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Master MICA - Analisi de "Il ladro di orchidee"
Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!

Martina Dell’Utri – Il ladro di orchidee (2002) di Spike Jonze 

INTRODUZIONE
"Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile."
Luigi Pirandello: Uno, Nessuno e Centomila

 Il regista Spike Jonze, prima de Il ladro di Orchidee (il cui titolo originale è Adaptation), aveva lavorato con Charlie Kaufman, lo sceneggiatore, al film Being John Malkovich, presentato il 2 settembre del 1999 alla Mostra del Cinema di Venezia. Il film aveva ottenuto ottime critiche e un buon risultato al botteghino.
Charlie Kaufman aveva inviato la sceneggiatura de Il ladro di Orchidee a Francis Ford Coppola dopo averla scritta. Al regista piacque molto e la girò al marito di sua figlia Sophia, Spike Jonze. Così Jonze si mise in contatto con Kaufman per acquistare i diritti dei film. Da qui avrà inizio in sodalizio tra il regista e lo sceneggiatore.
Perché questo film è pienamente nel contemporaneo?
Il ladro di Orchidee incarna molti degli aspetti del cinema contemporaneo. A livello formale, Charlie Kaufman (interpretato da Nicolas Cage) è lo sceneggiatore (reale) del film che stiamo guardando e che tratta proprio di uno sceneggiatore alle prese con l’adattamento di un film.
Kaufman ha scritto un film che parla della natura stessa della scrittura. Noi siamo parte attiva e partecipiamo alla creazione del film, non ci sentiamo mai lasciati fuori. Il reale si mescola con la finzione, Kaufman mette al centro della storia sé stesso, la sua mente e le sue fragilità. Ci sono personaggi che sono persone reali, come John Malkovich, John Cusack, Catherine Keener e lo stesso Spike Jonze, che interpretano loro stessi. Poi ci sono persone reali interpretate da degli attori, come Susan Orlean, Robert McKee, John Laroche e Charlie Kaufman. Poi ci sono persone che, nella realtà, non sono vere, come Donald Kaufman, nonostante egli condivida con Charlie i credits del film come co-sceneggiatore. Ci sono momenti in cui ciò che vediamo sarebbe potuto accadere veramente e momenti in cui s’inciampa nelle teorie del guru hollywoodiano Robert McKee.
Il film è contemporaneo anche nella la sua mescolanza dei generi: dall’essere un film dove, come dice Charlie “pretty much nothing happens” a un susseguirsi di elementi tipici del genere thriller (l’inseguimento, la sparatoria, etc.) passando per il documentario. La storia principale e le sotto-trame diventano una cosa sola.
I contenuti del film sono molto attuali e legati al mondo dell’industria cinematografica, come la frustrazione dello sceneggiatore, il “blocco dello scrittore”, l’impazienza della produzione, come se il processo creativo, più che un processo, fosse ready-made.
La manipolazione delle forme, dei linguaggi, dei generi, il suo essere un film partecipativo, non lineare, ibrido, ridefinisce un nuovo orizzonte narrativo.
Il digitale è al servizio della narrazione e viene utilizzato per fare vivere nella stessa scena i due fratelli Kaufman: si fonde anche qui la realtà con la finzione. Jonze, riguardo al lavoro sugli effetti speciali realizzati con Gray Marshall (Visual Effects Supervisor) ha dichiarato: “what we focused our energy on was the brothers and their relationship and who they are as individuals and how they react toward each other. That was always our goal, that what you pay attention to is the brothers’ relationship, not that the same actor is playing each part.”
Adaptation è una perfetta metafora del contemporaneo, i personaggi sono umani (addirittura reali) con i propri pensieri e monologhi interiori, con le proprie ossessioni e frustrazioni. Riusciamo a identificarci con quel senso di inadeguatezza. Kaufman estremizza emozioni e pensieri di tutti: si apre così il film, la voce fuori campo di Charlie Kaufman su schermo nero: “Do I have an original thought in my head, my bald head? Maybe if I were happier, my hair wouldn’t be falling out. Life is short; I need to make the most of it. Today is the first day of the rest of my life. I’m a walking cliché. […]”

IL RACCONTO META-TESTUALE TRA REALTÀ E FINZIONE E IL TEMA DELLA PASSIONE
Kaufman ne Il ladro di orchidee proietta la propria frustrazione professionale e l’insicurezza che ne deriva, trasforma il suo “blocco dello scrittore” con un espediente narrativo innovativo, diventando il protagonista della sua stessa sceneggiatura. Infatti, nella realtà come nel film, la scrittura della sceneggiatura è per Kaufman un’esplorazione, un processo in divenire. Nel film Charlie scrive l’inizio della sceneggiatura ancora, ancora e ancora, cambiando idea e cambiandone la struttura senza darsi pace. Il gemello Donald, invece, non ha la sua stessa etica e gli stessi gusti stilistici, quello che gli interessa è fare soldi. Nel momento in cui Charlie è più frustrato per la sua sceneggiatura, in cui non riesce a scrivere ed è ancora bloccato alla prima pagina, Donald ha venduto la sua sceneggiatura di “The Three” per un milione di dollari.
I due fratelli, a parte l’aspetto esteriore, non condividono molto: Charlie è tormentato, ansioso, ossessionato dai suoi pensieri e si sente un fallimento sia nel suo lavoro che come essere umano. Donald è sicuro di sé, fiero, senza pensieri, fortunato con le donne. Nel film questa differenza viene rafforzata da questa frase di Donald: “My genre is thriller, what’s yours?” come a voler sottolineare che Donald ha le idee chiare, sa dove sta andando, sa che vuole solo guadagnare con le sue sceneggiature, mentre Charlie è un enorme punto interrogativo. Il loro stile di scrittura è ben delineato anche nel corso della storia: due terzi del film sono raccontati da Charlie, prevale quindi l’interiorità; il terzo atto è nelle mani di Donald e la narrazione diviene serrata, con colpi di scena che fanno salire la tensione. Donald, nei confronti del racconto, ma anche della vita più in generale, agisce mentre Charlie subisce. Solo nel terzo atto Charlie prenderà in mano la situazione, proprio come insegna McKee, il cambiamento del personaggio deve avvenire dall’interno. Un altro dei motivi per cui riusciamo a riconoscere i gemelli Kaufman quando sono insieme nella stessa scena, non riguarda il loro aspetto esteriore, ma è merito dell’interpretazione di Nicolas Cage per cui in base all’umore dell’attore, si giravano prima le scene di un fratello o dell’altro.
Il fatto che molti dei personaggi fossero persone reali, non ha di certo agevolato la realizzazione del film. Susan Orlean, ad esempio, dopo aver letto la sceneggiatura, non voleva accettare che utilizzassero il suo vero nome per paura di ripercussioni a livello professionale. Senza però il permesso di utilizzare il suo vero nome, non si poteva fare il film, proprio perché tutto si basava sul fatto che i personaggi fossero reali.
Susan era preoccupata che le persone non riuscissero a capire e a scindere cosa fosse vero, da cosa fosse stato aggiunto appositamente per il film, dove finiva la realtà e iniziava la finzione. Era preoccupata per la sua carriera e per la sua professione e anche lei era scettica sul fatto che il suo libro si potesse trasporre in un adattamento cinematografico, proprio per gli aspetti di non linearità e interiorità.
La passione è un altro tema cardine del film, questa è simboleggiata da un fiore in particolare: l’orchidea. Da sempre si tratta di un fiore che viene associato alla sensualità e all’eros. Nel film ci viene spiegato come il nome della pianta derivi dal greco ὄρχις che vuol dire testicolo. Nel racconto però non si parla di un’orchidea qualsiasi, ma della Ghost Orchid, che per la sua conformazione ricorda le forme del corpo di una donna.
John Laroche nella scena in cui porta Susan a vedere diverse varietà di orchidee, le spiega come ogni orchidea abbia una determinata forma per un motivo preciso: l’impollinazione o come da lui definito lovemaking.
Ogni insetto ha una forma complementare a quella di un’orchidea, così da combaciare perfettamente e dalla loro danza, tutto esiste e continua a esistere. Nel libro, Susan scrive di come nel mondo ci siano più di 30.000 specie di orchidee conosciute, il montaggio dapprima mostra una serie di orchidee diverse tra loro (“una somiglia a una tartaruga, una a una scimmia”) fino a che il soggetto dell’inquadratura cambia, non è più un’orchidea, bensì una donna. Ritorna quindi l’associazione del fiore alla figura femminile, il racconto passa dalla voce di Susan a quella di Charlie: “una sembra un’insegnante, un’altra sembra Amelia e un’altra ancora ha occhi che contengono la tristezza del mondo” e come suggerisce il montaggio, quella donna per lui è proprio Susan.
La Ghost Orchid viene descritta come “fleeting, fantastic and out of reach” proprio come l’amore, la passione, qualcosa di intangibile, che non sappiamo descrivere a parole, ma che desideriamo ardentemente e verso cui l’uomo anela.
Laroche (per la cui interpretazione, Chris Cooper si è aggiudicato un Academy Award come Best Supporting Actor) è un appassionato botanico, si definisce “la persona più intelligente che conosce”, ama talmente tanto le orchidee al punto di arrivare a rubarle e Susan ne è affascinata sempre di più. Per quanto riguarda Charlie invece, la passione è legata indissolubilmente alla frustrazione da essa provocata, sia che si tratti del processo di scrittura, che del suo rapporto conflittuale con il genere femminile.

THE THREE
Il tre è un numero che torna spesso durante tutta la narrazione: “I Tre” è il titolo della sceneggiatura thriller psicologica scritta da Donald, allo stesso tempo, dalle prime tre sequenze si possono già cogliere molti elementi chiave del film.
Nella prima scena ci viene presentato il personaggio principale, Charlie: il film si apre su sfondo nero, sentiamo il flusso di pensieri di Charlie in voice-over che elenca tutti i suoi difetti, "I'm bald." "I've got a fat ass.” Charlie è insicuro, fragile, fatica a relazionarsi (soprattutto con le donne), si preoccupa di cosa gli altri penseranno di lui e del suo lavoro.
La seconda sequenza ci catapulta sul set di Being John Malkovich (1999). Siamo nel mezzo delle riprese della scena in cui John Malkovich attraversa il portale e vede all’interno della sua stessa mente. La sua mente viene portata sullo schermo e in un certo senso è quello che succede anche in Adaptation, dove Kaufman non mette a disposizione solo la sua scrittura, ma anche la sua stessa mente, le sue paure e le sue ambizioni. Concettualmente è come se un film fosse il prolungamento dell’altro. Nella realtà, è stato proprio durante le riprese di Being John Malkovich che Kaufman aveva accettato di scrivere l’adattamento cinematografico del libro di Susan Orlean, trovandosi in seria difficoltà nell’adattamento, poiché nel libro vi era molto delle orchidee e poco “dramma” nella narrazione, per farne un film.
Charlie si domanda: “Perché sono qui? Come ci sono arrivato?” - Come sono arrivato a questo punto della mia vita, dove non sono nemmeno riconosciuto sul set del film che io stesso ho scritto? - Qui inizia una sequenza sull’evoluzione, un altro tema portante del film: evoluzione sia in senso assoluto, perché Charlie ha ossessioni di tipo esistenziale, che intesa come adattamento della specie, una lotta continua per la sopravvivenza, ancora oggi.
La sequenza successiva è quella del pranzo di Charlie con Valerie Thomas (former Studio Executive interpretata da Tilda Swinton) la quale, anche nella realtà, ha ingaggiato Charlie per adattare il libro di Susan. Nonostante lei abbia grande ammirazione per suo lavoro da sceneggiatore, a quel pranzo lui si sente a disagio, continua a sudare e la sua ansia è in costante aumento. Charlie alla fine le dice come intende adattare cinematograficamente il libro: vuole che sia un film sui fiori, senza che ci siano scene “à la Hollywood” di sesso, droga, inseguimenti in macchina. Non gli interessa. Anche se è proprio quello che succederà alla fine del film.
Sono tre gli elementi portanti della creazione filmica: un libro, che diventa una sceneggiatura, che diventa un film. La sceneggiatura stessa ha tre piani di lettura. Adaptation, che è anche il titolo originale del film, inteso come:
-        L’adattamento di un libro in una sceneggiatura;
-        L’ adattamento in senso evoluzionistico, come selezione naturale darwiniana;
-        L’adattamento di Charlie ai meccanismi di Hollywood, il compromesso  necessario  per  finire  la  sua sceneggiatura.
Infine, il terzo atto del film è quello chiave: Charlie continua a non riuscire a scrivere, è bloccato alla prima pagina della sceneggiatura e chiede aiuto a Donald. Decide quindi anche lui di seguire il seminario di sceneggiatura del guru hollywoodiano Robert McKee. Una scena cardine del film è quando Charlie fa una domanda a McKee durante il suo seminario:"What if the writer is attempting to create a story where nothing much happens?" – "You write a screenplay without conflict or crisis, you'll bore your audience to tears!”
Da qui in poi, da quando Charlie accetta l’aiuto di Donald e segue i consigli di McKee la narrazione cambia. Mentre nel racconto delle vicende di Laroche e Susan, vediamo il film come lo racconterebbe Charlie, dal terzo atto fino alla fine, il film diventa come lo racconterebbe Donald (e il guru McKee). Fino a quel momento, Charlie utilizza la voce fuori campo per esprimere i pensieri del personaggio, ma dal momento in cui McKee lo vieta, non lo sentiremo più (tranne nell’ultima scena del film).
La voce fuori campo e i continui flashback, che caratterizzano l’andamento del film fino a quel momento, vengono sostituiti da una narrazione “classica” spiccatamente di genere, in cui compaiono tutti quegli elementi che Charlie aveva espressamente detto all’inizio del film di rifiutarsi di inserire nella sua sceneggiatura: inseguimenti, sparatorie, sesso, droga, etc.
È proprio la lettura di un estratto del libro di Susan a mettere in guardia Charlie: «ci sono troppe idee e cose e persone, troppe direzioni in cui andare […] la ragione per cui è importante avere una passione per qualcosa è che questa riduce il mondo ad una dimensione più gestibile». L’adattamento non è più solo quello del libro in una sceneggiatura, ma diventa un compromesso per fare vivere quella che è la sua grande passione: la scrittura.
Susan si è domandata quale fosse la sua passione, perché per alcuni come Laroche fosse così chiara ed evidente mentre per lei no. Per Susan la risposta è stata la ricerca stessa della passione. Per Charlie, trovare una “dimensione più gestibile”, è stato capire come finire la sceneggiatura. Come ci riesce quindi? Arrivando a un compromesso. Non è questo che fanno anche le specie, gli uomini, per sopravvivere? Si adattano. Nel caso di Charlie, si tratta di un compromesso con l’industria, a costo della sopravvivenza dei propri ideali.
Charlie, prima di chiedere aiuto a Donald, aveva fatto procedere il racconto mescolando i fatti alla sua disperazione creativa, le sue fantasie erotiche e parecchi falsi inizi. Dal terzo atto in poi, tutto cambia e la storia si sdoppia. Vediamo il suo opposto. Uguale, ma diverso. Come Donald e Charlie.
Come in ogni thriller che si rispetti, i nodi vengono al pettine e Donald torna indietro nella storia ai punti lasciati in sospeso da Charlie (e Susan), sui quali anche noi ci stavamo interrogando. Lui torna in quei punti e risponde alle nostre domande, ma non come ci aspetteremmo, bensì sradicandone il significato.
La scena della palude ne è un esempio: prima la palude stessa era il luogo della scoperta, della ricerca del piacere e della rarissima Ghost Orchid. Dopo, nelle mani di Donald, lo scenario rimane quello della palude, ma l’orchidea perde quel valore simbolico che aveva acquisito. Susan, dapprima è incuriosita e desidera vedere l’orchidea, dopo ne rimane delusa: “It’s just a flower […] I’m done with Orchids, Laroche.” La ricerca della Ghost Orchid era molto di più per Charlie, adesso non si tratta più un fiore raro e difficile da trovare, bensì di un semplicemente fiore, per di più dal quale si può estrarre un tipo di droga e sfruttato in una serra per questo. Dalla cosa più bella e immateriale, il fiore come simbolo della passione, alla più materica, ora è il simbolo della droga. Non è più la passione il piacere da consumare.
I due gemelli vanno in Florida: anche l’idea di Susan, o meglio l’idea che Charlie si era fatto, viene quasi rovinata. Piano piano tutto ciò che per Charlie aveva assunto un significato superiore, viene stravolto. Dopo che Donald (fingendosi Charlie) incontra Susan, è un susseguirsi di spionaggi, indizi, inseguimenti in macchina e sparatorie, il tutto accompagnato da musica adrenalinica che accresce la tensione. Cercando di sfuggire all’ira di Susan e John, Donald viene ferito con un colpo di pistola, in quel momento la frase di Donald “I can’t believe I got shot. Isn’t that fucked up?” sottolinea come tutto sia possibile, affinché la tensione rimanga alta.
Un altro motivo per cui capiamo che il testimone della narrazione è passato a Donald riguarda un suo comportamento che vediamo fin dall’inizio del film: in molte delle scene in casa, Donald sta in posizione supina. Nel terzo atto vediamo tre personaggi stare in questa stessa posizione: uno dei nativi americani, Laroche e Susan. Anche attraverso questi gesti, per lui quotidiani, si può riconoscere la dominanza del fratello in questa parte della storia.
Kaufman si sente inadeguato al mondo in cui vive, quello di Hollywood, in cui è stato accolto dopo il successo di Being John Malkovich, ma che costringe anche a delle scelte morali. La difficoltà di avere successo senza “snaturarsi” senza vendersi alle regole dell’industria cinematografica, simboleggiata nel film da McKee. Bisogna ribellarsi alle regole classiche come vorrebbe Charlie o seguirle come insegna McKee? La lotta ideologica tra Charlie e Donald diventa quella tra arte e industria, cinema indipendente e Hollywood, creatività e marketing. Anche Susan e Laroche sono due facce della stessa medaglia, lei affascinata da ciò che è fuori dagli schemi, lui dalla sua stabilità e dalla sua carriera.
La risposta di Kaufman a queste domande esistenziali la possiamo ritrovare nel dialogo tra McKee e Charlie dopo il seminario: “I'll tell you a secret. The last act makes the film. Wow them in the end, and you've got a hit. […] Find an ending, but don't cheat, and don't you dare bring in a deus ex machina. Your characters must change, and the change must come from them. Do that, and you'll be fine.” Alla fine, abbiamo sia l’alligatore deus ex-machina, che il cambiamento di Charlie dall’interno, un compromesso necessario per scrivere il finale.

HAPPY TOGETHER
In una delle ultime scene, Amelia fa riferimento a uno spettacolo di marionette che ha visto a Praga. Alla fine, come all’inizio del film, abbiamo un rimando al film precedente di Jonze e Kaufman, Being John Malkovich. Per tutto il film, gli elementi si nutrono di loro stessi, come l’ouroboros citato da Charlie: si tratta di un serpente che si morde la coda, senza quindi né inizio né fine, che si distrugge e si rigenera, partendo sempre da sé stesso fino all’infinito.
Charlie parla chiaramente con Amelia, le dice cosa prova per lei. A questo punto tutte le tensioni sono state risolte, le domande hanno trovato risposta, e il film può finire. Charlie è in macchina, sa come finire il film e ce lo dice attraverso la voce fuori campo che finalmente ritorna, “who cares what McKees says. It feels right”.
L’ultima inquadratura è quella di un time-lapse raffigurante dei fiori gialli, non era questo che Charlie voleva fin dall’inizio? “A movie about flowers”. Sullo sfondo macchine che sfrecciano nel traffico, la natura e la vita moderna. I fiori si sono adattati, come per dire che la storia dell’uomo, la sua evoluzione, continua.
L’uso del time-lapse fa riferimento alla sequenza sull’evoluzione della specie che abbiamo visto all’inizio del film e anche in questo caso, un elemento già visto che ritorna, ma questa volta non per ribaltarsi, ma per andare avanti. I fiori si piegano e si curvano, ma resistono, sopravvivono: in una parola si adattano, così come tutte le forme di vita, anche le più tormentate, anche Charlie.
L’adattamento al diverso può anche essere un’occasione di crescita, di evoluzione. Adattamento vuole dire anche compromesso e in questo caso, il time-lapse è la metafora del compromesso che ha trovato anche Charlie, alla fine, per finire la sua sceneggiatura. Il cambiamento deve venire da dentro i personaggi: alla fine infatti Charlie cambia, come vuole l’industria con la conseguente epifania del personaggio. Allo stesso tempo c’è un secondo compromesso: Kaufman pur facendo un film in stile hollywoodiano, riesce a farne anche un film “indipendente” e originale.
Il time-lapse finale è accompagnato dalla canzone Happy Together della rock band americana The Turtles. Questa canzone diventa il leitmotiv del film: Donald dice al fratello di volerla inserire nella sua sceneggiatura, all’inizio era titubante a mettere una canzone in un thriller, ma “McKee ha detto che in Casablanca era stato fatto lo stesso. Mix di generi”. In seguito, Donald la canticchia a Charlie perché, dopo il suo incontro con Susan, è convinto che nasconda qualcosa. È poi Charlie a canticchiarla a Donald, dopo l’incidente in macchina, mentre sta per morire e, come a omaggiare il fratello, la ritroviamo nella scena finale del film.
McKee nel film cita Casablanca (1942) come “la miglior sceneggiatura di tutti i tempi” difatti, il film è conosciuto più come film della produzione e di propaganda che come film d’autore. La migliore sceneggiatura in base ai parametri di giudizio di chi guarda (e giudica) e McKee, come simbolo di Hollywood, della scrittura da manuale, non potrebbe pensare altrimenti. Tutto ciò che viene presentato nel corso della narrazione, in Casablanca così come in Adaptation ha in sé un conflitto definito, funzionale allo svolgimento della narrazione, che si risolve alla fine della storia e quindi del film. La canzone Happy Together, così come As Time Goes By diventa quindi la colonna sonora del nostro lieto fine… con un ultimo twist finale.
La fine del film ci lascia, ancora una volta, in un limbo tra il reale e la finzione. Dopo i titoli di coda, vi è un estratto dalla sceneggiatura di Donald “The Three”: nella bizzarra storia, ci sono tre personaggi, ma in realtà si tratta della stessa persona, con un disturbo di personalità multipla. In una scena del film Charlie dice a Donald, “we share the same DNA, is there anything more lonely than that?” In effetti anche Charlie e Donald sono la stessa persona, sono Nicolas Cage, che a sua volta è Charlie Kaufman. L’evoluzione, la natura come origine di tutto, torna a rivendicare la sua forza. Dall’organismo più semplice in poi, siamo tutti parte di un tutto che è più grande di noi, la nostra esistenza, così come i nostri problemi, perdono di senso se consideriamo il quadro generale in cui sono inseriti.
Allo stesso tempo però, non possiamo negare il fatto che, sebbene siamo parte di un tutto, noi esistiamo come individui, come persone. Ma io come individuo, come persona, ho dentro di me diverse sfaccettature, non mi comporto sempre allo stesso modo, non sono sempre uguale a me stesso. Come Kaufman che scrive sia di conflitti interiori che di un thriller psicologico, come il personaggio della storia di Donald che è sia un killer, che un poliziotto, che una donna intrappolata nello scantinato di una casa.
La poetica pessimista ed esistenzialista di Kaufman può essere accostata alle opere teatrali di Luigi Pirandello: entrambi si interrogano sull’esistenza e sulla vita interiore dei personaggi, sul loro ruolo all’interno della rappresentazione stessa, sui meccanismi della finzione scenica e della realtà. In un’intervista, Kaufman racconta che al liceo aveva partecipato alla realizzazione de Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. “I was really struck by that, and it was very influential on me”.
Kaufman, come il suo personaggio, si autoanalizza e il conflitto con sé stesso lo porta al conflitto con il mondo circostante. In Adaptation questi conflitti riesce a risolverli alla fine del film, ma a quale costo? Come insegna McKee quando i conflitti sono stati risolti, la storia può finire.
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