfa, vittima del desiderio di essere qualcun altro in vita (la scena in cui indossa i vestiti della diva per cui lavora) e della necessità di sapere che ci sia qualcosa dopo la morte (la ricerca ossessiva di un contatto da parte del fratello, deceduto a causa dello stesso male di cui è vittima anche lei): la Stewart, spogliandosi di ogni sovrastruttura e aderendo a questo assunto come a un guanto, si consacra come musa del regista e, al di là degli scompensi e delle irresolutezze del film, compie un definitivo salto nella sua carrierà all'insegna della maturità espressiva. Protagonista assoluta e spesso in scena da sola, regge sulle proprie spalle con grande personalità un ruolo tutt'altro che facile e arriva persino a essere una un'icona in stile Nouvelle Vague corredata da una sensibilità postmoderna, tra fantasmi della tecnologia e impalpabilità del presente (e se gli spettri iniziali, dopotutto, fossero quelli di Twilight che hanno asserragliato e condizionato la sua carriera?). Non a caso nel 2019 la Stewart interpreterà la Jean Seberg di Fino all'ultimo respiro, ma con esiti assai meno felici. 



2) CAFE' SOCIETY, Woody Allen (2016)

Anni '30. Nipote del potente imprenditore hollywoodiano Phil (Steve Carell), il giovane newyorkese Bobby (Jesse Eisenberg) va in cerca di fortuna nella Mecca del cinema. L'incontro con l'influente zio sembra aprirgli numerose porte, ma l'amore per la bella Vonnie (Kristen Stewart), già impegnata, complicherà la situazione. Deluso ma non rassegnato, Bobby torna a New York ed entra nello scintillante mondo del Café Society, che gli permette di conoscere l'affascinante Veronica (Blake Lively)...Woody Allen si prende una raffinatissima vacanza e immerge la sua poetica densa di passione nel mondo degli anni '30, realizzando una commedia sentimentale tutta giocata su parallelismi tra vita vissuta e vita sognata. L'affettuoso omaggio alla Settima arte si respira in ogni fotogramma, ma il cuore pulsante del film (il primo in digitale per Allen) sembra essere una vicenda, dalla costruzione linearissima, che prende di petto le dinamiche del mélo per specchiare il cinema nel cinema. Una piccola opera glamour e rétro, che, pur sapendo di già visto, riflette efficacemente sull'opportunismo e i leziosi miti di Hollywood per parlare di amore bigger than life, sogni, desideri repressi e difficoltà di accettare il compromesso. Vonnie e Veronica, Beverly Hills e New York, l'effimero e il concreto, i sentimenti e la malavita, il tutto giocato con placida tranquillità senza prendere rischi ma senza nemmeno forzare necessariamente la mano. Alla Stewart ancora una volta spetta il personaggio più etereo e impalpabile e l'attrice torna a dimostrarsi completamente a suo agio in questi panni: le luci di Vittorio Storaro, in tal senso, la incorniciano alla perfezione, rendendola una languida e crepitante emanazione, accarezzata da un romanticismo prossimo alla malinconia più tagliente.



1) CERTAIN WOMEN, Kelly Reichardt (2016)

Tre storie s’intrecciano nel Montana rurale: un avvocato (Laura Dern) si trova a seguire un caso che la porterà a essere un ostaggio in una situazione non semplice da gestire; una moglie e madre di famiglia (Michelle Williams) è determinata a costruire a ogni costo la casa dei suoi sogni; una studentessa di legge (Kristen Stewart) instaura un legame ambiguo con la solitaria dipendente di un ranch (Lily Gladstone). È stato spesso un cinema al femminile quello della regista americana Kelly Reichardt (si pensi a Wendy and Lucy o a Meek’s Cutoff), ma mai quanto in Certain Women l’autrice nata in Florida si è dedicata alla rappresentazione nella donna all’interno della provincia americana contemporanea: è un film corale con quattro personaggi le cui vicende si sfiorano solitamente, senza forzature narrative ma con una delicatezza che è propria dell’intero lungometraggio. Inizialmente la pellicola fatica a carburare e ci vuole sempre un bel po’ di pazienza con i lavori della Reichardt, ma al termine si viene premiati con un’opera compiuta e toccante, capace di crescere alla distanza e di trattare con notevole sensibilità una serie di tematiche tutt’altro che semplici: la solitudine, in primis, ma anche la necessità di crearsi una propria strada e un proprio futuro per sentirsi realizzati. La Stewart si mette al servizio del suo personaggio con aderenza incondizionata, regalandole spessore e verosimiglianza e contribuendo a illuminare di luce propria e ad acuire l'efficacia della sua partner Lily Gladstone, la miglior delle attrici qui convocate. 

Maximal Interjector
Browser non supportato.