La città incantata: un percorso di psicoterapia
23/03/2023
Riceviamo e con grande piacere pubblichiamo questa splendida analisi de La città incantata realizzata da Simone Consonni
La Città Incantata è forse il più strutturato dei film di Miyazaki con pochissimi tempi morti e un ritmo costante, ben scandito non solo dalle azioni, ma anche dalla poesia delle animazioni e da particolari che stregano e sospendono il tempo, palesando la meravigliosa creatività del regista.
In questa analisi invece la struttura non la farà da padrona, in quanto ci si incamminerà lungo una strada piuttosto tortuosa nel tentativo di paragonare un percorso di psicoterapia e alcune considerazioni sulle relative prese di coscienza al viaggio di Chihiro.
1) I genitori
Chihiro è triste, arrabbiata perché strappata alla sua comfort zone, piazzata in una macchina e trasportata verso l’ignoto. Se già per un adulto può non essere facile, figuriamoci per un bambino che non ha voce in capitolo: eppure i suoi genitori la ignorano, anzi la trattano come un peso “Chihiro non starmi così attaccata, faccio fatica a camminare”. Invece di accogliere e comprendere il disagio della figlia la scuotono via, la lasciano indietro e la bimba, come si vedrà presto, se la dovrà cavare da sola, o quasi.
Capita spesso che i genitori si comportino così, per motivi che non verranno analizzati in questa sede, e così facendo il figlio si deve equipaggiare per superare da solo le proprie ansie e paure, immagazzinandole, accatastandole: forse a volte queste paure sono troppe, la sofferenza del sentirsi soli bisogna buttarla fuori, bisognerebbe essere anche in grado di chiedere aiuto in maniera esplicita. E Miyazaki ce la mostra, in una delle tante sequenze di rara e meravigliosa umanità. Chihiro è stanca, spaventata e abbandonata: Haku le dà un onigiri che la bimba mangia con grande avidità. Questa piccola attenzione “stappa” Chihiro, le lacrime iniziano a sgorgare grosse, grossissime e pesanti. Finalmente è giunto il momento di mollare, di piangere senza vergogna nel luogo sicuro offerto dall’amico e non dai genitori. Vi è mai capitato di essere così giù e tristi? Lo avete mai provato il confortante scivolare di quelle lacrime giganti lungo le vostre guance? Miyzaki sicuramente sì perché ce lo mostra come forse mai nessuno prima. Queste lacrime si trasformano presto in pianto più veloce e infantile che porta Haku a completare il suo ruolo genitoriale aggiungendo un semplicissimo “E’ stata dura eh?”. In questo modo riconosce e accoglie la fatica della bimba.
Un alto aspetto interessante è che Chihiro ha paura di non riconoscere i genitori: durante la psicoterapia si scoprono diversi aspetti dei propri genitori che ce li fanno vedere come esseri umani e non solo come madre e padre onnipotenti nel bene e nel male; è un cammino faticoso cambiare punto di vista, ma che se chiuso con successo ci aiuta a trasformarli in esseri umani con tutta la verità che questo si porta dietro e con tutti benefici per noi stessi e per il rapporto con loro.
Anche Yubaba non è certo una madre ideale: isola il figlio dalla realtà in un mondo ovattato, inondandolo di cure e vizi. Un po’ il contraltare ai genitori di Chihiro. Diciamo che i genitori di sangue non ne escono molto bene nel lungometraggio
2) Il controllo
Il controllo ci ossessiona. Gli esseri umani studiano, classificano, incasellano nella speranza di incanalare la vita. Salvezza? In parte. Illusione? In gran parte. Vincolo? Ahimè.
Chihiro attraversa il ponte, affiancata da Haku, creatura magica che la rende invisibile. Deve trattenere il fiato. Tratteniamo il fiato quando abbiamo paura, ci congeliamo così che il nemico non ci possa sentire, il mondo non ci può scalfire. Ma poi arriva un piccolo ranocchio, salta su dal nulla e ci spaventa e la nostra tattica perfetta va a rotoli. Eppure, Chihiro arriverà comunque alla fine della sua avventura. Nonostante subito dopo pochi minuti ci sia un colpetto della vita che le rovina i piani.
Questo controllo bisogna un po’ lasciarlo andare per arrivare davvero alla meta. Scendere quella lunga e ripida scalinata verso la fornace non funziona molto bene se ogni contrazione di muscolo viene misurata, se ogni gradino è una montagna. E allora Chihiro abbandona il controllo e corre a perdifiato. E ancora una volta arriva alla fine del percorso.
3) La fornace
E’ dal fondo che inizia la vera avventura di Chihiro, da quella stanza che alimenta tutti i bagni termali.
Occupata da questa creatura a tratti un po’ ributtante, dove i “nerini” brulicano sul pavimento, dove pezzi di carbone finiscono tra fauci infuocate. Non sembra un ambiente accogliente.
Che pesante quel carbone per Chihiro, tutti quei pezzi del proprio subconscio, nascosti e bui che a toccarli ti sporchi. Ma che alimentano il fuoco in quella fornace così calda che Chihiro approccia con timore.
Piano piano nel percorso di psicoterapia i pezzi bui inizi a vederli meglio: e vedi che non tutto è bello e non tutto è brutto. Anzi, tutto è molto sfumato: così come il carbone sporca ed è brutto a vedersi, ma brucia dando energia.
E quel ragnone gigante burbero che però ti aiuta e quei nerini che si nutrono di stelline colorate ed è lì che incontri la tua prima amica dopo che hai abbandonato la tua città. Quanta vita in questo spazio poco accogliente che se esplorato bene ci rivela però tanta umanità.
4) Vomitare
Vomitare non è un bel verbo e non è piacevole da leggere, ma rende molto bene.
Lo spirito del fiume vomita sporcizia e se ne va sereno, Haku vomita il parassita che lo sta uccidendo, Chihiro vomita lacrime, il senza volto vomita tutte le sue “vittime” ed inizia il suo viaggio verso casa.
Nel lungometraggio è tutto molto veloce, ma la sensazione di espellere il dolore, la fatica, tutto quello che abbiamo raccolto e a volte raccattato negli anni di vita e che ci brulica dentro è resa molto bene. In alcuni specifici momenti della psicoterapia il tappo salta, per qualche istante si perde il controllo, esce tutto, ci inonda, anche spaventandoci e infine liberandoci.
5) Il Senza Volto
Forse il personaggio più umano del film, questa creatura silenziosa, che sa fare solo versetti patetici mentre offre a Chihiro quello che lui pensa lei desideri.
Il Senza Volto siamo tutti noi, nel nostro bisogno di essere accettati, di piacere, di trovare un luogo che ci possa accogliere, nel nostro terrore di rimanere soli. L’essere umano che si adatta, plasma e a volte si umilia pur di trovare un gesto di accoglienza. Conquistare gli altri e illuderci che siano nostri ci fa sentire grandi, amati e apprezzati.
Ma è illusione, gli altri non sono nostri, non ha senso scapicollarci per conquistarli: è una fatica immane che ci consuma senza che ne valga la pena. Quando il senza volto abbandonerà questa ricerca accettando di essere se stesso (anche nero, triste, con una maschera inespressiva) allora potrà salire sul treno viaggiare a filo del mare e trovare una famiglia. Il Senza Volto ha la fortuna di incontrare Chihiro, non tutti la hanno.
6) Il nome
Non scordiamoci il nostro nome o ci perderemo. In alcune teorie “magiche” il nome ci definisce, chi conosce il nostro vero nome ha potere su di noi. Yubaba si impossessa del nome di Chihiro e crede di poterla rendere un ingranaggio dei suoi bagni macina soldi.
Ancora una volta ritorna il tema del mondo esterno che ci impone le sue dinamiche e le sue “violenze”. E’ inevitabile, è la vita, ma Haku ricorda a Chihiro che non devo assolutamente scordarsi il suo nome: racchiude la sua identità, la vera Chihiro. In un percorso psicoterapico i nostri bisogni, i nostri desideri diventano parte del lavoro con il terapeuta, insieme anche all’identificazione di alcune dinamiche che ci caratterizzano. Di tutto questo, vivendo non ci rendiamo sempre conto e ci pieghiamo come il senza il volto senza conoscere davvero i nostri desideri e le nostre necessità, arrivando anche a sopprimerli.
Ce lo dice chiaro il maestro Miyazaki di stare attenti e rimanere fedeli a noi stessi.
7) Il ritorno
Alla fine del film Chihiro ritrova i suoi genitori e, onestamente, nulla sembra essere cambiato: continuano a trattarla come all’inizio della pellicola: “Chihiro, vedi di sbrigarti”.
Ma lo spettatore e Chihiro sanno che cosa è successo: il tempo è passato, l’automobile è coperta di foglie, impolverata. La psicoterapia è un lavoro lungo e sporco: dopotutto bisogna vomitare fango, biciclette, parassiti, non si può pensare di uscirne fulgidi e splendenti. E per di più il mondo non cambia: i genitori sono sempre loro, il cambio di città c’è ancora, l’ignoto e il fuori controllo pure.
Ma dopo aver corso per scale ripidissime, affrontato una cattivissima strega, cavalcato un drago impazzito, pianto lacrime giganti e dopo aver salvato lo spirito del fiume, beh… di certo Chihiro non avrà più così paura dell’ignoto.
Simone Consonni
La Città Incantata è forse il più strutturato dei film di Miyazaki con pochissimi tempi morti e un ritmo costante, ben scandito non solo dalle azioni, ma anche dalla poesia delle animazioni e da particolari che stregano e sospendono il tempo, palesando la meravigliosa creatività del regista.
In questa analisi invece la struttura non la farà da padrona, in quanto ci si incamminerà lungo una strada piuttosto tortuosa nel tentativo di paragonare un percorso di psicoterapia e alcune considerazioni sulle relative prese di coscienza al viaggio di Chihiro.
1) I genitori
Chihiro è triste, arrabbiata perché strappata alla sua comfort zone, piazzata in una macchina e trasportata verso l’ignoto. Se già per un adulto può non essere facile, figuriamoci per un bambino che non ha voce in capitolo: eppure i suoi genitori la ignorano, anzi la trattano come un peso “Chihiro non starmi così attaccata, faccio fatica a camminare”. Invece di accogliere e comprendere il disagio della figlia la scuotono via, la lasciano indietro e la bimba, come si vedrà presto, se la dovrà cavare da sola, o quasi.
Capita spesso che i genitori si comportino così, per motivi che non verranno analizzati in questa sede, e così facendo il figlio si deve equipaggiare per superare da solo le proprie ansie e paure, immagazzinandole, accatastandole: forse a volte queste paure sono troppe, la sofferenza del sentirsi soli bisogna buttarla fuori, bisognerebbe essere anche in grado di chiedere aiuto in maniera esplicita. E Miyazaki ce la mostra, in una delle tante sequenze di rara e meravigliosa umanità. Chihiro è stanca, spaventata e abbandonata: Haku le dà un onigiri che la bimba mangia con grande avidità. Questa piccola attenzione “stappa” Chihiro, le lacrime iniziano a sgorgare grosse, grossissime e pesanti. Finalmente è giunto il momento di mollare, di piangere senza vergogna nel luogo sicuro offerto dall’amico e non dai genitori. Vi è mai capitato di essere così giù e tristi? Lo avete mai provato il confortante scivolare di quelle lacrime giganti lungo le vostre guance? Miyzaki sicuramente sì perché ce lo mostra come forse mai nessuno prima. Queste lacrime si trasformano presto in pianto più veloce e infantile che porta Haku a completare il suo ruolo genitoriale aggiungendo un semplicissimo “E’ stata dura eh?”. In questo modo riconosce e accoglie la fatica della bimba.
Un alto aspetto interessante è che Chihiro ha paura di non riconoscere i genitori: durante la psicoterapia si scoprono diversi aspetti dei propri genitori che ce li fanno vedere come esseri umani e non solo come madre e padre onnipotenti nel bene e nel male; è un cammino faticoso cambiare punto di vista, ma che se chiuso con successo ci aiuta a trasformarli in esseri umani con tutta la verità che questo si porta dietro e con tutti benefici per noi stessi e per il rapporto con loro.
Anche Yubaba non è certo una madre ideale: isola il figlio dalla realtà in un mondo ovattato, inondandolo di cure e vizi. Un po’ il contraltare ai genitori di Chihiro. Diciamo che i genitori di sangue non ne escono molto bene nel lungometraggio
2) Il controllo
Il controllo ci ossessiona. Gli esseri umani studiano, classificano, incasellano nella speranza di incanalare la vita. Salvezza? In parte. Illusione? In gran parte. Vincolo? Ahimè.
Chihiro attraversa il ponte, affiancata da Haku, creatura magica che la rende invisibile. Deve trattenere il fiato. Tratteniamo il fiato quando abbiamo paura, ci congeliamo così che il nemico non ci possa sentire, il mondo non ci può scalfire. Ma poi arriva un piccolo ranocchio, salta su dal nulla e ci spaventa e la nostra tattica perfetta va a rotoli. Eppure, Chihiro arriverà comunque alla fine della sua avventura. Nonostante subito dopo pochi minuti ci sia un colpetto della vita che le rovina i piani.
Questo controllo bisogna un po’ lasciarlo andare per arrivare davvero alla meta. Scendere quella lunga e ripida scalinata verso la fornace non funziona molto bene se ogni contrazione di muscolo viene misurata, se ogni gradino è una montagna. E allora Chihiro abbandona il controllo e corre a perdifiato. E ancora una volta arriva alla fine del percorso.
3) La fornace
E’ dal fondo che inizia la vera avventura di Chihiro, da quella stanza che alimenta tutti i bagni termali.
Occupata da questa creatura a tratti un po’ ributtante, dove i “nerini” brulicano sul pavimento, dove pezzi di carbone finiscono tra fauci infuocate. Non sembra un ambiente accogliente.
Che pesante quel carbone per Chihiro, tutti quei pezzi del proprio subconscio, nascosti e bui che a toccarli ti sporchi. Ma che alimentano il fuoco in quella fornace così calda che Chihiro approccia con timore.
Piano piano nel percorso di psicoterapia i pezzi bui inizi a vederli meglio: e vedi che non tutto è bello e non tutto è brutto. Anzi, tutto è molto sfumato: così come il carbone sporca ed è brutto a vedersi, ma brucia dando energia.
E quel ragnone gigante burbero che però ti aiuta e quei nerini che si nutrono di stelline colorate ed è lì che incontri la tua prima amica dopo che hai abbandonato la tua città. Quanta vita in questo spazio poco accogliente che se esplorato bene ci rivela però tanta umanità.
4) Vomitare
Vomitare non è un bel verbo e non è piacevole da leggere, ma rende molto bene.
Lo spirito del fiume vomita sporcizia e se ne va sereno, Haku vomita il parassita che lo sta uccidendo, Chihiro vomita lacrime, il senza volto vomita tutte le sue “vittime” ed inizia il suo viaggio verso casa.
Nel lungometraggio è tutto molto veloce, ma la sensazione di espellere il dolore, la fatica, tutto quello che abbiamo raccolto e a volte raccattato negli anni di vita e che ci brulica dentro è resa molto bene. In alcuni specifici momenti della psicoterapia il tappo salta, per qualche istante si perde il controllo, esce tutto, ci inonda, anche spaventandoci e infine liberandoci.
5) Il Senza Volto
Forse il personaggio più umano del film, questa creatura silenziosa, che sa fare solo versetti patetici mentre offre a Chihiro quello che lui pensa lei desideri.
Il Senza Volto siamo tutti noi, nel nostro bisogno di essere accettati, di piacere, di trovare un luogo che ci possa accogliere, nel nostro terrore di rimanere soli. L’essere umano che si adatta, plasma e a volte si umilia pur di trovare un gesto di accoglienza. Conquistare gli altri e illuderci che siano nostri ci fa sentire grandi, amati e apprezzati.
Ma è illusione, gli altri non sono nostri, non ha senso scapicollarci per conquistarli: è una fatica immane che ci consuma senza che ne valga la pena. Quando il senza volto abbandonerà questa ricerca accettando di essere se stesso (anche nero, triste, con una maschera inespressiva) allora potrà salire sul treno viaggiare a filo del mare e trovare una famiglia. Il Senza Volto ha la fortuna di incontrare Chihiro, non tutti la hanno.
6) Il nome
Non scordiamoci il nostro nome o ci perderemo. In alcune teorie “magiche” il nome ci definisce, chi conosce il nostro vero nome ha potere su di noi. Yubaba si impossessa del nome di Chihiro e crede di poterla rendere un ingranaggio dei suoi bagni macina soldi.
Ancora una volta ritorna il tema del mondo esterno che ci impone le sue dinamiche e le sue “violenze”. E’ inevitabile, è la vita, ma Haku ricorda a Chihiro che non devo assolutamente scordarsi il suo nome: racchiude la sua identità, la vera Chihiro. In un percorso psicoterapico i nostri bisogni, i nostri desideri diventano parte del lavoro con il terapeuta, insieme anche all’identificazione di alcune dinamiche che ci caratterizzano. Di tutto questo, vivendo non ci rendiamo sempre conto e ci pieghiamo come il senza il volto senza conoscere davvero i nostri desideri e le nostre necessità, arrivando anche a sopprimerli.
Ce lo dice chiaro il maestro Miyazaki di stare attenti e rimanere fedeli a noi stessi.
7) Il ritorno
Alla fine del film Chihiro ritrova i suoi genitori e, onestamente, nulla sembra essere cambiato: continuano a trattarla come all’inizio della pellicola: “Chihiro, vedi di sbrigarti”.
Ma lo spettatore e Chihiro sanno che cosa è successo: il tempo è passato, l’automobile è coperta di foglie, impolverata. La psicoterapia è un lavoro lungo e sporco: dopotutto bisogna vomitare fango, biciclette, parassiti, non si può pensare di uscirne fulgidi e splendenti. E per di più il mondo non cambia: i genitori sono sempre loro, il cambio di città c’è ancora, l’ignoto e il fuori controllo pure.
Ma dopo aver corso per scale ripidissime, affrontato una cattivissima strega, cavalcato un drago impazzito, pianto lacrime giganti e dopo aver salvato lo spirito del fiume, beh… di certo Chihiro non avrà più così paura dell’ignoto.
Simone Consonni